Il mio amico Marco Rubatto non è informato delle mia iniziativa di recensire il suo prezioso volumetto; non gli ho chiesto il permesso né ho concordato alcunché con lui. Era l’unica maniera per fargli una sorpresa, visto che lui si è appena indotto a recensire il mio libro: “Psicologia dell’Aikido”. Non è il sinallagma che mi muove, ma un’ispirazione autonoma che avevo da tempo, dopo che avevo avuto tra le mani il suo libro. Insomma lui mi ha dato solo una mossa…
di ANGELO ARMANO
Una delle cose che è possibile conquistare facendo Aikido, è di non separare più l’opera e l’autore; di approfondire al contrario la personalità dell’autore attraverso la sua opera. Ciò può aver senso in quanto vertiamo nel campo dell’arte e molto meno della professionalità; si può essere professionisti di qualcosa, e nel contempo non sentirsi relegati alla mera identificazione col ruolo che si interpreta, concependo la propria umanità in modo più ampio.
Normalmente per l’artista non è così, venendone la sua personalità contraddistinta in maniera ben più pregnante.
Allora il caso di Marco è quello di uno che si è votato all’Aikido, tanto da decidere di viverne, e di interpretare questa scelta con etica e deontologia, assieme a pochi come ad esempio Nino Delli Santi, e senza per questo fare torto ad altri, comunque non molti.
Il volumetto, che dice della personalità di Marco, denota una sistematicità di approccio e logicità di esposizione, la quale non può non essere figlia anche dei suoi studi, in particolare di una laurea in ingegneria a pieni voti, conseguita nel politecnico migliore d’Italia.
Questa però è solo una base d’appoggio, il fondamento su cui si posa, inevitabilmente visto il contenuto del libro, un senso del tempo fuori dal corrente. Traspare dalle parole del libro ed è conseguenza diretta della pratica, non del libresco teorizzare.
Già Sant’Agostino si interrogava su quale fosse il tempo dell’Anima, preceduto e seguito da molti altri, in oriente e in occidente. La sensazione scorrendo le pagine, è quella di un “tempo ritrovato”, a cui pare arduo fare ombra, fosse anche solo quella “delle fanciulle in fiore”, come amava Proust.
La meditazione, nelle sue più svariate forme ed accezioni, vuole reintegrarci con il nostro essere più autentico, operazione che per l’uomo nella sua finitudine, non può essere disgiunta dal tempo; Heidegger ce lo dice in maniera magistrale.
Qualsiasi marzialista autentico, non necessariamente un aikidoista, sa della connessione tra budo e meditazione, quantomeno sul piano storico generale, ed anche attraverso casi eclatanti di personaggi sommi (Musashi, Takuan, Tesshu ed infiniti altri).
Marco sa uscire bene dal nominalismo e dalla mera casistica, per fornirci le chiavi interpretative dei diversi mezzi storicamente annoverati, al fine avvicinarci al profondo, obbiettivo estremo del marzialista spirituale. La sua ben lodata sistematicità, ha l’effetto sorprendente di un laya yoga, di dissolvere cioè le compartimentazioni, per le quali l’una cosa non può essere l’altra.
Ciò corrisponde al mio tanto amato approccio psicologico, secondo il quale l’interiorità dell’uomo è un prius rispetto agli integralismi di questa o quella disciplina (o anche scelta religiosa), che in un modo o nell’altro tramitequell’interiorità sono venuti fuori.
E più non dico, a sottolineare l’importanza di confrontarsi con il testo di Marco, che, senza esagerazioni, colloco nella biblioteca ideale non solo di ogni aikidoista, bensì di chiunque sia interessato all’argomento meditazione, e all’approccio spirituale in generale.
Marco Rubatto: Introduzione alla Meditazione, 2014 www. you can print.it
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