
Tra la prima ondata di allievi occidentali che frequentarono l’Aikikai Hombu Dojo negli anni sessanta, Henry Kono è certamente uno dei personaggi più interessanti in assoluto. In questa sua intervista del 2003 affronta una serie di tematiche fondamentali su come praticare Aikido e sul perchè oggi la disciplina sta diventando sempre più vuota. Cosa rara, Henry Kono spiega anche quello che andrebbe fatto, avendolo carpito da Morihei Ueshiba, un centimetro alla volta, durante i suoi 4 anni di studio in Giappone
di NORM IBUKI
Henry Kono, 75 anni [nel 2003], è l’unico aikidoista Canadese ad aver praticato con il fondatore dell’Aikido Morihei Ueshiba. Henry nacque a Vancouver, nella British Columbia, il 24 agosto 1927. In quanto nisei (canadese-giaponese di seconda generazione), durante la Seconda Guerra Mondiale Henry, assieme a due sorelle, un fratello ed i suoi genitori furono internati in un campo di concentramento.
Dopo la guerra, la famiglia si ristabilì a Toronto. Nel 1964 Henry si recò in Giappone per visitare le famiglie di entrambi i suoi genitori, originarie di Shikoku. Una volta fatta visita ai parenti in Giappone, aveva ancora del tempo a disposizione e decise di andare a vedere l’Hombu Dojo a Tokyo, dove insegnava O’Sensei. Aveva letto di un miracoloso praticante di arti marziali, e voleva verificare se fosse vero: lo era. Henry trascorse quattro anni a praticare presso l’Hombu Dojo.

Quattro anni dopo ritornò a Toronto, in Ontario, dove ha lavorato come disegnatore pubblicitario fino al pensionamento. A tuttora tiene lezioni e seminari in Canada, Stati Uniti ed Europa. Ha un figlio.
Quando mi rivolsi a lui per la prima volta, lo chiamai “Kono sensei” (“sensei” è un termine comune indicante rispetto che in Giappone si usa nei confronti di tutti gli insegnanti). Lui insiste che io lo chiami “Henry”. Jean Rene Leduc, il mio primo insegnante di Aikido a Nelson, British Columbia, era come lui. Ho incontrato Henry Kono nella sua casa dell’East End di Toronto il 3 gennaio 2003.
Si tratta di una persona semplice, alla mano. Nella sua cucina, tazza dopo tazza di tè verde e ciotole di cracker di riso, abbiamo chiacchierato fino a pomeriggio inoltrato.
IBUKI
Di cosa ti stai occupando in questo periodo?
KONO
Non faccio molto. Insegno ancora, ogni tanto.
IBUKI
Vai ancora a insegnare in Irlanda?
KONO
Ci vado perché ho un amico, Alan Ruddock, che era in Giappone con me a quei tempi. Non ci siamo sentiti per quasi 30 anni, poi sei o sette anni fa mi scrisse dicendo “Ho sentito dire che sei ancora vivo! Vuoi venire qua?”. E io ho cominciato ad andarci, mi piace l’Irlanda.
Il modo in cui l’Aikido di Alan si è evoluto dall’ultima volta che l’avevo visto in Giappone mi ha lasciato senza fiato. Sono rimasto ipnotizzato a guardarlo insegnare per oltre un’ora, mentre cambiava e improvvisava a partire dalle quattro mosse con cui entrambi avevamo lasciato il Giappone.
In verità non andai in Giappone a studiare Aikido, mi ci recai per far visita ai miei parenti. Nella famiglia di mia madre erano in 11, mentre mio padre aveva un fratello e una sorella e io volevo andare a trovarli. Tempo un mese, e avevo già fatto visita a tutti, una settimana qui e una settimana là. Avevo un visto di sei mesi, così quando tornai a Tokyo avevo ancora cinque mesi da ammazzare. Tokyo è una città davvero irritante, se non hai nulla da fare non ci puoi stare. Avevo sentito parlare dell’Aikido, per cui decisi di andare a dare un’occhiata. Il giorno in cui ci andai, erano circa le due del pomeriggio e Bob Nadeau era lì che rotolava sulle materassine. Gli chiesi: “Cosa devo fare per iscrivermi?”. Sono rimasto per quattro anni.

IBUKI
Avevi mai praticato arti marziali prima?
KONO
No, in precedenza non avevo mai fatto arti marziali. Sul New Canadian – un quotidiano canadese-giapponese, ora defunto – erano comparsi un paio di articoli su questo fantastico vecchietto di nome Ueshiba, che proiettava due persone qua e là senza neppure toccarle. Avevo anche letto un breve libro di Jay Gluck, Zen Combat, che conteneva un articolo su O’Sensei. Questo era tutto quello che sapevo prima di andare lì.
IBUKI
Il fatto di esser stato internato in un campo di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale perché eri Giappo-Canadese ha avuto qualche effetto sul tuo modo di pensare?
KONO
No. Per me, l’internamento a Slocan, British Coloumbia, fu un periodo eccitante. Mi dette l’opportunità di vedere un paese nuovo, un posto diverso. Mia madre non aveva un atteggiamento negativo verso il tutto e diceva: “In tempo di guerra queste sono cose che succedono. Dovremmo ringraziare il cielo che possiamo restare tutti uniti”. Nessuno veniva torturato o interrogato.
IBUKI
Quanti anni avevi nel 1964?
KONO
Ne avevo quasi 37. Avevo parenti a Tokyo, ma avevo un mio posto mio. A quei tempi la vita in Giappone era poco costosa: stando attento con i soldi, potevo andare avanti con $100 al mese. Gli altri allievi stranieri insegnavano inglese per sostentarsi, ma io mi resi conto che ai Giapponesi non sarebbe piaciuto prendere lezioni di inglese da un giapponese. Se io potevo dire qualcosa e loro no, la cosa li intimidiva fortemente. Ci provai, per un po’, ma fu un fiasco, così mi concentrai sui miei problemi con la lingua.
IBUKI
Dove vive Alan?
KONO
Alan Ruddok abita sull’Isle of Man, ma i suoi genitori stanno a Dublino. Quando tornò in patria, frequentò la scuola per insegnanti a Londra, e poi si stabilì sull’Isle of Man. Insegna lì oltre che in Irlanda. Ogni estate dirigiamo un seminario di una settimana a Galway.

IBUKI
Com’è l’Aikido in Irlanda?
KONO
L’Irlanda è fantastica. È l’Aikido più amichevole che abbia mai visto: in Irlanda tutto è aperto e amichevole. C’era gente che veniva anche da altre parti d’Irlanda e mi hanno detto che questo era il più gradevole seminario a cui avessero partecipato.
IBUKI
E qual è l’affiliazione del dojo?
KONO
In Europa ci sono molti dojo indipendenti e quelli affiliati all’Hombu.
IBUKI
Che cosa ti ha tenuto all’Hombu per quattro anni?
KONO
Era quello che faceva il signor Ueshiba. Che cosa faceva? Questo è il grande mistero di O’Sensei. Per me, lui era un mago. Non mi fraintendere, secondo me era un genio. Ho il più profondo rispetto per lui. Se non l’avessi mai visto, non avrei mai capito quello che ho capito. Mai! Se avessi praticato 100 anni in Canada, non ci sarei mai arrivato. È solo perché l’ho visto che ho capito quello che ho capito.
Se si legge la storia giapponese, il Giappone ha combattuto con la spada per 1200 anni. Ci sono stati, forse, 15 davvero grandi spadaccini, uno per ogni secolo. Ueshiba era uno di loro ed è l’ultimo. Non avremo più nessuno come lui, perché la società e i tempi non richiedono più quel tipo di persona. Ora, dobbiamo studiare i computer!
Ciascuno di quegli insegnanti giapponese che ha scoperto la verità non ha mai detto quale fosse. Tutti se la sono portata nella tomba, e O’Sensei non fu diverso in questo rispetto.

IBUKI
Hai praticato per molto tempo.
KONO
La pratica non significa niente. Quello che pensava O’Sensei è importante. Lui basava i suoi movimenti su una matrice invisibile che noi non comprendiamo. Tutti pensavano che lui fosse in grado di fare quello che faceva perché aveva 65 anni di pratica. Io non la vedevo così. Per me, quello che conta è ciò che lui sapeva. Non tutti la vedono in questo modo.[Henry mi mostra una citazione di Sugano sensei, che dice “era come se O’Sensei stesse facendo Aikido, mentre tutti gli altri facevamo qualcosa di diverso”.]
E allora cosa facevamo noi? Quello che facevamo noi sul tatami non era quello che faceva lui.
[Mi mostra un’altra citazione di Bob Nadeau da un articolo su Aikido Today Magazine, che dice “Una volta O’Sensei mi disse, chiaramente e con enfasi, che la verità dell’Aikido può essere afferrata in un breve istante. Se ne afferri il segreto, mi disse, puoi fare quello che faccio io in tre mesi”.]
Questo è quello che cercavo ed è in questo che avevo un vantaggio, dato che potevo parlare la lingua. Non potevo leggerla o scriverla, ma potevo conversare, e le cinture nere mi aiutavano ogni volta che lavoravo con loro. Per quelli che non parlavano giapponese, lo scambio di idee era molto limitato. E anche parlando giapponese, mi ci sono voluti almeno tre anni per capire quello che volevano veramente passarmi. Dopo circa tre anni e mezzo, cominciai a intuirlo. Ci vuole pazienza e persistenza.
O-Sensei non teneva mai lezioni nel senso classico, perché aveva 82 anni quando sono arrivato. Quando veniva fuori e faceva quelle cose, era un’esperienza mistica cui stavi assistendo.
IBUKI
Quanto spesso vedevi O’Sensei?
KONO
Se era nel retro del dojo, poteva venir fuori ogni giorno. Se era via, magari non lo vedevi per tre settimane. Se c’era, magari veniva fuori per cinque o dieci minuti, e poi tornava dentro. L’ho visto circa 300 volte in quattro anni. Non ha mai spiegato quello che faceva, lo faceva e basta! Questo è quello che intendo per mago. Lo faceva, e se non riuscivi a discernere che cosa aveva fatto, non c’era modo di capirlo. Non spiegava mai niente, ma lasciava dei piccoli indizi molto difficili da comprendere, perché esprimeva le sue idee con frasi brevissime che nessuno riusciva a capire.
Ho visto un fimato di Shioda sensei intervistato in Inghilterra. Era stato con O’Sensei per dieci anni tra il 1930 e il 1940 circa, e diceva che O’Sensei in quei dieci anni non aveva spiegato neppure una volta quello che faceva!
Non era un insegnante nel senso che insegnava. I giapponesi forse possono considerarlo insegnare, ma in termini occidentali non lo era. Dovevi intuire quello che lui diceva e faceva, leggere tra le righe, per così dire.

IBUKI
Praticavi tutti i giorni?
KONO
Tutti i giorni. Normalmente andavo alla lezione dalle 8 alle 9. Considerando quanto veloce fosse il ritmo, potevi partecipare a una sola lezione al giorno. Ero tra i miei 30 e i miei 40 e il mio corpo non recuperava così velocemente. Dicevano anche: “Un’ora al giorno è abbastanza, ma vieni tutti i giorni”. Per me la lezione dalle 8 alle 9 era la più gradevole perché c’erano un sacco di stranieri, circa una dozzina. E la parte più bella era che al dojo potevo parlare inglese!
IBUKI
Con chi ti allenavi?
KONO
Bob Nadeau, Bob Frager, Virginia Mayhew, Terry Dobson, Ken Cottier e Norm Miles, che vive ancora in Giappone. C’erano alcuni che venivano da Germania, Francia e Inghilterra.
IBUKI
C’erano altri canadesi?
KONO
No, nessun altro. C’erano alcuni giapponesi dagli Stati Uniti: Joanne Shimamoto, che ha sposato Akira Tohei a Chicago, un altro tipo che insegna in North Carolina, Roy Suenaka, e un altro dalla California.

IBUKI
Praticavi anche in altri orari?
KONO
Occasionalmente andavo alle lezioni della sera, ma erano così affollate! Era come praticare dentro un tram pieno zeppo!
IBUKI
Cosa ricordi dell’allenamento di quei tempi?
KONO
Era un periodo davvero piacevole. Potevamo scherzare, parlare sul tatami, chiacchierare, ridere e nessuno diceva niente. Ho sentito che è cambiato tutto, adesso. Prima di morire Terry Dobson mi disse, “Henry, siamo stati lì nel momento migliore!”. Tutti noi stranieri ci sentivamo abbastanza e facevamo gruppo.
IBUKI
Che tipo di comunità straniera c’era?
KONO
Vivevamo ciascuno per conto proprio. L’unica comunità era al dojo. Molti insegnavano inglese, altrimenti non avrebbero potuto sopravvivere là. Ero forse l’unico che non lavorava.

IBUKI
Come occupavi il tuo tempo allora?
KONO
Principalmente più cercavo di migliorare il mio giapponese per parlare in modo corretto.
IBUKI
Sei mai più tornato in Giappone?
KONO
No. Ho visto quello che volevo vedere, trovato quello che desideravo. Per cui non sono mai ritornato.
IBUKI
Hai insegnato Aikido dopo essere tornato a Toronto?
KONO
Ho insegnato in un centro civico dietro la Art Gallery of Ontario, dove c’è un centro servizi. Qualcuno insegnava lì, e quando sentirono che ero tornato, mi chiesero se volevo tenere le lezioni. L’ho fatto per circa 20 anni. Lavoravo durante la giornata e insegnavo part-time.

IBUKI
Che cosa diceva O’Sensei a proposito di Yin-Yang?
KONO
Non ne parlò mai molto, ma studiò attraverso l’Omoto-kyo, la religione a cui era principalmente interessato, la concezione shintoista di queste cose. A proposito dello Shinto, anche in Giappone, neppure ai giapponesi raccontano tutto. Tirano fuori solamente “a sufficienza”, un pochino alla una volta. Un sacco di conoscenze se le tengono per loro, per cui neppure i giapponesi ne sanno molto! Se chiedi a un giapponese: “Cos’è il Ki?”, non può risponderti con precisione. Neanche loro lo sanno con certezza.
IBUKI
Cosa aveva da dire O’Sensei a proposito del “Ki”?
KONO
Non potevi parlare con lui di queste cose, perché non te le voleva dire! Ti diceva qualcosa e o lo capivi o non lo capivi. Fine! Non potevi dire “Sensei, che cosa intendi?”. Questo non lo potevi fare!
IBUKI
Ma a un certo punto ha menzionato Yin-Yang in una discussione con te a una festa in suo onore…
KONO
Quella fu l’unica volta. Per me, quella è stata come Stele di Rosetta. Va inserito nel contesto per capirlo.
IBUKI
In che modo questo ha cambiato il tuo modo di rapportarti all’Aikido?
KONO
A quel tempo, non ne sapevo abbastanza. Ero lì da circa un anno e quando chiedevo alla gente di “yin e yang” e di come si applica all’Aikido, nessuno è stato in grado di capire! Mi dicevano a mala pena di “allenarmi!”. Ho anche pensato che se mi fossi allenato come un matto avrei capito.

IBUKI
Il segreto non è la pratica quindi?
KONO
No. Devi imparare ad allenarti in modo intelligente.
IBUKI
Che cosa significa “allenarsi in modo intelligente”?
KONO
Avere la conoscenza di yin e yang, questo è intelligente. O’Sensei lasciò l’Omoto-kyo, portandosi dietro tutta quella conoscenza e la applicò a ciò che stava facendo; ecco perché le sue tecniche si stavano sviluppando. Anche dopo la guerra hanno continuato a svilupparsi.
IBUKI
Quindi l’Aikido è un processo evolutivo?
KONO
Giusto. Gli allievi stranieri lo capivano molto meglio degli allievi giapponesi.
IBUKI
Com’era il tuo allenamento in Giappone?
KONO
Dopo quattro anni, di ritorno a Toronto penso che non conoscessi più di 20 tecniche! In Giappone si faceva così. Praticavamo ikkyo, nikyo, sankyo, yonkyo come movimenti di base, oltre ad alcuni altri. L’anno successivo lo si ripeteva ancora e ancora. Funzionava così. Ora servono 600 tecniche per fare uno sho-dan, giusto? La cosa spiacevole di questo è che così facendo, tutte queste tecniche stanno uccidendo l’Aikido, perché tutto è automatizzato nel tuo cervello, quindi nulla si sviluppa da parte tua. Per quale motivo dovresti aver bisogno di essere spontaneo con qualcuno se sei programmato in cosa fare?
Senza yin e yang diventa difficile entrare in questo. L’attacco è yang, ma si può diventare anche yang e costringere uke a diventare yin. Ecco perché ci sono così tanti infortuni. Sono stato all’Hombu Dojo per quattro anni e durante quel periodo ho visto solo una clavicola rotta. Era un principiante che è caduto nel modo sbagliato, ma questo è tutto, nessun altro si è fatto male all’Hombu. O’Sensei era estremamente esigente a proposito della cura che dovevamo avere con gli altri. Nessuno voleva essere il bersaglio della rabbia di O’Sensei. Ti faceva sedere e ti rimproverava per una buona mezz’ora.

IBUKI
Quali erano le regole nel dojo?
KONO
Erano abbastanza rilassate. Le cinture nere potevano praticare in qualsiasi classe. Oggi, invece, tutti sono separati. La mia opinione è che il clima fosse molto spontaneo. Anche quando ci stavamo allenando potevamo parlare tra di noi.
IBUKI
O’Sensei non si arrabbiava per questo?
KONO
No.
IBUKI
Qual è la tua opinione sull’ “hara”?
KONO
Sono contro l’hara, perché penso che sia molto specifico. Credo che tutto dovrebbe evolversi insieme all’hara, i movimenti, l’acquisizione di forza e conoscenza. Quando tu ed io lavoriamo insieme, l’hara non è il centro. Per molti aikidoisti, il centro scende dalla sommità della testa al pavimento, il che è corretto se sei da solo. Non sto dicendo che il centro non esiste. Ma quando siamo insieme, come può essere questo il centro “attivo”? Questo “centro” sarà il punto centrale tra te e me. Se sei un falegname, puoi determinare il punto centrale di un pezzo di legno, ma se inchiodi il legno, non puoi insistere nel dire che quel punto centrale originale è ancora il centro “attivo”.

IBUKI
Cosa diceva O’Sensei a proposito del centro?
KONO
Non ne parlava. Dimostrava solamente con uke e in quel movimento era contenuto tutto.
IBUKI
Qual è l’origine di questo concetto?
KONO
Quando guardi il simbolo yin e yang, dipende dalla prospettiva in cui ti poni. Se isoli il bianco e il nero, puoi dire che ciascuno ha il suo centro, ma se li unisci, il centro è da qualche parte tra di loro, dove si incontrano. Non c’è altro punto in cui può essere il centro, se entrambi i lati sono identici e hanno lo stesso valore. Non è richiesta alcuna dimostrazione. È matematica elementare.
IBUKI
E la consueta pratica dell’Aikido non segue la stessa linea?
KONO
Sfortunatamente no. In generale, si va sull’idea di sbilanciare l’avversario. In yin e yang, non cerchi di sbilanciare l’altro o addirittura controllare qualcuno; le due parti possono solo muoversi insieme.

IBUKI
E allora come si fa a proiettare l’altro?
KONO
Fluttuando. Questo è quello che provavi quando O’Sensei applicava una tecnica. Quando eseguiva il movimento, non sapevi come eri caduto, ma non sentivi niente di speciale. Stavi semplicemente cadendo. Non potevi dire di essere caduto da solo, ma non potevi dire perché eri caduto o cosa ti aveva fatto. Non ne avevi idea!! Quando qualcun altro eseguiva unaa tecnica, sentivi che il movimento veniva eseguito su di te, la persona era sbilanciata, non importa quanto leggero fosse il movimento. Quando lo faceva O’Sensei, “bang” ed eri andato. Perché eri caduto? Non avresti potuto spiegarlo.
IBUKI
Che cosa ne pensi dell’odierna evoluzione tecnica dell’Aikido?
KONO
Penso che tutti stiano cercando di essere troppo precisi. Non importa quanto si ripete una tecnica, nessuno la farà allo stesso modo di un altro; quindi dovremmo essere più aperti a dare a tutti l’opportunità di trovare la propria strada, di adattare il proprio corpo al movimento.
IBUKI
Prima dicevi che “uke” è un grosso problema per l’Aikido di oggi. Puoi spiegare?
KONO
Finché rimani teso nelle spalle, non puoi imparare quest’arte. Yin e yang si verificano automaticamente, ovunque. Se non sei abbastanza ricettivo e rilassato, se sei troppo teso non puoi sentire l’altro lato.

IBUKI
Cosa ne pensi del “Ki”?
KONO
Il Ki è un equilibrio di energie che fluiscono all’unisono in direzioni opposte. Se una quantità di energia va in una direzione, ce n’è un’altra che arriva nella direzione opposta, con la stessa intensità. Niente in questo universo esiste senza il principio di yin e yang. Yin non sta dicendo “sbilancerò lo yang”, o viceversa; si muovono semplicemente insieme in armonia! Convincere l’uno a entrare o distruggere l’altra metà è impossibile! E se una di queste energie dovesse scomparire, non saremmo qui sulla terra, perché ci vogliono due energie per manifestare questo universo fisico.
IBUKI
Qual è la tua opinione sull’allenamento attuale?
KONO
È troppo pesante. Le persone dovrebbero esercitarsi in modo più rilassato, meno orientato ai risultati. Tutti invece vogliono ottenere qualcosa fin dall’inizio. Non ci allenavamo così all’Hombu. Bisogna imparare a farlo come se non si stesse facendo niente di speciale. È un modo di essere. Tutti oggi si allenano per “fare” qualcosa. Ecco perché l’intera cosa è strana. Io mi sono sempre sentito come se stessi facendo qualcosa per porre fine a quel fardello inutile che stiamo portando con noi.
IBUKI
Cosa puoi dirci degli istruttori?
KONO
Non credo che sappiano abbastanza cosa significhi essere uke, non abbastanza per insegnarlo. Molti non insegnano affatto cosa significhi essere uke; quando ero in Giappone, tutto era solo – uke, uke, uke!

IBUKI
Com’era il tuo rapporto con O’Sensei?
KONO
Quando mi diceva: “Non ti ho intenzione di dirti che cosa sto facendo!”, io mi dicevo tra me e me: “Prima di tornare a casa, in qualche modo lo scoprirò”. Era una specie di gioco tra noi.
IBUKI
Tornando a uke…
KONO
All’Hombu dojo, l’insegnante che faceva lezione non parlava mai di uke. Era sempre la persona con cui ti stavi allenando che te ne parlava. In Giappone, non è come qui, dove l’80% sono cinture bianche, lì il 90% sono cinture nere. Se ti alleni con la gente giusta, te lo diranno. Le cadute sono un modo per autoproteggersi, perché se non sai come cadere, ti farai del male.
È importante, perché nell’Aikido è la metà di qualsiasi movimento. Il loro modo di ragionare era che se capisci la metà di uke, l’altra metà è facile da capire. Oggi, mi sembra come se ci fossimo concentrati sul proiettare, mentre si ignora completamente l’aspetto dell’uke.
IBUKI
Come si insegna a qualcuno a essere un buon uke?
KONO
Bisogna farlo in modo naturale e i praticanti devono capire che hanno bisogno di imparare uke. Se pensano di venire in palestra solo per lanciare il loro partner, diventano automaticamente sordi quando si tratta di fare uke. Proiettare è facile. Essere uke è più difficile. Ci vuole un gran lavoro di chiarimento da parte di qualcuno che capisce davvero di cosa si tratta.

IBUKI
In che modo questo cambia la nostra pratica dell’Aikido?
KONO
Perché possiamo sentire il movimento. Si diviene ricettivi. Quando proviamo a fare un movimento, non possiamo vederlo. Quando riceviamo come uke, possiamo vedere il movimento. Questo è il modo per imparare. Tutti pensano che facendo da uke non si impari nulla, e per questo non si allenano a farlo. A noi non hanno mai insegnato in quel modo.
IBUKI
Quindi, nei tuoi primi tre anni nell’aikido, eri solo uke?
KONO
Quella era l’idea. “Pratico da un anno e non ho idea di cosa stia succedendo”, dicevo, e mi rispondevano: “Non preoccuparti, Kono-san. Sii un buon uke e col tempo le cose diverranno chiare”. È importante sviluppare questo tipo di sensibilità e mobilità.
IBUKI
La sensibilità è importante…
KONO
Perché è precisamente così che si impara quello che devi fare. Stai veramente diventando yin. Devi essere flessibile, quindi, il centro inizia a svilupparsi. Questo è l’unico modo per svilupparlo.
IBUKI
Qual è il tuo consiglio ai principianti?
KONO
Dico loro di togliere la forza dall’equazione. Non imparerai queste cose in sei mesi, quindi rinuncia a questa idea, rilassati. Fai i movimenti come se come se ti stessi divertendo. Se sono un bravo uke e tu non sei in grado di eseguire la tecnica, verrò da te e così potrai eseguire quella tecnica. Qui è più una questione di raggiungere quel muscolo che ti rende rigido. Ho visto insegnanti che si aspettano che i principianti eseguano una certa tecnica dopo tre settimane. In Giappone non lo fanno. Possono volerci quattro anni e anche di più.
IBUKI
Ho letto la tua pagina web e la tua idea di “attenzione” mi ha colpito. Ce la puoi spiegare?
KONO
Quando si tratta di yin e yang, tutto si riduce all’equilibrio. È come quando guidi: devi prestare attenzione alla linea centrale e stare nella tua corsia. Per essere equilibrato devi rimanere concentrato e questo richiede attenzione.

IBUKI
Come lo si insegna?
KONO
Per prima cosa bisogna parlare con gli allievi. Va capito che cos’è l’equilibrio. Se non si capisce che bisogna mantenere questo e quel lato in equilibrio, non è inutile continuare. È importante che comprendere cosa significa veramente “equilibrio”. Quando questo è acquisito, sarai capace di cambiare il movimento del tuo corpo per rimanere in una posizione di equilibrio, poiché la situazione cambia nel movimento.
Stiamo cercando di capire cosa significa energia equilibrata in natura, come yin e yang, quindi bisogna essere ricettivi e voler imparare. Di conseguenza, c’è bisogno di una mente aperta, in modo da non essere ostacolati dai nostri pregiudizi.
IBUKI
E cosa faceva O’Sensei?
KONO
Fluttuava con te. Se lo attaccavi, fluttuava con te. So che è un concetto difficile. È così semplice che le persone non possono accettarlo.
IBUKI
Come possiamo comprendere meglio l’idea di “equilibrio”?
KONO
Dobbiamo parlarne. Questo è il tuo studio personale. Se entro in un dojo e inizio a parlare di equilibrio, penseranno che non ha senso. Tutti vogliono imparare la tecnica. Se non vuoi conoscere l’equilibrio, allora è difficile trasmettere il concetto e l’idea di yin e yang diventa difficile da capire.

IBUKI
Stai dicendo che la priorità della tecnica sull’equilibrio è sbagliata?
KONO
Esattamente. La priorità è l’equilibrio. Bisogna combinare la tecnica con l’equilibrio, perché se non studi l’equilibrio, stai solo studiando tecniche. Bisognerebbe studiare qualcosa di valore!
IBUKI
Quando siamo in equilibrio, perché non abbiamo bisogno di conoscere la tecnica?
KONO
Perché quando ci si muove, la tecnica fluisce dal movimento in equilibrio.
IBUKI
Non si è sbilanciati?
KONO
Non c’è squilibrio in yin e yang. Se sei centrato, va tutto bene. Non c’è bisogno di preoccuparsi di tutta quella roba come respirazione, koshi, le cose funzionano da sole nel loro insieme.
Questa è un’arte cognitiva, non è basata sul ragionamento. Si capisce attraverso l’idea di equilibrio, mantenendo entrambi i lati uguali. Se non si è consapevoli di queste cose, la semplice pratica non ti porta a questa realizzazione.
IBUKI
Cosa significa per te la parola “sensei”?
KONO
Per me, Sensei è qualcuno che condivide con gli altri ciò che sa. Sento che mostrare agli altri ciò che so rende omaggio a coloro che mi hanno aiutato ad arrivare dove sono oggi. Tutte le persone con cui sono entrato in contatto hanno plasmato il mio pensiero e la mia visione della vita, per arrivare dove sono. Quindi, quando insegno agli altri, in effetti, condivido anche ciò che sapevano con coloro con cui entro in contatto. Un Sensei di qualità è colui che insegna all’altro ad essere un Sensei ancora migliore di lui.
Henry, grazie mille per avermi concesso questa intervista.
Fonti: Ibuki Norm, Interview with Heny Kono, Aikido Journal, 2003
http://www.aikidojournal.com/article?articleID=435
https://www.aikidobr.com.br/artigos/henry-kono-sensei.php
https://spiritul-aikido.blogspot.com/2014/01/interviu-cu-henry-kono-sensei.html
Italian Translation by Simone Chierchini (2020)
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