
La mente umana è affascinante. Il nostro pensiero infatti è incapace di realizzare linearmente una negazione: necessita di pensare alla frase in modo affermativo e solo in un secondo tempo di negarla. Vogliamo provare a identificare assieme a cosa NON serve l’Aikidō? In anteprima vi presentiamo questo capitolo tratto da “Il Riformatore – A Proposito di Marco Rubatto”, libro nel quale Rubatto, oltre a trattare una serie di argomenti centrali e attualissimi rispetto al corrente sviluppo dell’Aikido nazionale e non, si leva anche diversi sassolini dalla scarpa
di MARCO RUBATTO
La mente umana è affascinante, e lo è per me ancora di più da quando ho scoperto che non contempla l’utilizzo del “NON” in modo diretto! Sì, sembrerà strano, ma il nostro pensiero è incapace di realizzare linearmente una negazione: necessità di pensare alla frase in modo affermativo e solo in un secondo tempo di negarla: quindi se dico: “Spero che l’aereo in cui sono seduto non cada”, la mia mente sarà costretta a visualizzare il crash e quindi a tirargli una riga sopra… come per dire “l’opposto di quello che ho pensato”. Ho quindi provato ad applicare questa proprietà non molto conosciuta della nostra mente alla disciplina che pratico ed insegno; senza l’aspettativa di essere esaustivo o senza l’arroganza di avere la verità in tasca, vorrei riflettere insieme su a cosa NON possa servire l’Aikidō. Vediamo cosa ne esce fuori?
NON serve a diventare capaci a sopraffare un’altra persona con una tecnica marziale, indipendentemente se questa persona è buona o cattiva, ci stia aggredendo o porgendo un fiore, se sia pericolosa o innocua. Se l’Aikidō viene usato per piegare un altro alla nostra volontà diviene una disciplina della coercizione, ovvero qualcosa di molto distante dal suo scopo originale; è possibile che il compagno senta pienamente la nostra energia durante uno scambio, ma essa non deve essere contro di lui, ma al massimo utile a toglierlo da un pericolo che nemmeno ha percepito.
NON serve ad imparare usanze, gestualità, tecniche e metodologie che ci permettano di sentirci migliori di chi non le sa o le ha imparate di meno di noi. Il nonnismo è sempre in agguato, e nella società giapponese molte volte i senpai abusano del loro potere verso i kohai, facendo pesare la propria esperienza. Chi usa l’Aikidō per imporre la sua scomoda figura nei confronti di terzi, fa lo stesso errore citato nel punto precedente. L’Aikidō NON serve a coercire.
Il Riformatore
Intervista a Marco Rubatto
I Dialoghi Aiki #10
di Simone Chierchini, Marco Rubatto
Marco Rubatto è uno di quegli aikidoka che non è divenuto celebre per essere figlio d’arte, per essersi trasferito in Giappone o per aver studiato con questo o con quell’allievo diretto del Fondatore: semplicemente è una persona che dall’età di 19 anni pratica Aikidō, da quando ne aveva 25 lo insegna e che nel 2009 decise di dedicare tutte le sue energie alla pratica ed alla divulgazione di questa disciplina.
Marco ha studiato approfonditamente la lingua, la storia e la cultura del Giappone, luogo nel quale si è recato numerose volte per condurre una personale ricerca ed approfondimento sull’origine dell’Aikidō e sulla vita del suo Fondatore.
In quest’ottica, dall’autunno 2007, ha varato il progetto “Aikime”, che risulta oggi essere una delle maggiori risorse online del settore.
Dal 2017 è Presidente della Commissione Tecnica Nazionale Aikidō FIJLKAM, con la quale ha avviato un profondo lavoro di ristrutturazione, divulgazione ed espansione del Settore Aikidō federale, che prevede la possibilità di creare un polo stabile e ricettivo per la disciplina a livello nazionale.
La sua ricerca sull’Aikidō lo ha portato a rivolgere la sua attenzione alle fasce più giovani d’età, al mondo del disagio giovanile ed ai portatori di handicap.
NON serve a diventare persone illuminate spiritualmente; non è che non si possa utilizzare questa disciplina per progredire ANCHE in un percorso spirituale, ma non possiamo considerare che basti praticare Aikidō per considerare se stessi una sorta di Buddha alle soglie del Nirvana… in grado di giudicare, fra l’altro, tutti gli altri “stolti, incapaci” ad elevarsi ad altrettante ineguagliabili vette. L’Aikidō NON serve a perdere il contatto con il mondo, ma al massimo a radicarne uno di qualità sempre migliore.
NON serve a diventare fisicamente imbattibili, perché abbiamo letto su qualche libro che il Fondatore della disciplina lo sarebbe stato. Chi desidera essere fisicamente sicuro di non essere leso da terzi, si rinchiuda in un bunker atomico con viveri sufficienti al resto della sua vita… ed occhio però anche a manutenere i filtri della ventilazione forzata, altrimenti poi si muore comunque di legionella. L’Aikidō NON serve a coltivare miti tanto inutili, quanto rassicuranti.
NON serve ad imparare ad affrontare un nemico esterno. Come, non serve ad affrontare un nemico esterno??? NO, non serve a questo, l’affrontare un nemico esterno è lo strumento che utilizziamo per osservarci sotto stress e quindi ad imparare di più sul NOSTRO conto… Si tratta quindi di unmezzo, non di un FINE. L’Aikidō NON serve a confondere la luna con il dito.
NON serve a vestirsi in maniera strana, fare finta di essere nati nella Prefettura di Wakayama, parlare strano, venerare Amaterasu Omikami, e andare a mangiare il sushi sentendosi “addetti ai lavori”. L’Aikidō non deriva da una cultura vicina alla nostra e richiede molto impegno per tentare di calarsi in contesti storici, culturali e sociologici molto differenti dai nostri. Questa cosa ci fa uscire dalla nostra zona di comfort, quindi ci permette anche di crescere ma non è il fine della disciplina. Quindi il valore aggiunto NON è quello di sentirsi o apparire più orientali possibile.
NON serve ad accumulare esperienza, gradi, cariche e potere; accade praticando per notevole tempo di ricevere alcune onorificenze legate al nostro percorso, ma niente del quale divenire schiavi o succubi. La disciplina serve a forgiarci, compresi i nostri desideri di “sentirci qualcuno” e di “sentirci arrivati”, portandoci a comprendere come queste siano posizioni di comodo, che in realtà segnano una sorta di limite nella propria possibilità di crescita personale. Gradi, cariche e meriti dovrebbero essere vissuti come normali testimonianze di servizio nei confronti di noi stessi e degli altri. Dall’Aikidō non porteremo via ciò che abbiamo ottenuto per noi, ma ciò che avremo saputo dare agli altri.
NON serve a mentire a noi stessi e agli altri; è possibile fare ciò in moltissimi modi differenti, anche attraverso la pratica dei questa disciplina… diventa perciò importante ricordarci che essa NON serve a questo, anche se saltuariamente è stata utilizzata in passato ANCHE per questo. E noi stessi la potremmo utilizzare ANCHE per questo.
NON serve ad acquisire sicurezza personale. Come, le arti marziali non servono ad acquisire sicurezza? La risposta è paradossale: la sicurezza personale si acquisisce quando si diventa capaci di stare comodi nell’insicurezza. L’insicurezza NON è qualcosa che si può eliminare, ma solo conoscere sempre più a fondo, fino a quando cessa di essere un problema insormontabile. Non si diventa quindi in realtà più coraggiosi, ma si diventa capaci di non avere paura di avere paura. Per questo affermo che l’Aikidō serve a conoscersi sempre meglio, tanto che i nostri limiti di ieri possano non apparirci più così invalidanti un domani. Mi fanno sorridere quelli che sul web dichiarano: “Riapriamo in sicurezza”. Dovrebbero dire: “Riapriamo e ti dimostriamo che pur non essendo mai sicuri di nulla, siamo in grado di affrontare al meglio le situazioni che vivremo”. La “sicurezza” è un mito inutile, come “l’imbattibilità”: serve solo ad alimentare esigenze di estraniarsi da una realtà nella quale esse non hanno alcun posto, né funzione.

NON serve a farsi degli amici. Accade spesso che ciò accada e che amicizie vere, sincere e durature nascano spontaneamente fra i praticanti, ma l’Aikidō è INNANZI TUTTO una strada personale, quindi non è sufficiente praticarlo perché stiamo bene con le persone che ci stanno intorno. Presto o tardi ci fa sentire il limite di ciò, ed avvertiamo che qualcosa si rompe in noi.
NON serve a migliorare la società; al massimo serve a migliorare gli individui che compongono la società, la cui miglioria diviene quindi un “effetto collaterale” del lavoro personale dei singoli. Lo ribadisco: l’Aikidō è INNANZI TUTTO una strada personale!
NON serve a fare soldi, al massimo può essere utile a comprendere che il danaro è una forma di energia che scorre e della quale è bene essere i padroni anziché i servi.

NON serve ad “imparare a fare giusto” qualcosa. I principianti spendono molta della loro energia nel cercare di fare un movimento “corretto” o di copiare più fedelmente possibile il movimento dell’Insegnante… NON che ciò sia del tutto inutile, ma non è così importante fare “bene”, quanto FARE E BASTA. In italiano è pure brutto il significato di “corretto”: vuol dire sia “giusto” che “modificato”, quindi INNATURALE. Ecco, in Aikidō iniziamo a “fare giusto” quando non abbiamo più alcun bisogno di fare giusto e quando i movimenti diventano naturali (ossia l’opposto di “correggibili”).
NON serve a diventare coraggiosi, ma al massimo a smettere di avere paura di avere paura… che non è proprio la stessa cosa. La paura è una componente irrinunciabile dell’esperienza umana, fra l’altro è utilissima. Quindi smettiamola pure di pensare che con una disciplina si possa diventare “immuni” (brutta parola, di questi tempi!) dal provarla. Più importante risulta essere la capacità di toccare le nostre ombre e danzare con i nostri demoni, altro che non provare più paura!

NON serve ad imparare come tenere sotto controllo un attaccante, una persona o una situazione ostile; è utile in realtà all’esatto contrario: apprendere come fare surf sul caos ed utilizzare il conflitto come strumento per smettere di avere bisogno di tenere tutto sotto controllo. Mica la stiamo capendo bene questa cosa nei giorni che stiamo vivendo: bisogna tenere sotto controllo il virus, i cattivi, i violenti… perdiamo volentieri i nostri diritti personali per avere telecamere che ci spiano “proteggendoci” da ogni pericolo. Desideriamo la sicurezza forse più di tante altre cose: ecco l’Aikidō serve a non avere più un bisogno spasmodico e malato di sicurezze;
NON serve a qualcosa, serve semmai a QUALCUNO… magari a TE! Ma è uno strumento, quindi può servire a molto o proprio a poco, dipende da come lo utilizzi.
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