La Scherma Jonica


Lo studio delle armi da taglio nostrane e la cultura relativa sono stati in passato avvolti da una valutazione moralistica e negativa che solo la popolarizzazione delle arti classiche della scherma giapponese e del Sud-est asiatico ha sembrato parzialmente attenuare. Tratto da “Il Professore – Intervista a Maurizio Maltese“, questo capitolo racconta degli sforzi di Maltese per ricostruire le tecniche di quella che lui chiama la Scherma Jonica e il suo retroterra culturale, quello del meridione della penisola pre-unità d’Italia

di MAURIZIO MALTESE

“Facciamo un salto spazio-temporale, professor Maltese. Lei si è anche molto occupato di Arti Marziali italiane, studiando soprattutto i bastoni e i coltelli regionali, e anche armi storiche come la daga e i sistemi di lotta. Ci potrebbe raccontare qualcosa a proposito di questi interessanti studi che ci coinvolgono da vicino?” (Adriano Amari)

“Devo dire che ho nutrito una specie di odio-amore per queste discipline, se non altro perché se è vero che sono cresciuto a Milano e oggi vivo a Lucca, io sono nato in Calabria. Così, come tutti gli abitanti del Sud Italia, abbiamo ‘sentito dire’ di queste cose. Tanto bene di queste attività non si parlava.
“Mia nonna usava dire: ‘Quelli sono fatti di sangue…’. ‘Di sangue’ voleva dire che erano cose di cui era meglio non parlare. A che cosa mi riferisco? A coloro che conoscevano una parte della nostra tradizione, che era legata alla scherma di coltello, spesso semplicemente chiamata solo ‘scherma’ o ‘duello’.

“In famiglia avevamo un esperto di questi sanguinosi duelli, era mio nonno e non era sempre ben visto. Il lato positivo della diffusione delle Arti Marziali filippine e che queste hanno rotto alcuni tabù riguardo alle armi, in particolare quelle da taglio. Aumentando la confidenza con i coltelli e i bastoni mi sono tornate in mente alcune cose che avevo rimosso. Rompendo ogni indugio sono ritornato nei luoghi della mia infanzia e poi, pian piano, in tutto il sud Italia per compiere ricerche sul campo esattamente come le stavo conducendo in Asia. Questa ricerca è andata avanti parecchi anni, intendo dire quasi quarant’anni, e, ogni volta che andavo in Calabria, un posto un po’ difficile dove fare ricerche, cercavo di capire se esistessero legami, tra le discipline di casa nostra, e le Arti Marziali filippine. Nel tempo ho ricostruito un mondo. L’insieme delle mie ricerche confluisce nella mia Scherma Jonica. Si tratta della cultura marziale dei paesi che si affacciano sul mar Ionio, quindi Calabria, parte della Sicilia e della Puglia ma anche dell’Albania e della Grecia. Si pensi che in Calabria esistono comunità albanesi e greche molto antiche.

“Ad oggi sono usciti degli articoli sulle riviste di “coltelli” in Italia, ne uscirà uno su Budo International, con il video didattico allegato.

“Tornando alla ricerca, sono passato poi dallo studio teorico allo studio pratico, come ho fatto anche per altre cose, finendo per mettere insieme un programma organico. Proprio ciò che mancava nell’insegnamento tradizionale.

“Che cosa ho scoperto?  

“Ho scoperto che esiste una vera e propria scuola di coltello che rispecchia in gran parte le tecniche di scherma, quella ufficiale, che troviamo in forma sportiva alle Olimpiadi, ma più precisamente quella che c’era una volta, in cui si usavano tutte e due le braccia. Vi ricordate quello che dicevo prima, riguardo a ‘Spada e Daga’?

“Nella scherma popolare non soltanto si usano tutte e due le mani perché, per esempio, il coltello passa da una mano all’altra, ma anche perché, spesso e volentieri, l’attacco con il coltello è accompagnato dalla giacca, che fa da scudo, come se fosse un mantello, dal cappello, o dalla cintura, per fare un esempio.

“Si usano anche le due armi, una per mano, la combinazione più classica è il doppio coltello. Esistono anche combinazioni bizzarre: il coltello in coppia con un sasso, oppure con una bottiglia, uno sgabello e così via. Ora, se le Arti Marziali che ho trovato nel sud-est asiatico sono stati dei cocci che ho dovuto mettere insieme, dei frammenti, ebbene, qui i frammenti sono molto più piccoli, più variegati, per questo c’è voluto un sacco di tempo per mettere insieme un sistema che sopravvive da secoli. Infatti il sistema è antichissimo, perché risale indubbiamente all’antica Grecia. Ricordo che soprattutto la Calabria era Magna Grecia. Si pensi che ci sono ancora cinque paesi in cui il dialetto è l’antico greco: sono chiamati ‘paesi della Grecanica’. Pochissimi sanno che, per esempio, a Crotone, Pitagora era anche un maestro di pugilato e di lotta. Il mondo lo conosce soltanto per il suo teorema, ma era anche un esperto delle Arti Marziali del tempo. Soprattutto era il maestro di Milone, il più grande e imbattuto pugile e lottatore dell’intera Grecia dei suoi tempi.

“Esiste una grandissima tradizione, che sopravvive ormai a stento; le condizioni sociali e politiche hanno fatto dimenticare tutto quello che c’era di valore nel Sud. Da poco tempo ho scoperto che durante la Prima Guerra Mondiale, quando gli italiani fronteggiavano gli austriaci, i calabresi si sono distinti per il loro straordinario valore e mi riferisco in particolare alla Brigata Catanzaro, dal
nome del paese oggi capoluogo della Calabria.

“I membri della Brigata Catanzaro, come tutti i soldati di quell’epoca, avevano equipaggiamento scarsissimo; avevano poche armi e un abbigliamento sommario ed inadatto. L’unica cosa che sapevano usare bene, era il coltello. E l’impiego dell’arma bianca non l’avevano certo imparato facendo il soldato. A testimonianza di quanto sto dicendo c’è un articolo della Domenica del Corriere di quei tempi, che ricorda come ‘la baionetta recuperò il cannone’. Significa che questi valorosi della Brigata Catanzaro hanno guadagnato una medaglia d’oro, e una d’argento, compiendo imprese straordinarie nelle terribili guerre di trincee. Questa è storia, che si può andare a ritrovare.

“Come per gli antichi greci, da cui discendiamo, indipendentemente dal numero e dall’equipaggiamento, il nemico si sconfigge nel corpo a corpo. Oggi noi magnifichiamo i reparti speciali di questo o quel posto; tuttavia, i nostri erano reparti molto speciali, perché senza niente, solo con la baionetta, riuscirono a riconquistare terreno e armi pesanti.

“Perché non c’è pubblicità su questi episodi di valore? Molto semplice, perché a seguito di queste sanguinose battaglie ci fu un ammutinamento, causato dal fatto che, in quanto bravi, e provenienti dal Sud, venivano sfruttati, oggi si dice come ‘carne da macello’. Venivano mandati continuamente al fronte. Dovevano colmare le profonde lacune di una catena di comando fragile ed inefficiente. Ad un certo punto si stufarono e si ammutinarono. La conseguenza fu terribile ed ingiusta: la decimazione. Decimazione vuol dire che alcuni, presi a caso, sono stati fucilati. Quel giorno era presente anche il grande poeta italiano Gabriele D’Annunzio. Stava lì tra gli ufficiali ed ha testimoniato, anche con una poesia, la vicenda della Brigata Catanzaro. Non si tratta di una pagina limpida per l’Esercito Italiano. Quindi come si fa sempre in questi casi, si insabbia. Soltanto adesso la stiamo riscoprendo.

“Quegli uomini di valore hanno messo a buon frutto l’abilità nel combattimento con il coltello. Da quelle parti l’arte di combattere con il coltello era attività comune. Ai tempi dell’Unità d’Italia si creò il fenomeno del brigantaggio. Il brigante, che una certa propaganda politica ha presentato come un ladro, un delinquente, in realtà è più assimilabile a Robin Hood. Il brigante era colui che rifiutava di rimanere strozzato sotto le tasse che il Nord imponeva al Sud. Si trattava di uomini e di giovani che rifiutavano di fare il servizio di leva imposto dal governo piemontese, per non lasciare la propria famiglia senza le necessarie braccia da lavoro, mettendo a rischio la sopravvivenza. L’unica soluzione era darsi alla macchia e iniziare l’attività di brigante. La battaglia da parte del nuovo governo fu feroce ma non potendo debellarla sul piano militare i nuovi governatori usarono anche la propaganda e la diffamazione.

“Poiché nella zona più a sud della Calabria – nell’area di Reggio Calabria per intenderci – c’erano già delle organizzazioni mafiose che noi tutti oggi conosciamo come ‘Ndrangheta, la propaganda ha fatto assimilare il brigante al ndranghetista, al mafioso. Al contrario, non c’era nessun legame tra l’uno e l’altro. Pensate che in alcuni testi di storia si dice addirittura che la mafia nasce dal brigantaggio, cosa assolutamente falsa, perché non c’è alcun legame. Questa forzata e fasulla associazione, ai mafiosi andava bene. Agli uomini della cosiddetta onorata società andava bene essere assimilati agli ideali del brigante che rubava ai ricchi per aiutare i poveri, che lottava contro i soldati regolari per mantenere la famiglia. Per i piemontesi diventava gioco facile screditare il brigante come un losco figuro mafioso che pensa solo a se stesso arricchendosi con furti e omicidi.

“Tuttavia non si trattava di una organizzazione di beneficenza né tanto meno di gente accorta, per questo furono facilmente manipolati ed impiegati per scopi di questo o di quel gruppo di potere. Ma ai nostri fini non interessa in questa sede fare un’analisi storica precisa.

“Che c’entra questo con le Arti Marziali?

“Presto detto.

“Il brigante era un grandissimo esperto nell’arte del bastone e del coltello, perché di altre armi non ne avevano e anche quando c’erano funzionavano malissimo. Pensate alle moderne armi da fuoco che rischiano ancora oggi di incepparsi, figuriamoci quelle del tempo.

“L’attività del brigante, ossia, come abbiamo spiegato, assaltare e rubare per distribuire la ricchezza predata alla famiglia o al proprio villaggio, oppure per tenersela lui stesso, poteva svolgersi in un solo modo, attraverso il corpo a corpo con il coltello o con il bastone. Nacque quindi l’esigenza pratica di coltivare quella che oggi definiremmo ‘disciplina marziale’. Bisognava prepararsi dovendo andare a combattere spesso contro una guarnigione ben addestrata, formata da militari professionisti.

“Il brigantaggio è stato sconfitto in quanto non organizzato, ma frutto di operazioni di singoli, mentre, invece, come tutti sappiamo, la mafia non solo non è stata sconfitta, ma è stata assorbita dal potere centrale. Il mio intento non è fare l’elegia del brigante che presto divenne, almeno in alcuni casi, un feroce malavitoso, ma solo cercare di capire come, oltre alle scuole dell’onorata società, l’arte del bastone e del coltello sia stata coltivata in ambiti diversi per garantire la propria sopravvivenza.

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Il Professore
Intervista a
 Maurizio Maltese
I Dialoghi #12 – di Adriano Amari, Maurizio Maltese, Simone Chierchini

Il professor Maurizio Maltese, uno dei maggiori studiosi e praticanti italiani di Arti Marziali, si dedica da diversi decenni allo studio dell’uomo e al potenziamento delle sue forme espressive. Lo ha fatto attraverso un’ampia gamma di modalità, che non si limitano alla ricerca sulle arti marziali. Nel corso del tempo si è infatti dedicato a varie espressioni del movimento corporeo, ma anche a musica, teatro, scrittura e metodi di auto-conoscenza.
Al centro di questa sua attività vi è l’interesse cosmopolita per la cultura dei popoli che nella loro diversità si sono distinti nello sviluppo di attività corporee come veicolo per l’educazione e la formazione dell’individuo.
Caratteristica di Maurizio Maltese è l’interesse per la diffusione della conoscenza, interesse questo che si è espresso anche attraverso un’intensa attività editoriale. In numerosi libri, ha trasmesso le esperienze maturate anche nella conoscenza diretta di culture orientali (Malesia, Indonesia, Thailandia, Filippine, Vietnam).
Maurizio Maltese ha inoltre contribuito con numerosissimi articoli, apparsi su diverse tipologie di riviste, alla diffusione delle discipline della formazione dell’uomo.

Contenuti: Introduzione. L’Approdo alle Arti Marziali del Sud Est Asiatico. Note su Kali e Pencak Silat. Koichi Tohei Incontra Floro Villabrille. “L’Apertura È Cosa Buona ma Dipende chi la Fa!”. La Cultura È Fluida. L’Impossibilità della Generalizzazione Riguardo le Strategie Tecniche. La Scherma Jonica. L’Importanza del Flos Duellatorum. I Principi Etici nelle Arti Marziali del Sud-Est Asiatico. Lo Sviluppo Odierno di Kali e Silat in Italia. “La Lama e l’Archetto”. Feldenkrais e il Close Combat. Le Discipline Psico-Fisiche. Conclusione. Il Curriculum di Maurizio Maltese. Note.

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