L’ Erede – Hiroo Mochizuki Sensei, la Trasmissione delle Arti Marziali (2)


La prima parte di questa intervista riporta molti ricordi del Maestro e il suo incontro con Ō Sensei Morihei Ueshiba. Questa, la seconda, parla più approfonditamente della sua scuola, lo Yōseikan Budō e dei problemi delle Arti Marziali nei tempi moderni.

di ADRIANO AMARI

Lo Yōseikan Budō

Amari – Parliamo ora dello Yōseikan Budō, una disciplina marziale che è progettata come completa.

Hiroo Mochizuki sensei – Lo Yōseikan Budō… molte persone che dicono che è un insieme di molte cose, e che questo mettere insieme non è buono, perché il Jūdō è il Jūdō, il Karate è il Karate, perché è necessario separare in discipline differenti. Mio padre ha sempre pensato l’Arte Marziale come un sistema educativo, per prima cosa, per sviluppare la capacità di adattarsi alla nostra società, perché chi non la sviluppa rimane sempre indietro e non può salire ad un alto livello. Dunque, consideriamo l’aspetto educativo, questa capacità d’adattarsi: all’epoca dei Samurai andava bene, perché i Samurai non usavano solo la spada, dovevano sapere di tutto, nella loro formazione c’era il nuoto, l’equitazione, la strategia contro l’avversario – non solo come combattimento singolo, ma anche nel combattimento di gruppi, guerre contro altri popoli. La parte della strategia è molto importante, bisogna sapere utilizzare tutto per riuscire a vincere, se è possibile portare delle novità ed essere più forti dell’avversario. Nella società moderna capacità di adattamento è indispensabile, altrimenti si rimane indietro.

Hiroo e Minoru Mochizuki sensei (1987)

L’Aikidō è diverso, non ha competizioni, ma ha una forma di allenamento e studio un po’ differente, il sistema non è come il Jū Jutsu, utilizza anche il Jō e la spada, ma è sempre un sistema separato. Nell’insieme odierno delle Arti Marziali c’è molta separazione, ciò malgrado oggi il sistema funziona. Ma, nel senso dell’evoluzione della nostra società io penso che questo sistema di separazione, di specializzazione, non sia una soluzione interessante. Per esempio, nella scuola viene data prima una parte di formazione generale, poi si entra nella specializzazione. La formazione generale ritengo che sia indispensabile nella nostra società attuale.
L’Arte Marziale, deve andare avanti parallelamente al progresso della nostra società, tecnicamente bisogna progredire insieme. È un punto difficile, complicato. Mio padre nel suo Dōjō aveva varie sezioni: Jūdō, Aikidō, Kenjutsu che gestiva in prima persona e gli allievi apprendevano tutto in modo separato. L’idea era che gli allievi seguissero più corsi, ma questo non è facile perché non tutti possono fare tutto: c’è il lavoro giornaliero che già è una difficoltà, poi le Arti Marziali non sono per tutti un impiego specialistico, in realtà ci sono pochi specialisti in questo campo, i più non sono professionisti, non hanno tempo. Così, oggi chi ha appreso Jūdō fa Jūdō, chi ha appreso Aikidō fa Aikidō, chi ha appreso una forma di Jū Jutsu fa Jū Jutsu. Il Kenjutsu e lo Iai, ancora, si fanno separatamente.
Mio padre ha cercato assolutamente di fare le Arti Marziali come un metodo completo per la salute, per lo sviluppo dell’individuo in modo completo. Così un giorno mi ha detto: “C’è una parte di discipline che mancano nella nostra scuola, occorre aggiungerle, è un settore di studio che devi fare!”. Ho fatto questi studi, dapprima il Karate, poi mi ha chiesto di apprendere un po’ di Boxe inglese e l’ho fatto. Lui l’aveva vista in Europa e la riteneva più consona di amalgamarsi a Jūdō e Aikidō rispetto al Karate. Ha un ritmo più concorde, quello del Karate non lo è. Ma è un lavoro difficile con il sistema sportivo attuale, tutte le discipline sono separate, la lotta è la lotta, la boxe è la boxe, completamente separate. Il baseball è il baseball, non si mescola affatto con il calcio. L’Arte Marziale è per raggiungere la salute, ma questa “salute”, non è possibile arrivarci col sistema “separato”. 
Un giorno, un colpo di fortuna, trovai il modo di inviare energia in modo da sfruttare tutto il potenziale del corpo umano. Un movimento a onda, come il mare, l’onda che porta massa ed energia, una potenza inviata come il colpo di frusta dei cowboy, scorre come un’onda all’estremità della frusta e li si scarica nell’impatto.

“La Grande Onda di Kanagawa” (Hokusai) rappresenta bene la potenza del movimento ondulatorio

In questo sistema [2], il movimento delle proiezioni è la stessa cosa di quello dei colpi (Atemi), poi gli Atemi sono la velocità, le proiezioni da Jūdō sono la potenza, poi ci sono le tecniche di leva. Ho cominciato a fare esperimenti e incroci e finalmente attraverso il metodo è possibile lavorare più campi con lo stesso sistema. Un esempio semplice: la tecnica di Jūdō tipo Uchi Mata corrisponde all’Ushiro Geri del Karate e la tecnica del colpo di pugno circolare (Mawashi Tsuki) è come il Tai Otoshi, la falciata O Soto Gari e l’Harai Goshi corrispondono all’Ura Mawashi Geri. Quando utilizzo il corpo dell’avversario, del partner, faccio un lavoro che favorisce la muscolazione, quando lavoro tipo Karate o Boxe inglese lavoro sulla velocità. Poi nel Karate c’è il controllo, così non tocco, mentre nella Boxe c’è contatto, il sacco, i guanti. Di conseguenza ci sono differenze nel lavoro muscolare. Il Karate o la Boxe hanno un tipo di lavoro per cui non si possono avere muscoli potenti. Io cerco un’attività completa, attraverso la quale non ho bisogno di ricorrere a pesi o altre pratiche per sviluppare in completezza il mio corpo. Grazie al lavoro di proiezioni combinate ho un lavoro di muscolazione, i muscoli crescono potenti e, nello stesso tempo, grazie alla forma degli Atemi acquisto velocità, sono delle cose che si incastrano tra loro.
In seguito, dopo la scoperta dell’invio di potenza, tutte le armi giapponesi, la spada, la Naginata e così via, seguono tutte lo stesso sistema dell’invio dell’energia, è la stessa cosa.
I giapponesi dicono sempre “Hara”, la vibrazione ha origine nel bassoventre e questa potenza viene trasmessa attraverso il flusso di questa vibrazione, vale a dire grazie all’onda, attraverso le spalle, le braccia e, finalmente, arriva all’arma. Qui ho scoperto perché i Samurai riuscivano a adempiere a un piano d’addestramento così ampio: spada, lancia, lotta, nuoto, equitazione. Anche nell’equitazione c’è l’onda. Il bacino deve essere morbido a livello dei lombari e dell’anca, se non è morbido non va bene, deve accompagnare il movimento del cavallo. Questa è l’onda. Io ho scoperto perché i Samurai riuscivano a fare tutto questo, non conoscevano l’onda, ma l’utilizzavano. Quando utilizzo questo sistema realizzo la completezza e lo scopo della salute nelle Arti Marziali, e funziona.
Ho chiamato il mio lavoro Yōseikan Budō, l’idea di base è di mio padre, che ha costruito un Dōjō che si chiama Yōseikan, così in omaggio a lui ho utilizzato il nome Yōseikan, poi ho aggiunto “Budō” perché così si mettono insieme tutte le Arti Marziali.

L’emblema dello Yoseikan Budo

Mitchi Mochizuki – L’immagine che ho spesso visualizzato per ogni Arte Marziale è quella dell’albero con il suo tronco. Differenti tipi di albero, differenti Arti Marziali. Alcuni cercano di formare un unico albero unendo rami di questo a rami di quello, ma così non funziona. Lo Yōseikan Budō stabilisce un tronco e le sue radici, da qui con il sistema del movimento-onda per l’invio della potenza, per la sintesi della meccanica corporea e la partecipazione della mente, così gestisce i suoi vari e differenti rami. 
I rami di alberi differenti sono Arti Marziali differenti. L’inverso è avere un albero solo attraverso il sistema ondulatorio, il sistema fondamentale per lanciare la potenza e per utilizzare il proprio corpo, così si dà potenza ai rami e si possono innestare proficuamente rami che vengono da altri alberi. Si ottiene un sistema che permette a ogni individuo di svilupparsi e anche di recuperare cose che vengono da altri sistemi e di utilizzarli nella dinamica dell’onda.

Hiroo Mochizuki sensei – Esattamente, si può visualizzare così. Il tronco è il primo elemento. Quando hai compreso il principio del tronco e dei rami si vede che il movimento dell’onda è utilizzato in tutti gli sport. Si prenda il baseball, il servizio del tennis, o il calciatore quando utilizza un buon colpo di piede e invia il pallone lontano. Quando si osserva bene, si vede che utilizzano il movimento ondulatorio del corpo per l’invio della potenza e questa viene inviata verso l’alto, per esempio verso la racchetta, o verso i piedi. Non sono solo le Arti Marziali che la utilizzano, che utilizzano tutto il corpo per inviare energia.

Mitchi Mochizuki – Insegnare in un corso di Yōseikan Budō il modo con cui si utilizza l’ondulazione: non è basato sulla specificità di ogni disciplina, è tutto il contrario, è basato sul punto comune che esiste tra differenti discipline, tra Atemi, proiezioni, leve ed armi. È questa la base del nostro insegnamento. La gente deve possedere un tronco solido, poi può sviluppare in un modo autonomo e più libero. La nostra non è una scuola completamente chiusa, non è un libro di dottrine stampate e immutabili, è una scuola con molte pagine bianche che ciascuno può scrivere. Ciascuno può continuare a sviluppare delle cose personali, c’è un buon numero di esperti ricercatori nello Yōseikan Budō, ognuno dei quali sviluppa delle forme specifiche sulla base di tutti i concetti fondamentali dello Yōseikan Budō.

La Spada (Kenjutsu e Iai) è un punto centrale della didattica e nella pratica

Hiroo Mochizuki sensei – Nella formazione dello Yōseikan Budō ho utilizzato Jūdō, Kendō, lo stesso Karate. I Karateka anziani dicono sempre “Kime”, che ci vuole Kime. Ho visto una dimostrazione del Maestro Higaonna, un grande maestro di Karate tradizionale. Ha fatto un Kata, un Kata senza tecniche di calcio, ha inviato l’onda, la vibrazione, come l’onda del mare. Questo è Kime, ha ben compreso il Kime e lui lo ha chiamato Kime. Ma molti karateka non hanno compreso il Kime, fanno solo dei movimenti veloci! Questo è buono, è valido? No! Alla fine, non c’è Kime, mentre questo c’è nella tecnica di pugno di Higahonna sensei, si vede che quando tocca c’è penetrazione, non è superficiale, ma piuttosto l’energia attraversa il corpo. Questo è Kime, questo coincide con il sistema dell’onda, l’onda-shock. Gli Jūdōka, i buoni Jūdōka sono decontratti, veramente rilassati a livello delle braccia, per tirare o spingere nel Jūdō ci vuole molta forza, ma bisogna stare morbidi e inviare improvvisamente la potenza, così l’avversario viene squilibrato e proiettato. Lo squilibrio è Kuzushi, per squilibrare l’avversario si utilizza il movimento della vibrazione e nella proiezione, vediamo ad esempio l’Hane Goshi, è la stessa cosa dello Yoko Geri del Karate, è un’onda sul piano laterale del corpo. L’invio dell’onda nelle altre Arti Marziali si chiama Kime, esiste anche in quelle.

Un altro esempio, mio padre con la spada di fronte a me, Bokken contro il Bokken, inviava l’energia, l’onda abbatteva il mio Bokken (Harai), ma è un piccolo movimento, lui lanciava l’energia a contatto e il mio Bokken veniva spostato, e tutto il corpo viene squilibrato di conseguenza. È così, si tocca appena, si mette fuori linea la spada dell’avversario, è uno “squilibrio” con un piccolo movimento. Chiaro e netto, è l’onda, c’è la vibrazione. Quando ne parlavo, mio padre rispondeva, no, è la forza. Mio padre non comprendeva l’onda, così non era possibile discutere. Allora mi fermai e gli dissi: “Questa è l’onda, nelle Arti Marziali si chiama Kime!”. Quello che hai detto, la tua spiegazione, corrisponde bene [rivolgendosi al figlio].

Amari – Hiroo sensei, lei, in una intervista di anni fa, aveva detto che la Spada era “il sale” delle Arti Marziali e ha sempre portato quest’arma come “centro” della disciplina. Può illustrare il suo punto di vista ai nostri lettori?

Hiroo Mochizuki sensei – L’ho detto, lo Yōseikan Budō viene dalla spada, dalla Katana giapponese, è logico. Mio padre ha appreso la scuola Katori Shintō Ryū, ha fatto Kenjutsu, Kendō e ha lavorato soprattutto con Maestro Kanō e con il Maestro Ueshiba, che erano discendenti dai Samurai giapponesi. La tecnica dell’Aikidō è pensata sempre contro un attacco di spada, principalmente nella forma Men Uchi e contro questa tecnica sono previste schivate, un lavoro di lama contro lama (Shinogi), delle forme di bloccaggio come le tecniche di Naginata, di Yari, che utilizzano un ampio braccio di leva, per avere più potenza dell’avversario. Tutto viene dalla materia “armi”, il sistema utilizza molto la spada e anche la Naginata, che è come la spada [uno dei significati del nome “Naginata” è “grande spada” – 長刀], ma ha un braccio di leva più grande, per cui è più facile comprendere l’utilizzazione del braccio di leva. La Katana ha un braccio di leva più corto, si vede meno questo principio, che è facilmente visibile nell’arma lunga. Nell’utilizzare la leva si usa la mano di dietro che è più importante, la mano davanti è pure utilizzata, ma meno. La mano davanti non si deve muovere, deve evitare di aprirsi, se si apre si forma un’apertura, così deve dare la sensazione di uno scudo.
Questa è la base, non è come il Karate, qui la base è l’utilizzazione contemporanea delle due mani anche su piani e direzioni diverse. Le tecniche d’Aikidō, ad esempio il Robuse, che ora viene chiamato Ikkyō, utilizzano le due mani, quella davanti fa un movimento e quella di dietro ne fa uno differente, non vanno nello stesso senso, ma così creano il disequilibrio. Si, tutto viene dalla spada, la Katana.

Amari – Una delle cose che ho notato sin dai primi tempi, come allievo e istruttore della scuola Yōseikan, è la differenza di “linguaggio” all’interno delle singole realtà nazionali, differenze che provengono dalla specifica cultura e modo di pensare di ogni popolo. Si tratta di un fatto che è successo e succede in tutte le Arti Marziali, comprese le Koryū, quando vengono diffuse mondialmente.
Queste “differenze”, possiamo chiamarle anche “punti di vista”, da una parte sono garanzia di pluralismo e ricchezza di interpretazioni, dall’altra possono rendere incerta la struttura tecnica e didattica della scuola, soprattutto in una scuola così giovane e ampia come la nostra. Vorrei chiedervi come valutate questo fatto.

Hiroo Mochizuki sensei – È vero, lo Yōseikan Budō, quando lo si guarda, ogni paese interpreta in modo differente la stessa cosa, ma è un fatto normale, tra i nostri praticanti c’è chi ha cominciato col Karate, chi con l’Aikidō e, di conseguenza, può comprendere le cose in un modo differente. È normale, è complesso, è perché lo Yōseikan Budō corrisponde a tutti i campi delle Arti Marziali, così:

  • chi ha fatto Aikidō quando comprende come utilizzare l’invio dell’energia attraverso il movimento dell’onda, a quel punto arriva a comprendere anche la tecnica dei pugni e dei calci;
  • Similmente il karateka, che conosce la tecnica di pugno e di calcio, quando ha acquisito come inviare l’energia dell’onda, a quel punto arriva a comprendere le proiezioni, le leve articolari.

Si può venire da tutte le direzioni per arrivare al centro. Così l’interpretazione diventa differente. Su questo fatto io sono molto tranquillo, perché ho due figli che sono stati sempre con me, hanno conosciuto pure mio padre, lo hanno comparato con me. Io parlavo di una cosa e lui ne diceva un’altra differente, io dicevo onda e lui diceva forza, per esempio. Nondimeno anche lui ha usato l’invio dell’onda.
Ci sono diversi elementi che differenziano lo Yōseikan Budō da altre discipline…
Nella Naginata io utilizzo tutte e due le mani. C’è un aspetto tecnico e psicologico importante: quando la gente utilizza questa arma, nella presa e nella posizione danno più importanza alla mano anteriore, ma è chi non conosce affatto come maneggiare la Naginata che muove la mano anteriore. Chi ha ben compreso muove la mano posteriore, quella anteriore non si deve muovere molto. Questo è interessante, perché i due emisferi celebrali, è come collidessero.
Se adesso consideriamo la tecnica con le mani nude, il colpo di pugno impegna solo un lato. Se utilizzo il destro è l’emisfero sinistro ad agire, e nella scherma occidentale è pure così. Ma le armi, come la Naginata, lo Yari, il Bō, il Jō, è molto chiaro l’utilizzo della mano anteriore e della mano posteriore, ed è al contrario. Questo è molto interessante per lo sviluppo del cervello.

Michihito (Mitchi) Mochizuki

Amari – Questo è un altro elemento che Lei include nel concetto di “salute” e capacità di adattamento del praticante.

Hiroo Mochizuki sensei – Io ho cercato di riunire tutto, valorizzare tutto l’insieme e mettendolo alla prova nel senso dello sport competizione. Quando si fa competizione si arriva a poco a poco a fare di tutto, tecniche di piede, proiezioni, leve, lotta a terra, tutto è unito insieme e senza accorgersene si fa muscolazione, gli allungamenti, e per la testa è una buona educazione, perché non è come la ginnastica, gli stessi movimenti ripetuti. Non è solo un allenamento ripetitivo, obbliga a riflettere, modificare, correggere. È molto più complesso e completo della ginnastica.
In questa varietà si possono usare le leve come esercizio fisico con il partner, controllare, oppure tirare di scherma con il bastone di sicurezza. Così anche chi non è più giovanissimo può fare cose molto buone ed essere forte. Questo grazie al confronto. La competizione sportiva è molto utile per far questo.
Comprendere veramente lo Yōseikan Budō, è saper fare tutto, tecniche con la spada, Naginata, lancia. Si, bisogna farle, conoscerle ma non è la forma del Kata, è la forma del Kumite, oppure quella del Kumidachi, che è differente. 
Il Kata viene esercitato in modo che si fanno tutti i movimenti differenti, per la conoscenza tecnica ma spesso manca la base di come utilizzare la Naginata, continuo con questo esempio, poi col Kumidachi si sviluppano molte tecniche, ma il fondo, la base, è quello che devono comprendere tutti per l’avvenire. Io non ho problemi perché i miei figli hanno compreso e vogliono continuare la mia strada. 
Trovo molto importante la pedagogia su cui ancora faccio ricerche.

Mitchi Mochizuki – Oggi lo Yōseikan Budō è diffuso nel mondo, in molti paesi differenti, le interpretazioni differiscono da paese a paese e da un insegnante ad un altro. Per questo abbiamo ufficializzato la “scuola Mochizuki”, per disciplinare l’esecuzione dei Kata e del loro sistema di applicazione. Io sono in linea, sul web, disponibile per la gente che è interessata, mi muovo perché il sistema perduri nel tempo, come controllarne lo sviluppo nelle sue grandi linee.

Hiroo Mochizuki sensei – L’idea della “scuola Mochizuki” è stata una tua idea ed è una buona idea, perché penso che così più persone comprendono meglio.

L’emblema della “scuola Mochizuki”

Amari – Continuando sul punto precedente, lo Yōseikan Budō vuole essere accessibile a tutti. Ma esiste una differenza di impegno e costanza tra allievo e allievo. Anche più avanti, arrivando ai ruoli didattici, assistenti e insegnanti, tra gli stessi c’è una varia differenza d’impegno e capacità d’approfondire. C’è chi vuole solo giocare, e chi desidera approfondire la sua crescita attraverso la disciplina in tutti i suoi aspetti.
È una cosa naturale ed è anche logico che vi siano differenti sfumature su cosa interessa da persona a persona. Però dovrebbero esserci degli sviluppi diversi secondo le possibilità, le capacità e gli interessi dei singoli. Vi chiedo cosa ne pensate.

Hiroo Mochizuki sensei – C’è chi si allena per sport, per sudare, e chi cerca di comprendere più a fondo lo Yōseikan Budō e di conoscere attraverso lo Yōseikan Budō. Sono molte persone che pensano differentemente, è una cosa normale, umana. Per me lo Yōseikan Budō deve passare oltre la teoria, deve essere reale e corretto. Per questo, l’esercizio di competizione è molto importante, bisogna essere forti, se si è capaci solo nella teoria non può uscire qualche cosa reale dallo Yōseikan Budō. Ci sono molti metodi, Kata, tecniche, ma ci deve essere pure la forma dell’efficacia. Ma la forma deve essere molto tecnica, altrimenti non si conoscono affatto le basi corrette, sarà un niente di tutto. Occorre riflettere bene su questo punto.                                                                                                                                                           

Mitchi Mochizuki – Per esempio, questo corrisponde all’evoluzione normale dell’essere umano. I giovani vedono soprattutto l’opportunità di combattere, poi, a poco a poco ci si approccia di più alla tecnica, si interessa a cose più tradizionali, a volte esoteriche, filosofia ed altro. È uno sviluppo naturale. Così, per esempio, si deve organizzare bene un corso, è importante che gli allievi comprendano i fondamenti dello Yōseikan Budō. Può essere che un giovane principiante quando inizia, il tradizionale per lui può essere meno interessante rispetto al percorso per il combattimento pugni/calci. L’interesse è per il combattimento con proiezioni al suolo, la competizione, praticamente. Però posso progressivamente organizzare delle parti tematiche, ma da me tutte le parti tematiche devono essere elaborate attorno un punto comune, si deve organizzare in modo che le persone si spostino da una parte tematica ad un’altra, così ognuno può passare da una parte ad un’altra in funzione di quello che vogliono fare, dell’età e del bisogno del momento. Può essere che dopo qualche anno qualcuno sia più interessato ad una parte più tradizionale, trovi che la parte tecnica è interessante, che si muove più facilmente, vede la similitudine e non le differenze, vede che è un lavoro della stessa cosa nel piano tecnico, se ne accorge e piano piano si avvicina al combattimento. Io cerco di fare corsi dove la gente magari viene all’inizio semplicemente per divertirsi e poi, a poco a poco, diventa un vero praticante di Arti Marziali. Senza forzarlo ad apprendere l’insieme della disciplina, che non è tra i bisogni della persona all’inizio.

Amari – Lo Yōseikan Budō insegna un modo completo e valido di “leggere” i Kata, un sistema fondamentale che la maggior parte delle discipline moderne ha perso. Potete descrivere ai nostri lettori questo sistema?

Hiroo Mochizuki sensei – Il Kata…Molta gente lo ha identificato come una forma di schema, mette tutto all’interno di questo schema, poi si comporta come se fosse in una catena di montaggio e chiama questo Kata. La parola Kata è scritta così (traccia dei segni in aria), quando si traducono questi ideogrammi agli europei si dice semplicemente “forma”, ma significa una forma di allenamento e dunque cambia e progredisce, è una cosa vivente, non è affatto uno schema. Questo è il vero Kata, quando si usa nella forma di schema si fanno molti errori, si crede che il primo movimento sia così, il secondo cosà, il terzo in un altro modo. Alla vista più o meno corrisponde, ma non è affatto la vera idea della forma, non c’è approfondimento. È una cosa terribile, perché chi fa così può conoscere molti Kata, ma in fondo non ha compreso niente, non ha capito nemmeno un Kata, non ha capito la profondità del lavoro, così non possiede efficacia, e senza efficacia non ho appreso nessun Kata. Questo è un problema della pratica attuale del Kata. Ci sono maestri molto conosciuti, quando li vedo non posso fare a meno di osservare che non hanno capito la sostanza, e la gente li segue. È molto sconfortante, dannoso.

Hiroo Mochizuki sensei e i figli Michihito e Kyoshi

Mitchi Mochizuki – Nello Yōseikan Budō uno dei primi studi che si fanno è quello per l’applicazione dei Kata, come utilizzare il Kata nel combattimento, è anche un modo per comprenderlo e realizzarne la memoria. Il primo punto in questa pratica non far dimenticare le combinazioni che (si rivolge a Hiroo Mochizuki sensei) tu hai congegnato originalmente e poi formalizzato nei Kata, e che saranno tramandate nelle generazioni, ma è anche qualcosa che qualcuno impara ad interpretare nel nostro modo, che, di norma, dal Kata occorre prendere degli spezzoni e applicarli nel combattimento. Quando questi sono resi applicabili nel combattimento, il Kata cambia e si modifica in modo personale, la base è uguale ma diventa personale grazie all’esperienza di combattimento. La prima cosa importante è il Bunkai, l’applicazione del Kata, e in seguito si utilizza il Kata solo per ricordarsi queste cose, è una memorizzazione del Bunkai, fatta da ognuno in modo differente. Quando divieni insegnante, il Kata diventa un repertorio di ricerche. Vi do un esempio, prendo Happoken Shōdan, il primo Kata dello Yōseikan Budō: i primi quattro movimenti a volte si interpretano come leve, a volte come proiezioni, altre volte ancora come Atemi. Personalmente, in seguito trovo delle maniere differenti secondo le caratteristiche dei miei allievi, perché uno è abile con le gambe, un altro è bravo nel corpo a corpo e altri sono a loro volta differenti, per me è un campo che uso per ricercare e sviluppare delle nuove cose a partire da una base e la base è il Kata.
Il Kata non è una finalità, è una base di lavoro, un campo di ricerche.

Hiroo Mochizuki sensei – Bene, è così, questo è il Kata, cosa vuol dire. Purtroppo, molta gente che fa un Kata non segue questo metodo, e questo è un danno.

Mitchi Mochizuki – È il Kata Kata-strofico!

Amari – Se si guardano le Arti Marziali tradizionali, le Koryū ci sono varie didattiche per “trasportare” i concetti dei Kata nel combattimento. Nelle discipline più moderne il Kata è spesso diventato solo una ginnastica coreografica valutata per i suoi contenuti estetici. 

Hiroo Michizuki sensei – Nello Yōseikan Budō noi rispettiamo la tradizione, lo stile antico. Come nel Jūdō c’è il Koshiki no Kata, mio padre ha elaborato il Tai no Kata, non è affatto per applicazioni di tipo sportivo, è un po’ rigido, e in seguito c’è lo Hyōri no Kata, il Gen Ryū no Kata, sono un po’ particolari, ma vanno guardati come una cosa che viene da lontano, non è sempre nel senso dell’immediato.

Mitchi Mochizuki – Tai no Kata è una forma che vuole richiamare il combattimento a mani nude con l’armatura e vi sono inserite delle tecniche di Sumō. Hyōri no Kata è un Kata di leve e contro leve, le “due facce” di una tecnica. Gen Ryū mostra le stesse tecniche e principi con la spada e a mani nude, è quello che si vede in Aikidō, utilizzare le stesse tecniche col Bokken e a mani nude. Poi c’è il Tai Sabaki no Kata.

Hiroo Mochizuki sensei – Il Tai Sabaki no Kata io l’ho modificato, è molto interessante per il combattimento. In origine proviene da studi di mio padre sugli spostamenti, l’idea è interessante, io ho aggiunto le tre distanze (Chika Ma, Ma, To Ma) e in seguito i tre tempi: Sen no Sen, Tai no Sen e Machi no sen, che altri chiamano Sensen no Sen, Sen no Sen e Go no Sen. È la stessa cosa. Vi è lo studio del Hyōshi, il ritmo, come utilizzare il ritmo, un punto importante. Si tratta di un Kata molto vicino alla competizione, immediato. È molto utile, mostra l’utilizzazione dello squilibrio fisico e mentale. Il Kata mostra come fare lo squilibrio, come fare Kuzushi, squilibrare fisicamente e mentalmente, poi mostra il Kake, che è l’esecuzione tecnica. Sono concetti che ho aggiunto nel Kata, per cui preferisco chiamarlo Tai Sabaki Kumite, per differenziarlo da quello che praticano gli anziani del Dōjō di Shizuoka, non utilizzano questo sistema di studio delle distanze e si allenano studiando solo gli spostamenti. Gli spostamenti sono importanti, ma trovo che aggiungendo strategia, distanza, timing, andiamo molto più lontano, c’è possibilità di molta più ricerca nel Kata, così avremo colpi di piede, colpi di pugno. Così l’ho modificato.

Mitchi Mochizuki – Con Kyoshi [il fratello] ho fatto una versione semplificata con gli Atemi piuttosto che la versione base con leve e proiezioni, e abbiamo fatto una versione applicativa contro attacchi di braccia e un’altra contro attacchi di gambe. Tutta evoluzione nell’ambito dello Yōseikan Budō, il Kata originale e l’evoluzione a livello pratico.

Hiroo Mochizuki sensei – Il Kata è una cosa viva, lo ripeto spesso. Molti quando dicono Kata si riferiscono ad una cosa fissa, ma io preferisco lo sviluppo, dei modi differenti, dare la possibilità di ricerca personale, che è molto importante nella nostra società. Su questo lato qua io appoggio gli studi, seguendo questa idea e riferendomi al Tai Sabaki no Kata, sono propenso a chiamarlo il Tai Sabaki Kumite no Kata.

Bō – Jō no Kata

Amari – Abbiamo già accennato al Kobudō Kenkyukai, e lei, Hiroo sensei, ha più volte dichiarato che lo Yōseikan Budō è un laboratorio di ricerca. Come praticante da decenni della disciplina e ricercatore, io penso che la scuola Mochizuki dovrebbe agire come un centro universitario che coordina le ricerche tra i vari ricercatori, affida incarichi di esperimenti e studi agli istruttori più avanzati, verifica gli studi fatti spontaneamente da questi o da altri istruttori e li certifica come validi per la disciplina Yōseikan Budō, o no. Questa strategia è quella che volete applicare o avete un altro sistema che preferite, e lo potreste esporre per i nostri lettori?

Hiroo Mochizuki sensei – La “scuola Mochizuki” non sono io che l’ho ideata, questa istituzione è un’idea di mio figlio Michihito. L’ho trovato subito ottima. I miei figli vivono insieme, nella famiglia, hanno avuto dei contatti con mio padre e ovviamente con me, con mia madre, sono all’interno della storia della famiglia, così possono presentare qualcosa di più profondo piuttosto che uno non così addentro. Così, la scuola Mochizuki è intrecciata con la famiglia. Secondo il mio pensiero la famiglia è un metodo da utilizzare come scuola, in questo sono interamente d’accordo. È un buon sistema, perché all’interno c’è dello spirito.

Mitchi Mochizuki – E’ lo spirito dello Yōseikan Budō che tu ci hai comunicato, l’idea del laboratorio di ricerca, dato che tu hai passato la tua vita a cercare e ancora lo fai, ad innovare, a trovare cose nuove, e inoltre la pratica e l’insegnamento che tu hai ben trasmesso a tutti, dato che abbiamo numerosi esperti nello Yōseikan Budō che hanno portato avanti delle ricerche personali estremamente interessanti, che rispettano completamente i fondamentali che tu hai stabilito nello Yōseikan Budō e fanno ricerche veramente singolari. L’essenziale del mio apprendistato sin dal ruolo di principiante che ho passato con te e tutti gli esperti hanno pure partecipato e hanno ingrandito il mio orizzonte marziale, mi hanno permesso di guardare più lontano e trovare una via personale e stabilire una formazione in linea. 
A mio avviso, nel futuro, si deve chiedere a tutti gli esperti di partecipare ciascuno allo sviluppo dello Yōseikan Budō in relazione al programma e alla sua tecnica, così nei siti internet dove ci sono persone che hanno fatto dei filmati interessanti – è il “laboratorio di ricerca” – o quelli che sono regolarmente negli stage internazionali a cui dobbiamo chiedere di presentare là le loro ricerche.

Hiroo Mochizuki sensei – Questo per me, veramente, è la ricerca, è una cosa formidabile perché l’essere umano si sviluppa intellettualmente in modo infinito. La nostra società umana, penso che corrisponda molto bene con il pensiero e il sistema della scuola Mochizuki, e lavori per l’avvenire. Sono molto contento dei giovani che camminano con questo spirito.

Amari – Il Randori, nelle Arti Marziali, ha il compito di esercitare in scenari liberi o parzialmente liberi le tecniche e i principi studiati ed allenati in Kihon e Kata. Il Randori ha principalmente un ruolo di studio, ma la maggior parte dei praticanti e degli istruttori lo vede solo come una forma di sparring simile alla gara. Così la tecnica viene ridotta in ampiezza e profondità. Qual è la vera ed originale idea didattica del Randori nello Yōseikan Budō e come la scuola intende metterla in pratica?

Hiroo Mochizuki sensei – Lo Yōseikan Budō applica il Randori fin dall’inizio degli studi, prima della competizione e questo ha un perché che viene da molto lontano: il Maestro Kanō ha creato il sistema di Randori nel Jūdō. All’epoca del Jū Jutsu c’erano ripetizioni tecniche col partner, una forma di Kata Kumite. Nel Randori tutti e due attaccano e difendono, contrano la tecnica dell’altro, ci sono attacchi e contrattacchi e contro-contrattacchi, c’è molta libertà di pensiero, ricerca delle idee e quando ci sono troppe difficoltà e si formano dei problemi, ognuno compie una riflessione. In tutti i casi non è una cosa dall’alto verso il basso, ognuno si muove per andare più lontano, per sviluppare. È dunque una forma di apertura del pensiero dell’uomo, è importante, l’essere umano che è arrivato al livello attuale attraverso l’evoluzione, l’uomo ha fatto dei cambiamenti grazie a questo.
Voglio raccontare un episodio che è accaduto una volta a mio padre: ai tempi del Jūdō e del Kobudō Kenkyukai, in quell’epoca faceva molto Randori. Ha fatto pure molte competizioni e una volta ha partecipato nello stesso giorno a due gare importanti, una alla facoltà “Nihon University” e l’altra alla “Meiji University”. Ha vinto la competizione alla “Nihon University”, ha preso la medaglia, poi si è recato alla Meiji e ha vinto anche questa gara. Però si era completamente dimenticato che aveva in quel giorno, nel pomeriggio, un importante appuntamento con il Maestro Kanō, un rapporto sui suoi studi al Kobudō Kenkyukai. Il Maestro Kanō era una persona che sempre rispettava tutto il mondo, e nonostante fosse un gran maestro, una persona di alto rango sociale e molto più anziano di mio padre, si era ben vestito per fare la discussione e ascoltare queste sue esperienze. Era in tenuta ufficiale, Hakama, Kimono e Haori, molto formale, l’equivalente del vestito completo da impegni importanti in Europa. Così aspettava mio padre che si era dimenticato dell’appuntamento, l’orario già passato da parecchio quando lui è finalmente arrivato, di corsa. Il Maestro poteva andarsene, o non riceverlo, ma era ancora lì, in attesa. Così lui è arrivato, si è scusato, ha detto che aveva partecipato alle competizioni e se ne era dimenticato, ma comunque aveva vinto due medaglie. Dicendo così pensava che potesse essere che il Maestro Kanō ne fosse contento, che gli rispondesse che andava bene, immaginava una cosa di questo tipo, non tutto il contrario. Il Maestro Kanō si è arrabbiato e ha detto: “Tu, sai che cosa vuol dire competizione? Competizione è Shiai! Tu fai il Randori e facendo il Randori hai studiato, hai trovato come eseguire molte tecniche nel modo che va bene a te. Poi dovevi controllare se funzionassero realmente o no. Per saperlo ci sono le competizioni. Per questo si chiamano “Shi-ai” (試合 – Prova Insieme), è potere, è cercare cosa funziona e cosa non funziona. Ma tu non hai compreso affatto se le tecniche funzionano o non funzionano, se hai avuto bisogno di fare due competizioni per comprenderlo”. Non gli ha detto che era una cosa da cretini, ma glielo ha fatto capire. E gli ha detto di rifletterci su un poco.
Mio padre così ha ben compreso che lo Shiai è una cosa differente dal Randori.
Randori è una parte molto importante della ricerca, ma che c’è bisogno dello Shiai per verificare se si ha trovato qualcosa di nuovo che funziona, o non funziona, provandolo. Questo è lo Shiai, ma non è una ricerca di medaglie.

Mitchi Mochizuki – Nello Yōseikan Budō ci sono più forme di Randori, il Sude Randori (Sude – Mani Nude) che è quello competitivo e il Kyōei Randori. Il primo esprime più lo spirito dello Shiai e il Kyōei Randori che richiede lo spirito dell’aiuto reciproco, tutti e due i partner devono lasciare uno spazio per la tecnica dell’altro senza fare molta opposizione, colpi e prese, tutto controllato, mentre nel Sude Randori il contatto leggero è consentito e c’è l’opposizione. Le due forme si completano a vicenda, il Kyōei permette di sviluppare la tecnica, diverse tecniche, e la creatività. Il Sude Randori, tipo competizione, permette di sviluppare il realismo.

Amari – L’epidemia Covid ha portato un imprevisto e grave impedimento alla pratica tradizionale con un istruttore all’interno del Dōjō. In Italia è stata praticamente impedita la pratica degli “sport da contatto”, definizione “legale” in cui ricadono le Arti Marziali dallo scorso Marzo 2020. Si è aperto il metodo alternativo delle “lezioni a distanza” via web, metodo su cui abbiamo fatto varie esperienze e in cui Mitchi (Michihito) ha condotto una sperimentazione. Fermi restando che la pratica diretta tradizionale è insostituibile, e che la didattica via web ha molti pericoli, quali possono essere i possibili sviluppi di questo strumento, magari nelle parti teoriche dei corsi istruttori o per proporre dei temi che gruppi devono sviluppare ed esporre poi in presenza?

Hiroo Mochizuki sensei – I corsi in linea si sono sviluppati grazie al Covid, così è nata questo tipo di attività, è interessante, ma non si può agire correttamente, come quando si è faccia a faccia, per mostrare e correggere, così è praticamente impossibile. La pratica è interessante, ma non molto efficace. È utile, comunque.

Mitchi Mochizuki – È una possibilità complementare. Può essere utile per i rappresentanti di Yōseikan Budō di quei paesi molto lontani, che hanno difficoltà di venire a formarsi sul posto con noi, non è l’ideale ma può aiutare, vorremmo mettere in opera un sito di formazione della scuola Mochizuki, un aiuto per i piccoli paesi, lontani da qua.

Hiroo Mochizuki sensei – Si, è possibile passare seminari di base e le novità, pochi arrivano a partecipare e la maggioranza non ci riesce, per formare si possono formare direttamente grazie a invii via internet. È una possibilità interessante, è vero.

Mitchi Mochizuki e Hiroo Mochizuki sensei durante l’intervista

Amari – Lo Yōseikan Budō, l’Aikibudō e il Nihon Tai-jutsu sono tre scuole che provengono dalla stessa origine. In occasione del novantesimo anniversario della fondazione del primo Dōjō Yōseikan (Novembre 1931), avete in programma una manifestazione congiunta?

Mitchi Mochizuki e Hiroo Mochizuki sensei – Nell’autunno di quest’anno c’è il 90° anniversario della fondazione del primo Dōjō Yōseikan a Shizuoka, abbiamo in mente di organizzare qualcosa con il Nihon Tai Jutsu e l’Aikibudō – che per me è Aikidō evoluto, migliore dell’Aikidō Aikikai. È una cosa buona che vogliamo fare.
Dovevamo riunirci già lo scorso Marzo, ma ci sono stati già i noti problemi sanitari, per cui non si è potuto fare, ci vedremo prima della fine dell’anno per cercare di far qualcosa insieme, ma al momento non abbiamo dettagli.

Il Maestro Mochizuki e l’autore dell’intervista insieme alla moglie Roberta La Rocca

Copyright Adriano Amari ©2021 
Tutti i diritti sono riservati. Ogni riproduzione non espressamente autorizzata è severamente proibita

Ringrazio mia moglie Roberta per l’aiuto nella traduzione del testo originario in francese, e per la correzione delle bozze insieme a Michele Cammarata, allievo in Yōseikan Budō e istruttore di Kali

L’Erede
Intervista a Hiroo Mochizuki

I Dialoghi Aiki #9
di Adriano Amari, Hiroo Mochizuki, Michihito Mochizuki

Hiroo Mochizuki è l’erede di una famiglia di samurai.
Creatore dello Yoseikan Budo, è un esperto di fama mondiale nelle arti marziali giapponesi.
Figlio del famoso maestro Minoru Mochizuki, considerato un tesoro nazionale giapponese e allievo diretto di Jigoro Kano e Morihei Ueshiba, successore di una linea di samurai, Hiroo Mochizuki si è ispirato allo spirito combattivo dei suoi avi per creare lo Yoseikan Budo.
Ha adattato la filosofia, la pedagogia e la pratica tradizionale delle arti marziali a un nuovo ambiente moderno, così come alle tecniche di combattimento contemporanee.
Oltre a praticare le Arti Marziali Miste prima che la gente sapesse cosa fossero le MMA, Hiroo Mochizuki ha uno dei record più impressionanti nel mondo marziale.

Note

[1] La prima parte dell’intervista è disponibile qui

[2] Onda-Shock – Movimento ad Onda – Ondulazione. L’Onda-Shock o “Movimento Ondulatorio” è un sistema per identificare le catene cinematiche del corpo umano e usarle in modo di sprigionare la massima energia possibile sia in velocità che potenza, che estensione.
Identificando queste catene cinematiche, otto in tutto, è possibile catalogare tutte le tecniche, di colpo, di leva, di proiezione e lotta a terra, di armi, all’interno di una di queste catene ottenendo una maggiore velocità d’apprendimento del patrimonio tecnico disponibile.
All’interno di queste catene, l’uso progressivo dei muscoli, dal punto di partenza opposto a quello di applicazione della forza, viene effettuato trasportando la forza da muscolo a muscolo come l’onda di energia sul mare o sulla frusta, con ogni sezione che aggiunge il suo lavoro a quello proveniente dalla sezione precedente. Il movimento di “ritorno” finale consente all’energia di sfogarsi completamente ed interamente sul punto di applicazione, senza perdite in azioni di spinta o altre componenti parassitarie. Le articolazioni, ovviamente, intervengono a moltiplicare l’invio attraverso il noto “effetto fionda” o “arco”.
Oltre questi due punti (catalogazione e invio dell’energia) la pratica dell’Onda-Shock rende l’atleta consapevole di tutto il suo intero corpo e delle sue caratteristiche individuali, consentendogli di sfruttarlo al meglio nei termini di resa, economia, salvaguardia.
Il “Movimento Ondulatorio” sarà molto ampio nei primi tempi nel praticante, per diventare sempre più stretto e veloce arrivando alla forma chiamata “vibrazione”.
Ovviamente, come tutte le attività fisiche del Budō giapponese, l’azione fisica comporta il coinvolgimento dell’aspetto mentale e di quella parte più fine dell’individuo che viene chiamata “spirito”. L’Onda ha un Ritmo, richiede percezione e misura, così attraverso i sensi e l’elaborazione mentale, rende l’adepto più connesso con l’ambiente e ricettivo alle “mutazioni”, aiutandolo a non farsi sorprendere e adattarsi alle stesse, riducendo le occasioni di conflitto.

Pubblicità