
Il seguente nostalgico e affettuoso ricordo del Fondatore da parte di Moriteru Ueshiba, oggi San-dai Aikido Doshu, fu pubblicato nel 1983 su The Aikido, il giornale dell’Aikikai Hombu Dojo, in occasione del centenario della nascita del Fondatore Ueshiba Morihei
di MORITERU UESHIBA
Questo è un anno speciale per tutti noi che pratichiamo l’Aikido, perché marca il centesimo anniversario della nascita del Fondatore Ueshiba Morihei.
Vorrei ora raccontarvi alcuni aneddoti su di lui, visto dal mio quasi unico punto di vista.
Ogni volta che penso al Fondatore, mi viene in mente Iwama nella prefettura di Ibaraki. O’Sensei e mia nonna si erano trasferiti in questa piccola città: dopo la guerra, il Fondatore si stabilì lì per sviluppare la Via in un ambiente a contatto con la natura, ove fosse possibile praticare all’aperto.
Solitamente passavo l’estate e le vacanze scolastiche invernali fuori in campagna con i miei nonni. Il sentiero per l’Aiki Jinja (Tempio dell’Aiki) era fiancheggiato da alberi di ciliegio; attorno al dojo si alzavano numerosi alberi di castagno: tutto contribuiva a dare al luogo l’atmosfera ideale per il keiko.

Da ragazzo, una delle cose che veramente non vedevo l’ora di fare era viaggiare in treno verso Iwama, tra i campi che si estendevano verso le alte cime del Monte Atago e i boschi all’intorno. A volte mi svegliavo solo poco prima di Iwama al suono della sirena e alla voce del conducente che annunciava la fermata.
Mi ricordo di un giorno in cui stavo giocando nelle vicinanze dell’Aiki Jinja assieme ad alcuni studenti del posto: uno di noi ruppe un ramo di ciliegio in fiore. O’Sensei, che stava passando nei pressi, non rimproverò il giovane, anzi, sorrise e gli disse: «Non ti preoccupare! Non l’hai mica fatto apposta…». Sarebbe stato normale che si arrabbiasse, ma quando dimostrò di non esserlo, il mio amico si sentì quasi imbarazzato. La gentilezza del Fondatore in quel frangente mi rimase impressa.
In un’altra occasione, durante le feste di Capodanno, gli allievi giovani si stavano preparando a pestare i mochi (dolci di riso). Normalmente per questo lavoro si utilizzava una grossa pietra, ma avevano problemi a tirarla fuori dal magazzino. O’Sensei li stava osservando da una parte: sebbene avesse ormai superato abbondantemente i 70 anni di età, la sollevò e la spostò con grande facilità. Ovviamente avevo già sentito raccontare da molte persone della straordinaria forza del Fondatore, ma sperimentarla nella realtà impressionò profondamente la mia giovane mente.
Intorno alla metà degli anni ’50, grazie agli sforzi dell’attuale Doshu [Kisshomaru, 1921–1999, NdR], l’Aikido cominciò a diffondersi in parecchie regioni del Giappone e aprirono i primi club universitari. O’Sensei allora prese a trascorrere circa 15 giorni al mese a Tokyo. Quando era a Tokyo, gli piaceva vedere i programmi sui Samurai in televisione. Ricordo che mi chiamava, chiedendomi: “Moriteru, c’è qualcosa di bello da vedere stasera?”, e mi lasciava vedere la televisione con lui, nella sua camera. Come potete vedere, per suo nipote il Fondatore era un uomo affettuoso e perfettamente normale, anche se nel Dojo i suoi allievi si trovavano di fronte un maestro estremamente severo, soprattutto per quanto riguardava il reishiki. Se qualcuno trascurava di seguire l’esatta etichetta, O’Sensei si arrabbiava moltissimo. In quei momenti, anche se io ero piccolo, mi era difficile avvicinarlo.
Negli anni sessanta il duro lavoro del Doshu fu di diffondere l’Aikido quasi ovunque, qui in Giappone e poi all’estero, creando club e federazioni organizzati come succursali dell’Aikikai Hombu Dojo distaccati.

Intorno al 1950, quando l’Aikido internazionale era appena agli albori, il Doshu formò degli allievi con cui sono cresciuto e diventato adulto. Durante questo periodo si usava organizzare ogni estate una dimostrazione nazionale, un evento questo che aveva lo scopo di testimoniare la crescita dell’arte del Fondatore. Alla fine di ogni anno poi, l’ultimo appuntamento era costituito da un discorso e da un embukai da parte di O’Sensei. Le parole del Fondatore piacevano a tutti quelli che lo ascoltavano ed io ne ero sempre affascinato. La ragione di questo apprezzamento inoltre non si limitava solamente alle sue tecniche in quanto tali, ma anche al fatto che esse rappresentavano quasi la materializzazione di una lunga vita spesa in continuo allenamento (shugyo): ciò sembrava sgorgare, fluire, riempiva la sala con una meravigliosa e pervadente energia. Era la vera Via dell’Aiki che noi seguiamo.
Dopo aver iniziato le scuole superiori, presi ad accompagnare O’Sensei nei suoi viaggi. Durante questo tempo trascorso insieme, mi resi conto che era un uomo cui talvolta era difficile stare vicino; tuttavia, spesso era calmo e tranquillo. Ora capisco, ripensandoci, che io sono quel che sono grazie al Fondatore.
Nel 1968 venne costruito l’attuale Hombu Dojo al posto del vecchio edificio in legno del 1930, poi nell’Aprile del 1969 il Fondatore morì. A tanti anni di distanza, a volte mi chiedo che cosa mi piaceva del Fondatore. Come avete visto dai miei racconti, in quell’uomo c’erano aspetti diversi: nonno affettuoso, maestro severo. Tuttavia, per concludere egli fu l’uomo che costruì lo spirito dell’Aikido, passando attraverso un regime di severa e austera disciplina.
Oggi il Doshu ha ereditato lo spirito dell’Aikido dal Fondatore e sta facendo diffondere quest’arte in Giappone e in tutto il resto del mondo. Io sono profondamente grato al Doshu, perche sento in lui una sempre rinnovata dedizione all’insegnamento dello spirito dell’Aikido e un ancora maggiore impegno per lo sviluppo e la divulgazione di quest’arte.
Fonte: The AIKIDO, Aikikai Hombu Dojo, n. 2° anno 1983
Traduzione dall’inglese di Simone Chierchini