Il Dojo Tradizionale di Paolo Corallini


Simone Chierchini e Paolo Corallini

Siamo andati a trovare Paolo Corallini Shihan nel suo dojo tradizionale ad Osimo e abbiamo avuto l’opportunità di farci descrivere e di fotografare gli interni del suo santuario, costruito con amore pezzo per pezzo in onore dell’Aikido.  Un Dojo ricco di reliquie, ricordi, energia e ispirazione: condividiamo con voi questa emozionante esperienza.

di SIMONE CHIERCHINI

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Molti anni fa comprai questa casa perché il piano terra, dove ci troviamo ora, non era mai stato usato. Già allora io vidi nei sogni questo luogo come futuro mio Dojo. Infatti iniziai subito a predisporlo per farlo diventare quello che poi vediamo oggi. Eravamo attorno ai primi anni ’80. Saito Sensei lo invitai per la prima volta nel Febbraio ‘85 e già gli dissi di questo progetto.

L’anno dopo, la seconda volta che venne in Italia era nel Maggio dell’86, anno in cui io mi presi cura di lui, della sua salute, venne a consacrare questo Dojo, che nel frattempo era finito, con molti meno arredi di quelli che vediamo oggi.

Tokoroma Dojo Osimo
Tokoroma del Dojo, “il luogo dell’anima”

In quell’occasione lui dormì nella stanza sopra che vedremo dopo e consacrò questo Dojo con una cerimonia molto bella, una cerimonia tradizionale Shinto nella quale vengono scacciati gli spiriti negativi nei quattro angoli della stanza e viene consacrato come tempio; una cerimonia che ancora ricordo con tanta emozione: mi scrissi tutto fin nei minimi dettagli per non dimenticare nulla di quello che per me era un momento importantissimo.
All’epoca io avevo già predisposto l’altare a tre gradini, tre gradini perché il tre è il numero della spiritualità, del triangolo, quindi il mondo spirituale; questo è il tokoroma, che letteralmente significa tokoro, luogo, e ma, anima, il luogo dell’anima, quindi l’altare.
Saito Sensei mi portò in quell’occasione come dono per questa consacrazione questo tempio, il kamidana che comprò a Kasama, una cittadina vicino a Iwama che ora ha addirittura inglobato Iwama, e la maggior parte delle suppellettili che vediamo.

Kamidana Dojo Osimo
Kamidana, dono di Saito sensei

Il kamidana è la “dimora (dana) degli dei (kami)”, e ha tre porte e cinque gradini, davanti; all’interno ci si mettono le tavolette votive che sono dedicate agli dei Shinto, e immagini dei defunti care alla famiglia: io ci ho messo O’Sensei e mio padre.
Sopra al kamidana ho messo due vassoi e due candelieri che hanno una storia molto importante.
Nell’anno in cui morì il Doshu Kisshomaru Ueshiba, tutti gli arredi dell’Aiki Jinja vennero rinnovati; in quel periodo io mi trovavo là e contribuii con il mio lavoro insieme ad altri uchideshi a rimuovere le cose vecchie e sostituirle con quelle nuove, con lo scopo di rinnovare la dimora del secondo Doshu dell’Aikido.
Le suppellettili scartate erano tutte accatastate su un lato della casa del Fondatore.

Candelabri e Vassoi da Iwama
Candelabri e Vassoi provenienti dal dojo di Iwama

Ovviamente io non mi permisi di toccare niente, anche se queste cose sarebbero state buttate via, ma Saito Sensei un giorno mi disse: “Paolo san, vieni con me. Scegli qualcosa e portalo a casa nel tuo Dojo”.
Allora io dissi: “Sensei, scelga lei. Già il fatto che lei li tocca li consacra.
Scelse questi due candelieri, la cui particolarità e che sono a base è ottagonale, a simboleggiare il passaggio dal quadrato, che è il mondo materiale, al cerchio, il mondo divino. Essi pertanto rappresentano la tendenza dell’uomo a voler elevarsi verso il divino: muovendosi dal quadrato, la prima forma che si crea è l’ottagono. Saito Sensei inoltre scelse per me due vassoi: su uno dei due c’è scritto O-mi-tama, la grande anima. Esso era uno dei vassoi collocati sopra all’altare su cui erano conservate parte delle ceneri e della barba del Fondatore.

Masakatsu Agatsu e Rastrelliere
Masakatsu Agatsu, la vera vittoria, calligrafia originale di Morihei Ueshiba

Sul muro presso il kamidana c’è una reliquia importantissima: si tratta di un kakemono che reca la scritta autentica, tracciata di pugno dal Fondatore. La scritta recita Masakatsu Agatsu, la vera vittoria è quella contro sé stessi, ed è firmata Aiki KaishoTsunemori, ossia Tsunemori, il Fondatore dell’Aiki. Tsunemori era uno dei tre nomi con cui il Fondatore era uso firmarsi, oltre a Morihei e Moritaka; Tsunemori era il nome che lui usava per le sue calligrafie. Io ebbi la fortuna di poter acquistare questo kakemono da una allieva importantissima di O’Sensei, Fukiko Sunadomari Sensei, l’unica donna che ricevette il 6 Dan personalmente dal Fondatore; Fukiko era sorella di Kanshu Sunadomari Sensei e del monaco Kagemoto Sunadomari.
Nel 1986 mi recai in Giappone e appena arrivato a Narita ebbi la fortuna di ricevere una telefonata da Stanley Pranin, con cui mi diceva che la sera sarei rimasto a Tokyo e sarei andato a Iwama solo il giorno successivo. Stanley mi chiese di aiutarlo ad intervistare Fukiko Sunadomari, che era già molto anziana; inoltre mi disse che avremmo avuto la possibilità di acquistare da lei degli scritti del Fondatore. Per l’occasione andammo in un ristorante indiano; Stanley faceva le domande e io scattavo foto e prendevo appunti. Fukiko Sunadomari conosceva molto da vicino il Fondatore e durante la sua vita ricevette da lui in dono molte lettere e diversi rotoli makimono, a testimonianza dell’affetto che li legava.
Fukiko decise di vendere cinque di queste calligrafie originali del Fondatore e con il ricavato costruire un piccolo tempietto votivo in onore di O’Sensei nella città ove lei viveva, ossia Kumamoto, nel Kyushu, Giappone meridionale. Trasportò con sé i makimono all’interno di un bellissimo fazzoletto di seta, come facevano le nostre antenate e alla fine del pranzo ce li mostrò e io li fotografai per Aiki Journal.
Una volta informati del fatto che erano in vendita, io decisi di acquistarne uno, un altro fu preso da Pranin e un terzo fu venduto in America. Non sto ora a dire quanto mi costò, ma certamente una piccola fortuna: io lo conservo come se fosse una sacra sindone, non solo perché lo scrisse il Fondatore di suo pugno, ma anche perchè Masakatsu Agatsu, la vittoria su sé stessi, è il nucleo dell’Aikido: vincere il nostro ego negativo è il messaggio più profondo dell’Aikido, e anche il meno applicato.

Kakemono Taisai
Kakemono Taisai

Tutte queste armi sono per me altrettante reliquie, ma vengono comunque usate per la pratica: chiaramente quando impugno il jo di Saito Sensei sento un feeling particolare, una responsabilità particolare, un po’ come se fosse la spada di Re Artù, ha quello stesso valore carismatico. Seguono le rastrelliere delle armi, che io feci costruire a immagine e somiglianza di quelle del Dojo di Iwama, di cui riproducono esattamente dimensioni e angoli. Saito Sensei ne fu molto contento perchè vide quanto amore ci avessi messo; nel corso degli anni mi regalò alcuni dei suoi jo e bokken, tra cui anche dei suburi-to, fatti per il tanren, per irrobustire i polsi. Inoltre vari bokken, come uno in sakura, in legno di ciliegio, che reca la firma di Saito Sensei ed era il suo personale.
Sull’altro lato dell’altare ci sono due kakemono votivi, prodotti in occasione del Taisai, la celebrazione in ricordo della morte del Fondatore; quello di sinistra recita Takemusu Aiki, l’altro riproduce O’Sensei con i tre gioelli dello Shinto, la spada, lo specchio e l’hara tanden e alle sue spalle tralci della pianta che simboleggia l’immortalità, con tutto il valore simbolico che ne consegue.

3 Iwama kakemono
Tre Kakemono originali scritti da Saito Sensei

Su questo muro sono esposti tre kakemono originali scritti da Saito Sensei: essi rappresentano tre periodi della pedagogia e anche del modo di pensare del maestro. Nel primo c’è scritto Iwama Takemusu Aiki Morihiro, nel secondo Iwama Ryu; esso risale al periodo in cui dietro spinta mia e di Stanley Pranin, che chiedemmo a Saito Sensei per quale motivo chiamasse la scuola Iwama-style, un nome di città giapponese e una parola inglese, decise di usare la denominazione Iwama Ryu. Successivamente però si rese conto che nel nome Iwama Ryu non compariva più il nome Aikido; siccome quello che lui insegnava a Iwama era il metodo del Fondatore, era necessario che la parola Aikido comparisse nel nome della scuola, quindi passò a chiamarla Iwama Ryu Aiki.

San ju ichi no kumijo
San ju ichi no kumijo

Di seguito abbiamo quelli che per me sono i 10 comandamenti. Quando Saito Sensei venne in questo Dojo con Shibata Kinichi, un suo allievo di Sendai, e girammo i due video numerati 28A e 28B di Aiki-jo e Aiki-ken che sono a tuttora venduti da Aikido Journal di Stanley Pranin, lui volle della carta di riso e scrisse di suo pugno la suddivisione del San ju ichi no kumijo in settori così come viene insegnata, e anche del kata 13 Ju san no jo.
Di fianco abbiamo uno scroll che mi è stato regalato da Saito Sensei e proviene dal Tempio di Atago, che è la montagna sacra che sovrasta Iwama, dove il Fondatore si recava la mattina a pregare e spesso anche a praticare.
Saito Sensei lo accompagnava e si occupava della sua sicurezza, specialmente nell’ascesa verso il tempio, che va effettuata via 300 stretti e alti gradini; nei filmati degli ultimi anni si vede Saito Sensei che spinge O’Sensei da dietro per assicurarsi che non cadesse.
Nel rotolo figura il dio Tarobo Tengu, il dio guerriero cui è dedicato il Tempio di Iwama, che guarda caso è stato consacrato al dio della guerra e delle arti marziali: O’Sensei andava chiedere la sua protezione e guida per il suo insegnamento.

Ai Ki O Kami
Ai Ki O Kami

Poi c’è un oggetto molto importante, che non è originale ma riproduce esattamente la calligrafia di O’Sensei Ai Ki O Kami, il Grande Dio dell’Aiki, una immagine molto cara al Fondatore, dove è bello notare che il kanji O è raffigurato come l’uomo di Leonardo, un uomo che sta con i piedi per terra ma tende verso l’alto, verso il divino, quindi una persona che diventa venerabile, sacra, perché appunta non è paga della sua dimensione materiale, ma tende alla divinità.
Il kanji per Kami ha in sé anche il cerchio con la croce all’interno, che simboleggia la dimensione divina, la divinità, la rettitudine la giustizia che sono elementi propri degli dei. Tra l’altro formano anche una perfetta croce celtica.
In questa vetrinetta conservo i Mokuroku delle armi: questi sono dei veri tesori perché praticamente non si usano più; Saito Sensei per un certo periodo volle perpetuare la tradizione antica di dare ad alcuni allievi i gradi con il Mokuroku, ossia un rotolo, in opposizione al certificato moderno su carta. In questo scroll, conservato all’interno di una scatola in legno leggero, sul cui dorso era scritto Ai Ki Ken Jo Mokuroku e il grado, veniva vergato a mano dal maestro il programma per cui veniva rilasciato il grado di armi secondo la pedagogia di Iwama.
Saito Sensei non ne fece molti, perché venne criticato dai soliti ignoti, persone con un’invidia ed un ego spaventoso che misero in giro la voce che lui dava in giro questi rotoli per guadagno personale, senza capire invece il significato storico e emotivo, spirituale che essi hanno, ben diverso da un pezzo di carta.

Saito Sensei ci metteva oltre due ore per ognuno e ci lavorava in piena notte, perché aveva bisogno di farlo senza il rumore del passaggio delle macchine.
Secondo la tradizione imprimeva con inchiostro l’impronta del suo pollice di modo che metà venisse stampata sullo scroll e l’altra sul libro mastro che rimaneva a Iwama.
Il rotolo va letto da destra a sinistra e contiene la descrizione di tutte le tecniche per le quali il candidato era stato esaminato e in base all’abilità dimostrata gli veniva conferito un determinato Mokuroku.
In tutto il mondo non fummo in molti a riceverli, perchè Saito Sensei, dopo aver sentito le critiche che gli venivano mosse, si offese e non ne fece più.

Il Diploma Aikikai 7 Dan di Corallini Shihan
Il Diploma Aikikai 7 Dan di Corallini Shihan

Alcuni anni prima di morire Saito Sensei mi disse che lui era convinto che io fossi una persona che per lui aveva fatto cose che nessun altro aveva fatto mai: io mi ero preso cura di lui e della sua famiglia.
Quindi decise di farmi un regalo speciale; io lo venni a sapere da un suo allievo che lo accompagnò diverse volte in Europa, Nakamura san, un carissimo amico, che mi disse: “Guarda, Saito Sensei ti sta facendo fare una katana forgiata seguendo le antiche usanze da uno degli ultimi tre katana makers che lavorano secondo il metodo tradizionale giapponese. Questa è una cosa unica Paolo ed è dimostrazione di enorme affetto.”

Katana Dono Saito Sensei
Katana dono di Saito Sensei

Arrivò il giorno che eravamo a Roma e durante un seminario Nakamura mi chiamò e chiese di recarmi nella stanza del Sensei, perché il dono era pronto e me lo voleva consegnare. Emozionatissimo entrai nella sua stanza, presente Nakamura, feci il saluto e lui mi offrì  la spada, dicendo che era un dono dal cuore; io rimasi pietrificato e contemporaneamente mi commossi. Poi la aprì e mi spiegò come esaminarla, sbloccando l’habaki, poi estraendo il primo palmo di lama, poi tutta la spada, quindi esaminando il filo.
Dopo mi spiegò la storia della spada, mi disse da chi era stata forgiata e mi mostrò i documenti relativi. Per portare la spada in Italia era stata necessaria una pratica burocratica lunga oltre 5 mesi, perché dopo la seconda guerra mondiale, quando gli americani vincitori avevano spogliato il paese di molti tesori, il governo giapponese stabilì regole severissime che vietavano l’esportazione di katana originali. Saito Sensei dovette fare appello a tutte le sue conoscenze e pagare una notevole somma di denaro per riuscire a portare il mio dono all’estero.

Tsuba Katana Dono Saito
Particolare della tsuba

Dopo mi fece vedere che aveva fatto rivestire la tsuka di pelle, anziché di seta, perché voleva che io la usassi per far vedere il suburi. Purtroppo questa è l’unica cosa in cui io non gli ho ubbidito, e qui Francesco mi guarda con rimpianto, perché all’idea di portare questa spada in giro per seminari, con il rischio che venga danneggiata o rubata, mi viene un mezzo attacco di cuore.
Una cosa che io non notai subito, e che lui da gran signore non mi fece notare, era l’importanza del mon inciso sulla tsuba della katana, il mon della famiglia Saito.
Lui non ne fece cenno, mi disse solamente come sguainarla, come pulirla, come riallacciarla una volta riposta. Me lo fece vedere una volta, poi disse: “Dozo!” e mi invitò a ripetere quello che avevo visto.
Io ci provai, ma ovviamente ero così emozionato che mi intrecciai subito come Fantozzi e lui si mise a ridere con la sua caratteristica potente risata.

allievo_maestro
Allievo e Maestro

A cose fatte, Nakamura san mi disse del simbolo della famiglia Saito sulla tsuba, quindi io corremmo in camera sua a vederlo; qui lui mi spiegò che questa era un cosa unica. Mi disse poi che il Fondatore aveva donato due spade a Saito Sensei, una katana e un wakizashi, mentre l’unica volta che Saito Sensei lo aveva fatto era per me.
Il fatto di aver messo il suo mon sulla tsuba significava nella cultura giapponese di avere una fiducia tale da affidare la propria vita, il proprio nome, al destinatario del dono.
L’ultima volta che vidi Saito Sensei vivo era un mese prima della sua morte. Era già oramai paralizzato dal collo in giù e stava in casa su letto elettrico con telecomando per farlo muovere ed evitare le piaghe da decubito.
Eravamo io e Ulf Evenas; lui ci aspettava, aveva addirittura fatto preparare la camera da letto di O’Sensei per noi due con futon e stufetta a kerosene. Ci ricevette nella sua stanza nella penombra, perché anche la luce gli dava fastidio.
Mi raccomandò di andare d’accordo con i suoi altri allievi, di rimanere vicino al Doshu, di cercare di essere un aiuto per l’Aikikai. Ci spiegò che in passato lui aveva avuto momenti anche molto difficili nei suoi rapporti con l’Aikikai, ma che in memoria di Morihei Ueshiba, il suo maestro, era sempre rimasto fedele alla dinastia Ueshiba e sempre lo sarebbe stato.

Valigetta di Saito sensei
Valigetta di Saito sensei

Mi chiese quindi di rimanere vicino al Doshu, di stare in armonia con lui e dare il mio aiuto al’Aikikai, di preservare l’insegnamento tradizionale di O’Sensei come lui aveva fatto tutta la vita e anche di emanare lo spirito di una vera famiglia. Queste cose le chiese a me ed Ulf e io le presi come dei dogmi, come i veri comandamenti, tre invece di dieci.
Fra gli altri ricordi pieni di affetto, adesso voglio mostrarti la valigetta con il suo keikogi, hakama, cintura e altre cose che Saito Sensei lasciava qui nel mio dojo per quando viaggiava in Europa. Sapendo che era l’ultima volta che lo vedevo vivo, gliela riportai in Giappone, ma lui disse che dovevo tenerla io.
Inoltre si fece portare due bokken identici, uno per me e uno per Ulf Evenas e disse che gli dispiaceva di non poterceli dare direttamente con le sue mani – lui, che era stato il simbolo del movimento perfetto era completamente paralizzato – e ci disse: “Fate si che questo si muova sempre come se lo usassi io.”

Simone Chierchini e Francesco Corallini
La divisa di Saito sensei

Fra tutti i simboli presenti nel mio dojo, questo è un simbolo importantissimo. La valigetta di Saito Sensei è adesso una reliquia; ha viaggiato per tantissimi anni in giro per l‘Europa e per il mondo, e io dietro come un cagnolino.
L’hakama è ancora come lui la piegò l’ultima volta e così rimarrà ad aeternum, l’hakama di un mito.
L’ultima reliquia che andiamo a vedere è una sorta di Graal. E’ un jo che fu portato a me in dono da Saito Sensei nel 1986: questo è uno dei jo personali di Morihei Ueshiba, che era nella rastrelliera a est guardando il kamiza nel dojo di Iwama. Questa rastrelliera oggi è stata rimossa, ma all’epoca c’erano ancora diversi jo che O’Sensei usava quotidianamente.

Il Jo di O'Sensei
Il Jo di O’Sensei

Saito Sensei in segno di affetto volle onorarmi di questo regalo; anche in questo caso mi disse di usarlo regolarmente per praticare, ma io ho paura a portarlo in giro, nel caso che venisse rubato, quindi lo uso solo qui nel mio Dojo.
Dopo che mi è stato donato questo jo lo hanno toccato veramente in pochi, oltre a me e Francesco, ma sono felice che tu lo abbia fra le mani, come segno dell’istintivo affetto che nutro per te.
Quando impugno questo jo è un po’ come avere in mano una bacchetta magica: se uno non lo è, ci diventa bravo, si muove da sé, come nell’apprendista stregone…

Fotoservizio completo (38 foto)

Testo di Simone Chierchini
Foto di Simone Chierchini e Francesco Corallini
Copyright Simone Chierchini, Paolo Corallini & Francesco Corallini ©2011

Tutti i diritti sono riservati. Ogni riproduzione non espressamente autorizzata è severamente proibita



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15 pensieri riguardo “Il Dojo Tradizionale di Paolo Corallini”

  1. E’un esperienza molto profonda e devo ammettere che stimo il Maestro Corallini per la devozione la conoscenza e la profonda spiritualità che pochi Maestri occidentali possiedono, grazie anche di aver dato accesso al suo Tempio personale. Alessandro

  2. La disponibilita’, l’urbanita’ e la cultura di Corallini Sensei costituiscono una rara gemma nel mondo degli Aikido sempai, e io posso dirlo a pieno titolo, dato che attraverso mio padre Danilo Chierchini prima, e per mie dirette esperienze personali poi, ho vissuto a stretto contatto con quelli che hanno circolato in Italia negli ultimi quaranta anni

  3. ciao sono da milano e fatco takimuso aki e adeso a marocoo sono in vacansa e los testo a marocoo e volio si posible brendere da lei ma nolo so dove trovaete grazei

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