
L’Aikido è un’arte marziale? Vecchio ritornello… Evidentemente, no! Arte Marziale: che si riferisce alla guerra… Ebbene, l’Aikido (Takemusu Aiki) si pone dalle sue origini fuori da questo contesto. L’Aikido è un arte di pace e di protezione, è quello che significa Takemusu, che evoca il cavaliere senza macchia e senza peccato, protettore di vedove e orfani…
di STEPHANE BENEDETTI
Senza dubbio, con l’avanzare degli anni, ho un po’ tendenza a ripetermi, ma l’Aikido non ha alcun rapporto con le risse da strada e l’infinita discussione sulle armi e l’Aikido, o il ruolo delle armi nell’Aikido, non ha ragione di essere. Se c’è una spada, è quella di Manjushri, l’arma assoluta che taglia i legami dell’ignoranza, senza alcuna pietà, l’arma della conoscenza che dissolve l’oscurità generata dall’ignoranza fondamentale, essa stessa prodotto dei nostri desideri e delle nostre emozioni represse e rese selvagge, piuttosto che esplorate e addomesticate (nel senso etimologico di fare parte della casa).
L’Aikido è certamente una Via eroica, ma non si tratta di fare a pugni dietro a un bar, quanto piuttosto di ravvivare il fuoco di Prometeo nel profondo del nostro essere. Non si tratta più di fare la guerra, ma di vivere da guerrieri.
Satsujin to katsujin ken
Barcellona – dic. 2005
Non si dovrebbe mai scrivere, lo sapevo! Un piccolo editoriale (qui sopra)… Ed ecco! Bisogna che mi spieghi! Che aggiunga qualcosa! Scriverò altre cose che creeranno il panico nei forum… Provocherano un’embolia del curriculum vitae… Volevo solo fare un favore… Scrivere delle cose risapute…
Che Morihei Ueshiba abbia insegnato prima della guerra la tecnica della baionetta alle Accademie di Polizia, dell’esercito, all’Accademia Navale e alle scuole di spionaggio, gotha del militarofascismo giapponese, non è un segreto per nessuno. Che sempre lui abbia insegnato, dopo la guerra, che l’Aikido è Amore, protezione della vita, gioia e pace universale nemmeno. Che l’Aikijutsu prima versione sia un’arte marziale, non ne dubito. Non sono un complicato, Omotokyo, non ci capisco niente, quanto al Kotodama, probabilmente è meglio che tenga le mie opinioni per me.
«Vivere da guerriero» (non fare la guerra!) ha risvegliato i ricordi del maggio ‘68 ? Mai fatto la guerra ? Nessun rimpianto! Il mio vecchio Sam [1], lui, al servizio più o meno ufficiale di Sua Graziosa Maestà, molti lavori, a mani nude, alle Falkland e altrove, non ha mai confuso l’Aiki con la guerra… al contrario! Lui aveva i suoi fantasmi. Io no, Pace all’anima sua!
Ho visto, da poco, un reportage alla televisione sulla Legione Straniera. C’era un Giapponese che era andato ad arruolarsi per fare la guerra. Aveva ragione, la guerra, ci sono degli specialisti per questo, veri, non giocano con delle spade di legno. Quel tipo voleva essere un samurai dei tempi moderni, era partito dal Giappone diretto alla Legione dai professionisti, non in un Dojo, aveva capito.
Io non sono violentemente pacifista, ma non amo la guerra. Sono d’accordo con Sun Tzu «Il migliore generale non ha bisogno di fare la guerra». E ammiro un solo militare: un generale dei paracadutisti russo, Lebed, che ha saputo fermarne due senza combattere. Lo hanno assassinato più tardi. Per la cronaca, le sue guardie del corpo facevano Aïkido.
Allora: vivere da guerriero?
Per cominciare, un guerriero non è necessariamente un militare o un soldato. Non si tratta neanche di mascherarsi da samurai o di dormire con la spada al fianco. Per me, che non essendo la reincarnazione di Morihei Ueshiba, non posso parlare a suo nome, si tratta di una via, di un processo di evoluzione dell’uomo verso un stadio più elevato dell’essere.
La via del guerriero è una via pericolosa, non perché si rischi di morire falciato da una raffica di proiettili in un gesto eroico immortalato dai fotografi ma, semplicemente, perché le sconfitte spirituali sono numerose e il ciglio della strada costellato di rinunciatari.
Questa via, come tutte le altre, è segnata da grandi tappe, che ora vorrei cercare di descrivere.
- La fortezza (paranoia 1)
- La quinta colonna (paranoia 2)
- La pancia all’aria…
- E ritmato dalla sindrome del deserto dei Tartari.
La fortezza corrisponde a un periodo di costruzione fisica. Bisogna strutturare il corpo attraverso un allenamento rigoroso, accumulare le tecniche. Fondamenta profonde, mura spesse e solide, niente è lasciato al caso, ogni dettaglio è elaborato in funzione del suo valore difensivo e stategico. Occhio ai castelli di carte o di sabbia! E’, credo, il senso dell’insegnamento di Saito Sensei: costruire su delle basi stabili, sane e forti.
Parecchi allievi di Morihei Ueshiba l’hanno abbandonato, come Gozo Shioda del Yoshinkan, perché non volevano (o non potevano) interessarsi ad altre cose. Può essere una tentazione fare riferimento ad un capolavoro dell’arte militare così accuratamente elaborato, come, ad esempio, il Castello di Salses: pianificazione totale contro «l’altro»!
E’ evidente che questa della fortificazione non è, e non può essere, una tappa di liberazione ma che si costruisce contro il mondo attraverso la presa di coscienza del dualismo: «Io/mondo». L’avversario, quello che è di fronte, mi prende, mi attacca. Io mi difendo. Non c’è modo di sfuggire a questa realtà. Questo è caratteristico della paranoia nella sua forma benigna: il mondo è aggressione.
A questo riguardo, ci sono anche tensioni indotte dai discorsi ricorrenti sull’armonia che non quadrano, e questo è normale con delle tecniche che funzionano evidentemente in reazione ad un attacco, un avversario. Non potrebbe essere altrimenti. Pretendere il contrario è mentire a se stessi, e non c’è niente di più idiota, né di più pericoloso, per la propria crescita.
Il problema si accentua per le persone fisicamente «dotate» che possono essere portate a credere di avere già raggiunto la padronanza, mentre sono solo al maneggio delle armi.
Questo aspetto fisico della pratica è affiancato dal primo giorno da un lavoro sulle emozioni sul quale ci si sofferma meno perché semplicemente meno visibile, meno evidente. La relazione fisica con l’altro, o con la Terra, scatena automaticamente delle emozioni potenti e molto profonde di paura, d’angoscia, d’aggressività, ecc., che la nostra cultura tende ad occultare, o peggio, senza dubbio, a considerare come negative. Il semplice fatto di essere presi e di non potersi liberare è ansiogeno, altrimenti chiunque, senza un’adeguata preparazione, potrebbe rimanere rilassato senza essere turbato dall’aggressione. E’ la stessa cosa per le cadute… La Terra fa paura (e talvolta male!).
Tuttavia, un guerriero senza paura è un guerriero morto! Non c’è niente di più inutile, salvo che per riempire i cimiteri militari. La paura, l’aggressività, ecc., sono emozioni indispensabili alla vita. La questione, ancora una volta, è di imparare a riconoscerle, poi a lavorarci con e non contro. La paura che vi spinge a togliervi dalla traiettoria di un camion è buona consigliera. Quella che vi porta a chiudere gli occhi per non vederlo è assassina. Nel primo caso, c’è comunicazione con l’emozione, nell’altro invasione, eccesso, perdita di controllo e, soprattutto, di libertà. Ma in fondo, si tratta della stessa emozione.
Questo doppio lavoro, fisico ed emozionale, è la natura stessa della fortezza.
Se tutto va per il meglio, arriva il giorno in cui ci si pone la domanda : «Tutto questo per cosa?». Effettivamente, credo che sia irrisorio il numero di quelli che hanno dovuto utilizzare le tecniche d’Aïkido nella loro vita quotidiana. (Non dispongo di nessuna statistica.) E’ chiaro che rinchiudersi non nuoce che a se stessi e che nessun nemico assetato di sangue muggisce nelle nostre campagne… E’ la sindrome del Deserto dei Tartari!
Il dubbio si insinua, tutto questo non sarebbe dunque servito a niente? Queste belle mura di cui sono così fiero sono forse inutili? La mia bella fortezza un monumento assurdo eretto contro il vuoto? Questo interrogarsi ne spinge molti all’abbandono… Alcuni si chiudono risolutamente in ottuse certezze, altri, che il dubbio ha minato più profondamente, si mettono alla ricerca di un nuovo nemico… Se niente viene dall’esterno, bisogna almeno che ci sia un nemico all’interno della mia bella fortezza, una quinta colonna, un nemico ben più insidioso, pericoloso, traditore invisibile!
E’ conosciuto da tutti come «Ego», la bestia malvagia… Ed ecco il nostro castellano partito per la caccia all’ego con lo stesso entusiasmo che metteva a vegliare davanti ai gradini dell’impero. Il marrano è ben nascosto, la fortezza trabocca di nascondigli, botole, cantine, sotterranei, passaggi segreti, zone buie. Là, niente cavalleria rutilante, suoni di trombe, vani sogni di gloria. No!
Bisogna strisciare silenziosamente nel freddo fango di oscure gallerie. E’ una ricerca lunga e faticosa che mette alla prova la pazienza e che corrisponde ad una forma più avanzata di paranoia, il nemico non è più soltanto all’esterno, è ovunque mondo/me, tutto è nemico, questa pressione è enorme. E’ possibile verificare tutti i granelli di polvere, ma nessuno nasconde l’ego. Col tempo, la sindrome del deserto dei Tartari ritorna prepotente. Nessun nemico si è mai manifestato dall’esterno, nessun nemico si manifesta all’interno. E il dubbio si insinua, più terribile, più devastatante. Il dubbio è come un enigma all’incrocio delle strade. Non posso essermi sbagliato fino a questo punto. Devo continuare ad ogni costo. L’attaccamento a quello che rappresenta la fortezza, il lavoro compiuto, il cammino percorso durante la caccia all’ego, è una trappola temibile. Il pericolo è di rinchiudersi e per sempre, diventando allo stesso tempo carcierere e prigioniero. Dall’altra parte si apre la via nihilista dell’abbandono.
Ma se veramente tutto questo non servisse a niente, non portasse a niente?
Se non ci fosse un nemico? Se il mondo non fosse contro di me? Se non ci fosse neanche un nemico dentro di me? Se l’ego non fossse altro che una modalità d’espressione dell’essere, un’altra forma di emozione utile o nefasta secondo l’uso che ne si fa? Se l’ego si fosse trasformato in nemico solo a causa di proiezioni mentali fantasmatiche? E’ a quel punto che risona una formidabile risata… Abbattiamo le mura! Andiamo ad approfittare del sole finalmente ricomparso, un bichiere di vino in mano e la pancia all’aria, in un mondo rasserenato.
Il ciclo del guerriero è compiuto. Per evitare di doverci ritornare, mi sembra utile precisare che questo processo non è lineare e che queste «tappe» non sono veramente reali. La costruzione della fortezza e la caccia all’ego non si escludono a vicenda ma anzi più spesso si ingarbugliano. Ciò non toglie che il cammino si faccia immergendosi nel mondo e la sua attività, e non negando la sua esistenza o ritirandosene. Non dimentichiamo neppure che l’ego è stato lungamente rinforzato prima che una risata disperdesse l’ombra delle muraglie; ciò spiega i comportamenti agli antipodi «dell’armonia» che tutti possono constatare nei praticanti più avanzati e, per questo, più esposti alle trappole della Via. Se un giorno ci ritroveremo «pancia all’aria», sarà grazie all’esperienza, e non ai discorsi.
Si tratta della mia comprensione dell’Aikido dopo quarant’anni di pratica. Ciò non vuol dire che domani non rimpiangerò quello che mi sono lasciato scappare qui.
Se questa visione dell’Aikido vi interessa, mi permetto di consigliarvi un piccolo libro: Shambhala di Chögyam Trungpa (Ubaldini Editore), a mio avviso la più interessante prospettiva sul guerriero spirituale nella società moderna. Direi il migliore libro d’Aikido che io conosca.
Barcellona – febbraio 2006
[1] Sam Noyce, ben noto agli anziani praticanti italiani e grande amico di Stéphane
Copyright Stéphane Benedetti ©2006
Traduzione a cura di Valeria Glingani e Daniel Leclerc
Sinceramente?
Siamo un po’ stanchi.
Siamo un po’ stanchi di gente che alla domanda se l’Aikido sia o meno un’arte marziale, ci risponde spiegandoci l’inutilità del combattimento.
L’Aikido è un’arte marziale?
Prevede una risposta sola.
SI.
O No.
Come la vedo io?
L’Aikido è un’arte marziale a tutti gli effetti.
Perché?
Perché l’armonia che nasce dall’armonia non ha bisogno di anni di Aikido per manifestarsi.
E’ ovvia, naturale e ridondante.
E meno male che c’è, aggiungerei.
L’Armonia che nasce dal caos, invece, è il miracolo al quale l’Aikido ci conduce.
Il cuore del vero aikidoka trova la pace al centro della battaglia.
E’ difficile?
Molto.
Riesce subito?
Niente affatto.
Ma ripensate a perché vi siete avvicinati al tatami.
Ripensate al vostro spirito puro di principiante.
Credevate nell’Aikido.
Non avevate bisogno di onanismi mentali, se qualcuno vi chiedeva “L’Aikido è un’arte marziale?”
Maestro è colui che semplifica, non colui che perverte.
E con tutto il rispetto per Benedetti ( che è un gran conoscitore di Aikido ed un grande budoka, in generale!) l’unico Aikido che conosco è quello che nasce da un’arte marziale, dal confronto col caos, con la paura, con lo stress.
E che da esse ricava armonia.
A mio parere, tutti coloro che praticano Arti Marziali dovrebbero leggere questi articoli che inducono ad una riflessione e stile di vita diverso.
Scrivi:
“Siamo un po’ stanchi”. Siamo un po’ stanchi di gente che alla domanda se l’Aikido sia o meno un’arte marziale, ci risponde spiegandoci l’inutilità del combattimento”.
SIAMO
A meno che tu non sia avvezzo all’uso del plurale majestatis, sarebbe piu’ corretto dire SONO.
Pretendere di sapere cosa pensino gli altri e’ ardua impresa, dato che spesso neppure noi sappiamo bene cosa si annida nel nostro cervello…
Benedetti dice:
“Ho visto, da poco, un reportage alla televisione sulla Legione Straniera. C’era un Giapponese che era andato ad arruolarsi per fare la guerra… Aveva ragione, la guerra, ci sono degli specialisti per questo, veri, non giocano con delle spade di legno… Quel tipo voleva essere un samurai dei tempi moderni, era partito dal Giappone diretto alla Legione dai professionisti, non in un Dojo, aveva capito…”
Ossia se volete giocare a fare i samurai, armatevi, andate a scoprire cosa e’ la guerra, dove si muore, cosa vi passa la voglia. Concordo pienamente: fare i guerrieri all’interno di un dojo, con doccia a fine sessione, non e’ arte marziale, e’ illusione. E’ una forma diversa di playstation.
Benedetti dice:
“La fortezza (paranoia 1). La fortezza corrisponde a un periodo di costruzione fisica. Occhio ai castelli di carte o di sabbia!”
Respingere questo profondo spunto di riflessione puo’ significare, appunto, di star ancora nuotando nella fase di cui sopra.
Scrivi in relazione a Benedetti di “onanismi mentali”
Qualcosa del tipo:
“Perché l’armonia che nasce dall’armonia non ha bisogno di anni di Aikido per manifestarsi. E’ ovvia, naturale e ridondante. E meno male che c’è, aggiungerei. L’Armonia che nasce dal caos, invece, è il miracolo al quale l’Aikido ci conduce. Il cuore del vero aikidoka trova la pace al centro della battaglia”.
Proviene dal tuo commento…
Ci vuole piu’ moderazione, amico mio, e se gli altri non la pensano come te, e’ ok, il tuo mondo va avanti lo stesso.
Caro Sempai,
Quando dico “Noi”, mai e poi mai mi sognerei di utilizzare il plurale maiestatis, no….
“Noi” siamo la generazione di mezzo, quelli cresciuti a pane e Go Nagai, che invecchiano col sogno che non chi lavora col massimo impegno, può VERAMENTE raggiungere l’obiettivo.
Siamo quelli che si allenano tutti i giorni, spesso più volte al giorno, che fanno da uke ai grandi maestri e che credono con tutte le forze che quello a cui si dedicano non può essere ridotto a mercificazione di firme sul libretto e di gradi sulla cintura.
E che credono fermamente che l’Aikido possa darci quello che noi abbiamo cercato, se fatto in un certo modo.
Quando dico “siamo stanchi”, parlo per bocca dei miei ragazzi, dei miei amici, dei miei compagni di stage, dei colleghi virtuali, degli istruttori dell’ultimo decennio.
Parlo per bocca di coloro che sanno di cosa stanno parlando, perché hanno mezzi e modi per trovare tutte le informazioni che servono.
E che sono stanchi di sentirsi raccontare delle storie.
Non è il caso di Benedetti, lo sottolineo!
Lui è un eccellente praticante ed insegnante, e non si discute.
DIscuto che il suo articolo non risponde alla domanda che pone nel titolo.
Se si fosse intitolato: “Samurai del nuovo millennio”, o “Aikido e guerra”, lo avrei apprezzato molto.
Ma, per la miseria, dover scrivere un paginone enorme per rispondere ad una domanda che richiede solo “Si o No”, mi sembra quantomeno fuorviante!
La questione non è Benedetti.
La questione è una generazione di maestri che non è capace di affermare CHE COSA stanno insegnando!!!
Mi sembra ovvio che qualsiasi cosa si dica vada contro di loro.
L’Aikido NON E’ un’arte marziale.
E perderebbero tutti quegli allievi che sono convinti che semmai ce ne fosse bisogno potrebbero servirsi degli insegnamenti ricevuti per salvaguardare la propria incolumità
L’Aikido E’ un’arte marziale.
E qualcuno chiederebbe loro di dimostrarglielo….
E credimi, non è una questione di moderazione, ma di Makoto.
Di quella sincerità della quale i samurai fecero virtù.
Sinceramente non so dire se l’Aikido sia un’arte marziale o no.
Semplicemente perchè non mi pongo la questione.
Ed anche perchè la risposta dipenderà sempre da come la vede l’interlocutore. Vorrei accennare che neanche in Giappone hanno ben chiara la cosa.
Sostanzialmente condivido i pensieri dell’ultimo post di Fabio(pur non facendo parte della generazione di mezzo o forse si, non lo so) sopratutto quando parla della sincerità.
Non ho fatto la guerra, anche se ero un ufficiale d’artiglieria, e quindi non mi sento d’insegnare come farla…magari come evitarla.
Non ho fatto 500 risse come Vin Diesel in “compagnie pericolose” e quindi non mi sento d’insegnarle.
Ma so cosa pratico ed insegno, una disciplina “fisica” che ho appreso, confrontato, implementato, affinato insegnando e sbattendomi sui tatami di varie discipline, studiando metodologia d’allenamento ecc.
Naturalmente condita con la mia esperienza di vita e con il mio modo di vederla, ma in ogni caso con la consapevolezza dichiarata di insegnare la “mia” non la migliore.
E questo, chiunque pratichi con me, lo capirà subito. Saprà dove può arrivare, cosa potrà fare ed in quanto tempo.
Mi fornirà le sue motivazioni ed io in sincerità saprò dirgli se posso, come ed in quanto tempo rispondere alle sue aspettative.
Sicuramente non gli propinerò storielle di vita, tantomeno patenti di verità, nè appartenenze di scuola, gradi certificati o genealogie(sono allievo di!).
Se il soggetto crede che l’aikido sia un’arte marziale, sarà un’arte marziale. Diversamente, non sarà un’arte marziale.
Non preoccupiamoci troppo di quello che qualcosa E’ oggettivamente, ci limitiamo a proiettare e creare nella nostra realtà ciò che siamo e che pensiamo
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Se devo rispondere con un si od un no, la mia risposta e’ no.
Se poi posso aggiungere un’altra riga diro’ che l’Aikido e’ un bel “gioco” marziale.
Pero’, se mi e’ consentito, vorrei dire che condivido lo scritto dell’amico e maestro Stephane, che ritengo essere uno dei pochi che ha capito qualcosa di Aikido e a mio avviso l’unico che va oltre la mera tecnica.
Non vorrei si vedesse un atteggiamento polemico,cosa che non e’, e quanto da me espresso qui, e’ cio’ che spesso affermo altrove.
Gia’ che ci sono, visto che e’ stato nominato Sam, che fu un caro amico, cito un fatto avvenuto in Francia anni fa.
Ci fu una disputa tra due maestri circa una tecnica col tanto, cosi si rivolsero a Tamura Sensei per avere una sua opinione.
Tamura rispose che lui insegnava tanto sul tatami e che se volevano un parere da vero esperto avrebbero dovuto rivolgersi a Sam e non a lui.
Un saluto a tutti
Sono d’accordo sul fatto che la paura, l’aggressività, l’angoscia, il panico, ecc sono emozioni indispensabili alla vita umana e quindi non eliminabili ma controllabili, nel senso che si possono riconoscere e quindi andarci a lavorare su.
Sono consapevole di questo doppio lavoro fisico ed emozionale che sta alla base dell’aikido, ma è proprio questo che mi piace e mi interessa. E’ vero molti allievi di aikido non resistono al continuo interrogarsi (tutto questo per cosa?Che porta all’interrogativo più difficile a cui rispondere, perchè facciamo aikido?) che si manifesta mano a mano che si prosegue nello studio/allenamento dell’aikido.Mi piace il confronto costruttivo tra uke e tori e quando non mi confronto con l’avversario io allieva di aikido mi confronto con il mio subconscio e non con l’Ego o bestia malvagia. A volte mi metto d’accordo con il mio incoscio che mi suggerisce cose che altrimenti non potrei sapere.
Per me la paranoia è quando le altre persone mi mettono fretta anche negli allenamenti allora in quei momenti vado in confusione e divento impaziente.
Per me (modesto senza grado) la questione si collega all’altro ritornello/ritornante dell’ Efficacia. L’ Aikido è efficace nella difesa personale?
Io vedo (imho) le due cose connesse. E come tutti i problemi (domande) di natura filosofica ad una questione di tipo definitorio.
Arte Marziale. Cosa significa?
La cosa assume (in occidente, nel mio contesto di vita, non possiamo che geo-contestualizzare) due diversi punti di vista risultanti in due diverse attribuzioni di significato:
a. Arte Marziale come difesa personale dall’attacco (punto di vista del neofita, o di chi si avvicina o cerca un dojo dove apprendere).
b. Arte Marziale come percorso di “crescita” personale – fisica – spirituale (punto di vista di chi si è già avvicinato all’Arte, vi è cresciuto, maturato, ha scelto e ha “praticato”).
Allora vediamo la prima domanda (a).
Possiamo rispondere in maniera univoca?
Considerate che ci sono una molteplicità di “Sensei”, di stili e scuole di insegnamento che a volte variano di volta in volta una singola tecnica in declinazioni ormai quasi impossibili da codificare (diversamente avviene in altre arti marziali). Allora si può parlare di Aikido (intendendo con questo, di un solo Aikido)? Inoltre una situazione di aggressione dipende da fattori di psicologia (reazione alla paura), controllo fisico (gestione del livello di adrenalina), numero e terreno (luogo) dell’aggressione e degli aggressori. Capacità tecnica e tipologia di allenamento. Oltre che di età di chi viene aggredito.
Inoltre c’è la modalità di insegnamento che prevede tre grossi fattori inficianti l’Efficacia (di cui parlavo all’inizio…):
1. attacchi annunciati e “rappresentati”
2. attacchi portati da individui con intenzionalità pacifiche
3. attacchi portati in un contesto emotivamente “protetto”.
Si potrebbe pensare che mettendo alla prova il “Maestro” di turno in uno scontro reale si possa saggiare l’efficacia della sua arte. Lo stesso dicasi dei suoi allievi… Ma dovremmo trascinarlo al porto (come si dice facesse O.S.)?
Portare gli allievi a fare gli esami in un bar di periferia?
O fargli imboscate in stile Kato (Ispettore Clouseau)?
Anche così a mia modesta opinione non si avrebbe una risposta.
Quindi io credo che alla prima domanda non si possa allo stato attuale della pratica (Aikido/i) non si possa rispondere con onestà.
Allora veniamo alla seconda prospettiva (b).
Qui la risposta è semplice (sempre imho). Da un punto di vista “maturo” io credo che non solo l’Aikido (inteso come totalità di scuole e varianti “artistiche”) sia ARTE Marziale, ma possieda (in quanto Arte) qualcosa di unico che la differenzi da ogni altro approccio al “combattimento” interiore/esteriore, universale/particolare. E cioè la capacità di fornire gli “strumenti” per sviluppare qualcosa di creativo di proprio di evolutivo. Di essere qualcosa in continuo movimento. Vitale. Originale. Esteticamente artistico.
E’ come se ci desse tecnica, pennelli e colori per dipingere qualcosa su di noi e sul mondo (alterità). Sta poi al nostro estro portare l’opera al compimento.
Un saluto a tutti i membri di questa bellissima community.
[…] L’Aikido E’ Un’Arte Marziale? […]
Concordo nell’assoluta soggettività della visione della realtà. Non solo nei confronti dell’aikido come arte, ma x tutto ciò che ci circonda nel quotidiano.
[…] vivere da guerriero, non per fare la guerra, per citare le parole del maestro francese di Aikido Stephane Benedetti: “Vivere da guerriero, non fare la guerra! (…) Io non sono violentemente pacifista, ma […]
[…] (2) http://aikidoitalia.com/2011/09/23/laikido-e-unarte-marziale/ […]