
Nell’Estremo Oriente tutto è profondamente legato al simbolismo. Antiche usanze e tradizioni ancora oggi coesistono con la modernità e il progresso tecnologico più esasperato. In quest’era dove l’uomo sembra essere sempre più proiettato verso l’essoterismo sopravvive intatto un mondo dove le virtù più nobili e cavalleresche possono ancora ispirarci: il Budo
di PAOLO N. CORALLINI

Budo significa “La via della pace attraverso la pratica delle arti marziali”. Questo termine proviene da BUSHI (che significa l’uomo nobile, il cavaliere, protettore e guardiano dell’ordine stabilito, garante della giustizia e detentore dei più alti valori morali ed etici; è il guardiano del Tempio) e DO (che significa la Via, la ricerca spirituale). Budo è dunque la Via del cavaliere inteso come colui che incarna le più nobili virtù e le pone al servizio della società.
La materia è ampia e richiederebbe molto spazio e tempo per esaurirla, mi limiterò pertanto in questa tavola a descrivere il linguaggio simbolico di tre aspetti fondamentali nella iniziazione al Budo:
- il Dojo (Luogo dove si pratica la Via)
- il Dogi (Uniforme della Via)
- il Reigi (Cerimoniale o Rituale).
Dojo
Il Dojo è orientato simbolicamente in modo tale da integrare armoniosamente la terra, l’uomo e l’universo. Al suo interno si notano spazi particolari legati per analogie e simbolismi a particolari energie, entità, eggregori e numeri.

Al centro del muro orientato a nord troviamo lo Shinza, letteralmente “luogo dove risiede il Cuore-Spirito” o “residenza degli Dei”. In questa zona c’è un altare (Tokonoma) sopra il quale viene affissa una calligrafia sacra e vengono deposte le spade (Katana) ed altri oggetti sacri legati al rituale. Lo Shinza è oggetto di profondo rispetto da parte dell’iniziato, dal momento che rappresenta dal punto di vista spirituale l’esistenza dello Spirito Originale: è il Sancta Sanctorum del Dojo. Lo Shinza è il luogo dove le energie sottili che emanano dal Cuore-Spirito Originale comunicano con quelle del Cuore-Spirito Individuale di ogni praticante. Questa unione di energie rappresenta l’eggregore del Budo. Lo Shinza è l’anti caos poiché rappresenta l’Ordine Cosmico che emana dal Dio Creatore.
Alla destra dello Shinza è situato il Kamiza letteralmente “luogo dove risiedono gli spiriti del fuoco e dell’acqua”. Il Kamiza simboleggia gli elementi della natura vivente: secondo la tradizione orientale il Fuoco-Creatività è orientato a sud e legato all’estate, il Metallo-Intuizione è orientato ad ovest e legato all’autunno, l’Acqua-Prudenza è orientata a nord e legata all’inverno, il Legno-Immaginazione è orientato ad est e legato alla primavera e la Terra-Volontà è al centro. Il Kamiza, oltre all’unione mitica del fuoco, dell’acqua e degli altri elementi, rappresenta l’unione del maschile col femminile, dell’amore e dello spirito.
Alla sinistra dello Shinza è situato lo Shimoza, luogo dove si tengono gli spiriti degli avi. Esso simboleggia dunque le forze del passato, cioè l’esperienza base dell’evoluzione di tutti gli esseri umani, degli animali e dei vegetali. L’insieme di Shinza-Kamiza-Shimoza è una trinità paragonabile a quella della scienza esoterica universale.
Dalla parte opposta al muro del nord, quindi a sud, c’è l’Hikae Seki, letteralmente “luogo dove si prendono appunti”: è lo spazio riservato agli allievi, agli apprendisti, a coloro insomma che desiderano essere iniziati. E’ un luogo legato al femminile, al ricettivo ed è infatti riservato agli allievi che hanno bisogno dell’insegnamento del Maestro (Sensei), che è invece a nord, davanti allo Shinza, luogo quindi legato al maschile e alla emissione.
Una linea centrale taglia simbolicamente il dojo in due parti, destra e sinistra, est e ovest ed è chiamata Seitchu Sen: essa rappresenta l’asse del mondo manifesto, l’orizzontalità, il piano della manifestazione dell’umano sulla terra. E’ simbolo di comunicazione tra cielo e terra. A destra di questa linea si siedono i più esperti, a sinistra i meno esperti.
Tradizionalmente il dojo non è riscaldato, perché si devono percepire le variazioni climatiche e gli effluvi legati alle varie stagioni.

Il dojo è consacrato con riti di purificazione (Misogi) e di esorcismo (Harai), in modo da attirare spiriti benefici (Kami) e scacciare entità ostili. Un dojo ritualmente consacrato è un luogo protetto, un luogo che ha un’anima, un luogo dove si può praticare in totale sicurezza, al riparo da sguardi indiscreti, da influenze nefaste del mondo profano e dalle emanazioni sulfuree che provengono dai mondi invisibili e diabolici. Il dojo è un recinto sacro, un cerchio magico protettore, che permette ai coraggiosi di proseguire nella ricerca e nel perfezionamento individuale.
Nel dojo deve regnare l’altruismo, il rispetto reciproco e la riconoscenza verso il Maestro. Questo sentimento, denominato Kansha, deve esprimere gratitudine rivolta anche a tutti gli altri praticanti. Gli allievi (apprendisti) ascoltano in silenzio e ricettivi il Maestro che insegna. Egli deve essere emissivo il più possibile, aprire il suo cuore con gioia e compassione e dare senza riserve. L’unico nemico da uccidere è l’egoismo, sentimento che divide, vero e spaventoso diavolo. Solo chi dà può ricevere: questo è il distintivo del vero Maestro.
Dogi
Il Dogi è un termine composto da Do che significa “Via” e Gi che significa “abito, uniforme”. Esso è dunque l’uniforme per la pratica della Via. Questa uniforme è composta da Keikogi (pantaloni e giacca di cotone bianco), Obi (cintura bianca o nera) e Hakama (gonnapantalone nera, blu o bianca). Prima di indossare il Dogi bisogna spogliarsi (in silenzio) degli abiti civili, cosa che simbolicamente ha la valenza di abbandonare gli aspetti e le influenze negative del mondo profano. S’indossa poi la veste per praticare la Via con la giusta disposizione d’animo, alla ricerca delle qualità mancanti.

Il Keikogi è bianco, a simboleggiare la purezza, la sincerità, la dirittura morale. Il bianco è inoltre espressione di luce, di conoscenza, di chiarezza, di verginità. Sul piano fisico è legato alla luce solare, che è possibile scomporre con un prisma in tutti i colori della Via. Il bianco è simbolo dell’origine. Equilibrando le tre facce del prisma umano (quella intellettuale che conduce alla verità, quella emozionale che conduce all’amore, quella fisica che conduce alla saggezza) potremo manifestare i colori o virtù contenute nella luce bianca.
S’infila la giacca cominciando dalla manica destra e lo stesso vale per i pantaloni e per l’hakama, che s’infilano a partire dalla gamba destra. Il lato destro simboleggia la giustizia, la sincerità, la ragione (si parla infatti nei giusti di “dirittura morale”). Al contrario, la sinistra è legata, sì all’intuizione, all’amore, alla sensibilità, ma anche all’oscurità, alla falsità, alla simulazione (si dice infatti di una persona malvagia che è “sinistra”).
L’Obi (cintura) si arrotola attorno alla vita in senso orario o destrogiro: è interessante notare che in tutti i rituali legati alla magia bianca si usano movimenti destrogiri, al contrario di quelli legati ai rituali della magia nera che sono sinistrogiri. L’andamento avvolgente della cintura equilibra gli aspetti solari e lunari dell’individuo. L’Obi indica anche il centro di gravità (Hara), che è un punto situato un paio di centimetri sotto l’ombelico, dove è localizzato il chakra della sorgente del fuoco sacro (Seika Tanden). Il nodo della cintura è un nodo piatto che simboleggia il numero 8 coricato (∞), il segno dell’infinito. Questo simbolo rappresenta l’evolversi e il riciclarsi delle energie, il movimento in tutte le direzioni, lo spaziare infinito dello spirito umano alla ricerca delle nozze alchemiche con l’anima universale. Il nodo simboleggia inoltre la ricettività mentale passiva di fronte all’attività creatrice del Divino. Il nodo dell’OBI è simbolo di fratellanza, di custodia e protezione dei misteri.
L’Hakama è il vestito rituale tradizionale: primo segno distintivo dell’appartenenza alla classe dei Bushi (cavalieri). S’indossa a partire dal grado di cintura nera. Colui che è autorizzato a indossare l’Hakama è contemporaneamente investito di grandi responsabilità e doveri. Essi sono innanzitutto la fedeltà, la lealtà, il coraggio, il rispetto, la bontà e la purezza: virtù che contraddistinguono il vero cavaliere. I gradi più alti (a partire dal 6° dan), qualora vengano insigniti del titolo onorifico di Shihan (persona da imitare), possono indossare l’Hakama bianca, simbolo di raggiunta purezza. Il nodo dei nastri anteriori dell’hakama ha la forma di una croce, simbolo di attività, di profondo lavoro di ricerca: è l’unione dell’orizzontalità con la verticalità, del passivo con l’attivo, del femminile col maschile: è il simbolo dell’accordo dei contrari. Questo nodo a forma di croce è davanti al Seika Tanden, al chakra cioè dove è localizzata la sorgente del fuoco sacro.

Reigi
Il Reigi (cerimoniale o rituale) comprende l’insieme di atteggiamenti, di comportamenti e di saluti che si effettuano nel dojo. Il rituale riveste la più alta importanza in tutte le vie iniziatiche. Come già detto, il dojo è un luogo consacrato alla ricerca della Via, ma la sua consacrazione è inutile se non accompagnata e protetta da una ritualità ortodossa che tende a farne sopravvivere e attualizzare i significati morali. I rituali sono diversi per ogni grado di lavoro e di ricerca e vanno vissuti e osservati meticolosamente.
Ogni arte marziale tradizionale ha le sue specificità per ciò che concerne il rituale ma ci sono dei punti comuni che sono i saluti in piedi (Ritsurei) ed in ginocchio (Zarei) che si effettuano rivolti al dojo, al proprio partner ed alle armi. Quando si entra nel dojo e in seguito nell’area riservata alla pratica si avanza sempre col piede destro. Oltre ai significati già esposti a proposito del lato destro, va aggiunto che l’avanzare col piede giusto ha la valenza di un atto volontario animato da nobili sentimenti che esaltano virtù come la lealtà, il coraggio, la giustizia e la purezza. Ci si inginocchia invece con il ginocchio sinistro per simboleggiare la determinazione di sacrificare le qualità legate alla materialità e sottomettere le influenze negative.
Altro punto comune nei diversi Budo è la distanza (Maai). Questo termine si compone di Maa che significa spazio-tempo e Ai che significa armonia: è dunque lo spazio ideale dove è necessario porsi affinché ci sia una armonizzazione totale con il partner. E’ il luogo ideale dove risolvere pacificamente i conflitti nel rispetto dell’Ordine Divino.
Più il praticante è esperto (Maestro) più la distanza è grande, poiché egli è capace di colmarla col suo irraggiamento spirituale ed è proprio grazie a questo che il contatto diretto o il conflitto diventa inutile. Il nemico ipotetico verrà irraggiato da un vortice di amore e di compassione che lo trasformerà in un essere migliore col quale costruire una società fondata sulla tolleranza e sulla cooperazione.
Un vero rituale non può essere effettuato se non regna un clima di fiducia reciproca. Un ambiente ideale permetterà di sviluppare una mutua sincerità e lo svilupparsi di facoltà paranormali che riguardano il campo delle percezioni extrasensoriali ed intuitive (Haragei).
Grazie a queste facoltà potremo capire le intenzioni del partner, i suoi sentimenti, i suoi pensieri, il suo essere e potremo finalmente cercare un’intesa, un’armonia che sia il riflesso su questa terra dell’armonia universale.
Si ringrazia Paolo Corallini per avere cortesemente autorizzato la pubblicazione di questo testo su Aikido Italia Network
Copyright Paolo N. Corallini© 2013
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sicuramente molti praticanti , non hanno la consapevolezza di questi 3 importanti aspetti della ” pratica”.
Ciò non’è legato solo all’Aikido ma a tutte le arti marziali, comprndere queste forme è importante ,sotto l’aspetto non solo legato all’ordine e alla disciplina, ma , anche come forma ” spirituale”, che ci lega alle tradizioni della nostra meravigliosa Arte che è l’Aikido.
credo che l’essenziale stia nel fatto che ogni allievo riceva e trasmetta ( con l’esempio) ciò che apprende dal Maestro e sia compito dell’allievo cercare nella lettura di testi specifici ( hagakurè, Bushido ,Sun tsu…storie e biografie di artisti marziali )la conoscenza stessa delle usanze.
rimane comuque l’esempio, la miglior forma di divulgazione dei concetti.
questa è la mia personale convinzione.
Osvaldo 1° kiu