In occasione del 50° anniversario della morte per suicidio rituale di Yukio Mishima, figura centrale del dopoguerra in Giappone, pubblichiamo un estratto dal libro “La Spada di Mishima”, di Christopher Ross. Invitiamo ad acquistare il volume per capire la portata del personaggio e le implicazioni del suo gesto
di CHRISTOPHER ROSS
“ultimo giorno, ore 06.30 di mattina
Mishima si alza presto mercoledì mattina. Di solito è abituato a lavorare tutta la notte, svegliandosi verso mezzogiorno dopo aver dormito cinque o sei ore. La notte precedente, però, è andato a letto prima. Yoko è già uscita di casa per portare i bambini a scuola.
Mishima svuota gli intestini, fa il bagno, si mette un lucidalabbra trasparente e si dà un po di rosso alle gote. Tira fuori l’uniforme invernale del Tate no Kai, lavata e stirata. Quando si veste infila prima nei calzoni la gamba destra, invertendo l’ordine abituale con cui s’indossa l’hakama, che prevede s’infili prima la gamba sinistra. L’eccezione a quest’ordine tradizionale riguarda solo il giorno in cui si fa seppuku, quando s’indossa con il piede destro l’hakama o shibakama della morte. Si tratta di un riconoscimento simbolico del fatto che si è già morti, perché l’ordine di successione tra sinistra e destra viene invertito solo quando si veste un cadavere prima della cremazione.
Il cielo fuori dalla finestra dello studio di Mishima è luminoso, limpido e senza nubi: è una bella giornata per morire, pensa. Qualunque sia il tempo, la sua determinazione non cederà ora, così raccoglie le lettere che ha scritto – ad amici e familiari, a redattori ed editori – e le mette dove verranno trovate più tardi, quel giorno stesso. Scrive anche una breve nota e l’appoggia sulla scrivania. Fa due telefonate, entrambe a giornalisti che conosce e stima. Munekatsu Date è un giornalista televisivo della NHK e Mishima ha cenato con lui alcuni mesi prima chiedendogli se voleva riprenderlo mentre faceva seppuku e trasmetterne le immagini. Allora, vista la reazione sconvolta di Date, aveva lasciato perdere dicendo che stava solo scherzando. L’altro uomo, Takao Tokuoka, è un reporter del quoditidiano Mainichi che aveva portato Mishima a un bordello di Bangkok dopo che Yoko era tornata in Giappone. Li invita tutti e due a presentarsi all’Ichigaya Kaikan, un edificio adiacente alla base delle Forze Armate di Autodifesa, in cui il il Tateno Kai tiene i suoi incontri, dicendo soltanto che “accadrà qualcosa”.
Poco prima delle dieci una Toyota Corona bianca si ferma fuori dal cancello principale della casa di Mishima. il Piccolo Koga apre la portiera anteriore, entre in cortile e si avvicina alla casa mentre Mishima apre la porta. Mishima dà a Koga la propria valigetta e parecchie buste. Ce n’é una per ciascuno dei cadette del Tate no Kai che aspettano in macchina, e un’altra per Koga. Mishima prende il cappello e i guanti dell’uniforme e con la mano sinistra tiene ferma la spada che pende dalla cintura in un fodero di cuoio per il gunto, la spada militare. La sera precedente, dopo che Yoko era andata a letto, Mishima aveva conficcato con cura i pioli mekugi nell’impugnatura della spada: una precauzione per impedire che al lama e l’impugnatura si separassero sotto l’impatto del colpo.”
“ultimo giorno, ore 10.40 di mattina
La Toyota Corona bianca, con targa TAMA 5-36-86, lavata quella mattina stessa, luccica sotto il sole di novembre mentre corre veloce sull’autostrada. Mishima dice a Koga di prendere l’uscita per Gaien e poi guarda l’orologio. Sono in anticipo, è troppo presto per un appuntamento con la morte! Non va bene, è necessario che siano puntuali. Mishima dice a Koga di fare qualche giro attorno allo Jingu Gaien, e mentre la vettura bianca continua a percorrere il perimetro del parco, Mishima si mette a cantare per rallegrare l’animo di tutti:
Giri to Niniyo o hakari ni kakerya
Giri ga omotai otoko no sekai
Osana-najimi no Kannon-sama nya
Ore no kokoro wa omitoshi
Sena de hoeteru, Karajishi-botan.
“Dalla mia schiena abbaiano un cane leone e una peonia…”. Mishima canta questa enka popolare, tratta dall’omonimo film: Karayishi Botan. Gli altri si uniscono al coro. Il simbolismo è chiaro a tutti: il cane leone, con il suo valore e la sua forza sovrumani; la peonia, il più nobile tra i fiori, un bocciolo di primavera che simboleggia la purezza e la sensibilità femminile necessarie a bilanciare l’uomo completo. La crudeltà deve essere imbrigliata dal bushino no nasake, la virtù samurai della compassione verso i deboli.
Dopo qualche altro giro, la candida auto carica di uomini in uniforme prosegue il suo viaggio. Mishima decide di passare davanti alla scuola elementare della figlia, l’elitaria Gakushuin, e dopo questa deviazione il viaggio riprende verso Ichigaya, di nuovo puntuale per l’appuntamento con il generale.”
“ultimo giorno, ore 10.55 di mattina
Il Piccolo Koga si ferma davanti all’ingresso del quartier generale delle Forze di Autodifesa di Ichigaya e abbassa il finestrino. Al cancello stazionano delle sentinelle armate, ma quando vedono Mishima seduto sul sedile posteriore dell’automobile si limitano a salutare e fanno cenno alla vettura di passare. Si sa che lui è un VIP. Non è il caso di chiedergli pass o permessi, e poi lo aspettano per quell’ora: l’appuntamento con il generale Mishita è nell’agenda del giorno. La vettura bianca si inerpica su per la collina e poi si perde dietro lo schermo degli alberi, finché non svolta a sinistra verso l’ufficio del generale.”
“ultimo giorno, ore 11.10 di mattina
Il colonnello Hara appoggia l’occhio allo spioncino e sbircia nell’ufficio del generale. Vuole controllare se deve ordinare il tè subito o magari aspettare ancora un po’. Di solito il tè viene servito all’inizio di un incontro, ma Mishima ha reso insicuro Hara. C’é qualcosa di stonato stamattina? Non ne è certo e pensa che sia meglio controllare.
Nell’ufficio del generale, invece della calma di due uomini che conversano tranquillamente, Hara vede molta confusione. Il generale con la bocca tappata, una corda legata intorno al torace, e un cadetto dietro di lui con un coltello in mano. Mishima va su e giù per la stanza come una tigre in gabbia, brandendo una spada. Esterrefatto, Hara non può fare a meno di gridare ad alta voce: “Che cosa state facendo?”, un’esclamazione che risuona con chiarezza dall’altra parte della sottile parete divisoria.
Hara e il maggiore Sawamoto cercano di forzare la porta. I mobili accatastati contro l’uscio cominciano a spostarsi, ma qualcuno si risospinge indietro mantenendo la porta chiusa. “Fuori! Fuori!” grida Mishima dall’altra parte della porta. “Uccideremo il generale se tentate di entrare. Abbiamo delle richieste da fare. Fate come vi diciamo e al generale non sarà torto un capello”. Hara manda un impiegato a cercare il generale Ymazaki, l’ufficiale della base di grado immediatamente inferiore al generale Mishita. Poco dopo si è già formato un assembramento di ufficiali dentro l’edificio esterno.”
“ultimo giorno, 11.20 di mattina
Undici giovani ufficiali si danno da fare per spingere da parte i mobili che barricano la porta ed entrare nell’ufficio. L’apertura è stretta e quando entrano, uno alla volta, si trovano davanti Mishima che brandisce la spada. Morita ha un coltello tanto e Ogawa un manganello. Il Vecchio Koga sta facendo la guardia a un’altra delle porte barricate, con in mano un’arma improvvisata, un posacenere preso dalla scrivania del generale, mentre il Piccolo Koga punta la lama del coltello yoroidoshi alla gola del generale Mishita. Un ufficiale lancia un bokken a Mishima, che lo para e lo spezza. Con la spada Mishima colpisce bersagli non letali, braccia e schiene. Ferisce un ufficiale alla schiena e taglia il polso a un altro uomo, recidendogli quasi la mano sinistra, nel tentativo di respingere la prima ondata.
Un altro tentativo. Un ufficiale di nome Terao balza davanti a Morite e gli sferra un pugno in faccia. Mishima lo ferisce alla spalla, ma questo riesce a strappare il tanto dalla presa di Morita, stordito, e a fuggire di corsa fuori dalla porta. Mentre scavalca la barricata di mobili sparsi Mishima lo ferisce i nuovo tre volte alla schiena. Rivoli di sangue gli impregnano la camicia formando un kana ki.
Verso le undici e trenta l’assalto si ferma e Mishima dice al colonnello Yoshimatsu che ucciderà Mashita a meno che non interrompa i tentativi di salvataggio. Ha delle richieste da fare ripete.”
“ultimo giorno, 12.00 di mattina
I soldati radunati sotto il balcone alzano lo sguardo e si urlano a vicenda spiegazioni su quello che sta accadendo: Mishima tiene in ostaggio il generale Mashita nel suo ufficio, in uno scontro sono rimasti feriti una decina di dipendenti delle Forze di Autodifesa, Mishima ha una spada. Qualcuno ha detto loro che Mishima terrà un discorso. Arriva la polizia. Ci sono elicotteri, con poliziotti e la stampa, che ronzano in alto. Il rumore degli uomini, delle sirene e degli elicotteri è assordante.
Uno striscione scritto su un lenzuolo viene fatto calare dal balcone. Ordina agli astanti di ascoltare Mishima senza interromperlo, in assoluto silenzio. Avvisa che qualsiasi attacco avrà per conseguenza l’uccisione del generale e il seppuku di Mishima. Quest’ultimo, Brandendo la sua spada Seki no Magoroku, cammina su e giù per il balcone in attesa che la folla taccia. Morita lancia copie di un “Ultimo Appello“, Gekibun, che Mishima intende leggere ad alta voce, seguito da un appello improvvisato agli uomini affinché insorgano e attacchino il parlamento, la Dieta, dove è presente l’Imperatore.
Quando avverte di non poter aspettare più a lungo, Mishima porge la sua spada a Morita e si dirige verso la balustra del balcone, alza le mani, con i palmi stesi ben visibili dal basso grazie ai guanti bianchi. Intorno alla testa ha un hachimaki, proprio come gli altri, che segnala la sua intenzione di morire. Sette vite per l’imperatore è la scritta che campeggia su entrambi i lati di un hinomaru, il cerchio rosso che appare sulla bandiera giapponese, il colore del sangue appena versato. Mishima cerca di ritrovare il proprio equilibrio mentale. E’ da tempo che soffre di vertigini e durante l’ultimo incontro preparatorio scherzava dicendo che la sua paura dell’altezza sarebbe stata un problema maggiore dell’aprirsi il ventre.
Comincia a leggere e la folla si azzittisce un po’. Poi qualcuno comincia a gridare. “Perché hai ferito i nostri compagni?”, “Gangster!!”, “Scendi e lascia parlare il generale!”. C’è chi continua a urlare: “Sparategli!”. Dopo aver letto il resto del suo appello a una folla sempre più rumorosa, impiegandoci almeno cinque minuti, si ferma. Fa un balzo indietro e, seguito da Morita, torna alla finestra per rientrare nell’ufficio del generale Mashita.”
“ultimo giorno, ore 12.10 di mattina
Gore Vidal raccontava che degli amici giapponesi avevano definito volgare il seppuku di Mishima. Un autentico seppuku, dicevano, era un atto estetico con un formalismo preciso eseguito in privato, non davanti a tanti testimoni. Anzi, Mishima si era persino informato se c’era qualche possibilità di farlo riprendere dalla televisione. Non essendoci riuscito si sarebvbe dovuto accontentare degli uomini presenti nell’ufficio del generale Mashita e di chiunque, dalle stanze accanto, avesse potuto sbirciare qulche scena del dramma che vi si stava svolgendo.
Se Mishima avesse alzato lo sguardo verso quelle finestre avrebbe visto una fila di volti di poliziotti e militari che osservavano increduli attraverso le vetrate della parete divisoria che separava l’ufficio del generale Mashita vero e proprio dall’anticamera. Altri testimoni. Il Vecchio Koga è appoggiato contro i mobili accatastati usati per barricare la porta. Il Piccolo Koga è ancora dietro al generale, anche se non ha più un coltello con cui minacciarlo; hanno un coltello in meno. Ogawa impugna ancora il manganello di metallo del Tate no Kai. Morita, che brandisce la spada di Mishima, è in piedi dietro il suo comandante inginocchiato.
“Per favore, si fermi! Questa è una follia! Non si uccida!” grida il generale. Sa che le sue implorazioni verranno ignorate e che Mishima ha deciso di morire. Ha già visto sguardi così determinati, ma mai in tempo di pace.
“Tenno Heika Banzai!” grida l’uomo in ginocchio.
Mishima s’infila la lama nel ventre teso. Quasi dieci centrimetri di metallo gli entrano nella carne. Sono troppi, è un taglio troppo profondo. Gli insegnamenti trasmessi oralmente dalle vecchie scuole di scherma suggeriscono che non più di cinque centimetri di coltello debbano entrare nella carne quando ci si apre l’addome. Se sono di più, il corpo si accascia in avanti. E infatti Mishima si abbatte in avanti, proprio nel momento in cui Morita abbassa la spada e manca il collo di Mishima, provocando un taglio orribile nelle spalle dello scrittore.
Mishima si rialza a sedere, scrolla il capo per controllare gli spasmi del dolore. Allunga il collo, ma si accascia nuovamente in avanti quando Morita sferra il secondo colpo, mancando completamente il bersaglio e colpendo il tappeto inzuppato di sangue. Lo osserva con orrore. Anche gli spettatori osservano con orrore. A tempo debito, man mano che la notizia farà il giro del mondo, tutti assisteranno alla scena con orrore.
In risposta al dolore, Mishima si morde la lingua e la bocca che gli si riempie di sangue. Un terzo colpo di spada gli apre un taglio nella nuca e poi cozza contro la mascella producendo il rumore rivoltante del metallo che scheggia un osso. Alcuni degli occhi che osservano la scena spaventosa distolgono lo sguardo. Morita si volta implorante verso il Vecchio Koga, che gli toglie subito la spada di mano, si mette in posizione di equilibrio, prende al mira e poi, con un unico movimento mozza la testa a Mishima.
Morita sfila il coltello, si abbassa i calzoni, s’inginochia e con la punta affilata si fa un taglio superficiale lungo tutto l’addome. Incomincia a scorrere un sottile rivolo di sangue. Fa un cenno con la testa, abbassa un po’ il collo per offrire un facile bersaglio a Koga. Un momento dopo è morto.
Le due teste mozzate vengono posate davanti ai corpi caduti, che vengono poi ricoperti con le giacche delle uniformi. I cadetti sopravvissuti cominciano a piangere. Persino il generale Mashita sembra che debba piangere, ma si trattiene e dice, a mo’ di incoraggiamento: “Suvvia, piangete. Piangere fa bene. E cercate anche di dire una preghiera”.
Il generale viene slegato e aiutato ad alzarsi. Tutti recitano il Nenbutsu, la preghiera per il morti – Namu Amida Butsu, Tutte le lodi ad Amida Buddha. Vengono tolte le barricate alla porta. Il piccolo Koga ha in mano la spada di Mishima, con la lama rivolta verso di sé e al punta al pavimento, per indicare che si sta arrendendo. Escono insieme per farsi arrestare.
Alle 12.23 un medico legale dichiara ufficialmente la morte di Mishima e Morita. Poiché le loro teste non sono più attaccate ai corpi ma giacciono sul pavimento dell’ufficio, la diagnosi non è difficile.
Leggi: “Gekibun”, l’Ultimo Appello di Yukio Mishima
Titolo del Libro: La Spada di Mishima
Autore : Christopher Ross
Editore: Lindau
Collana: I bambù
Data di Pubblicazione: 2018
Argomento : Mishima, Yukio
Traduttore: Beretta S.
ISBN-10: 8833530620
ISBN-13: 9788833530628

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