Da quando faccio arti marziali continuo a sentire le stesse discussioni sulle loro finalità ultime, e le diatribe più aspre avvengono sempre sul soggetto Aikido. Vediamo di dare qualche indicazione sul tema, riflettendo ed elaborando un paio di illustri e ben centrati pareri
di SIMONE CHIERCHINI

È più forte una tigre o un leone, mi chiedeva oggi mia figlia? Le ho risposto che ognuno si fa i fatti suoi… Ci sono karateka tosti e aikidoka tosti, karateka di marmo e aikidoka ballerini. Fermarsi a fare classifiche sulle arti marziali è un esercizio puerile, perché è questione di autista, non di macchina! Se il vino che si trova nella propria cantina è imbevibile, è insensato prendersela con l’uva…
Questo genere di riflessioni – che abbonda a ripetizione sui social network e in pizzeria – sottende tuttavia una questione ben più profonda, una questione che investe proprio gli scopi ultimi delle arti marziali nel nostro mondo odierno, Aikido in primis: a che cosa serve l’Aikido oggi? Perché sembrerebbe assai palese che se non si ha chiaro a cosa serve una cosa, lo studiarla e svilupparla in modo coerente è alquanto complicato e frustrante, se non impossibile. Se devo andare in mare prenderò una barca, se devo scalare una montagna mi procurerò scarponi, funi e rampini; però se mi calassi in mare aperto carico del peso dell’attrezzatura da arrampicata, sarei certo di affogare, e poi contro chi dovrei inveire, contro gli scarponi? E allora, a che cosa serve l’Aikido oggi?
Per formulare una risposta sensata, cerchiamo ispirazione nelle parole dei saggi che ci hanno preceduto, cominciando con quelle di Kenji Tomiki, rispettato allievo anteguerra di Morihei Ueshiba. Sentiamo cosa dice sul soggetto Tomiki in un’intervista concessa nel 1982 ad Aikido Journal di Stanley Pranin:

“Durante il periodo Edo, le stringenti necessità del precedente Periodo degli Stati Guerrieri lasciarono spazio ad un’era in cui la maggior parte della gente trascorreva il proprio tempo sedendo in seiza sui tatami o bevendo tè verde. Stando seduti in quel modo, alcuni iniziarono a chiedersi che cosa avrebbero fatto se gli fosse successo qualcosa di inatteso. Divenne pertanto necessario sviluppare modi di difendersi per esempio utilizzando il lancio di aghi, o servendosi di metodi per evitare i colpi inferti con una spada corta. In situazioni che si sviluppavano in spazi ristretti, ciò di cui c’era bisogno era quello che noi oggi conosciamo come suwariwaza (tecniche a sedere). In generale, si dice che più di un terzo delle tecniche sviluppate durante quel lungo periodo che va dal 1603 al 1868 erano a sedere. E’ verissimo, la necessità è la madre dell’invenzione.
Successivamente, con il periodo Meiji, il bisogno del bujutsu (arti marziali) semplicemente scomparve, e i waza (tecniche) divennero traballanti. Questo fatto era naturale e c’era da aspettarselo, dal momento che non vi era più necessità di combattere in guerra. Ovviamente non ci sono guerre neppure adesso, e non ne avremo alcuna neppure in futuro. Per queste ragioni non è più necessario avere il budo. “E allora perché incoraggiarne la pratica?” ci si potrebbe chiedere. La risposta a quella domanda ci può essere fornita dalla psicologia educativa. La maggior parte della gente oggi non ha quasi bisogno di camminare, e meno ancora di correre. Si è deboli nell’arrampicarsi in montagna, scarsi a nuotare. La situazione attuale è pessima. La gente avanza solo a livello mentale. E’ però necessario avere un eguale sviluppo tanto a livello intellettuale quanto a livello fisico e spirituale.
Il cuore o spirito umano (kokoro) è un qualcosa che diventa sempre più debole se non ha nulla da fare, necessita di qualche tipo di stimolo. Bisogna avere vigore fisico e un forte desiderio di vivere, e qui è dove l’educazione entra in gioco. Ciò che è sempre stato proposto alla gente di tutto il mondo come metodo educativo per sviluppare tanto il vigore fisico che spirituale attraverso la forza dell’armonia è sempre stato il combattimento”. (1)
Tre importanti punti da non lasciarsi sfuggire:
“La necessità è la madre dell’invenzione”.
“Con il periodo Meiji, il bisogno del bujutsu (arti marziali) semplicemente scomparve, e i waza (tecniche) divennero traballanti”.
“Il cuore o spirito umano (kokoro) è un qualcosa che diventa sempre più debole se non ha nulla da fare, necessita di qualche tipo di stimolo”
Tradotto, per me, questo significa che ha uno scopo, una funzione e una validità solo quello che è necessario. Significa che bisogna rispettare le leggi della natura. Significa che quello che non serve diviene “traballante”, cioè manca di fondamenta, ed è destinato a cadere e finire in rovina.
Le arti marziali intese come pura arte di combattimento, cioé destinata al solo scopo di combattere, sono archeologia da diverse decadi. Chi si trastulla in pensieri di natura belluina indossando keikogi lavati con il detersivo che dà il bianco che più bianco non si può, vive in una patetica illusione – tristemente coltivata con altri illusi cui piacciono i giochi violenti. Alla fine di ogni “guerra” da tatami o cage, questi puponi non cresciuti si fanno una bella doccettina calda, al ritmo di Beyoncé dalla sala zumba accanto, per poi reidratarsi con l’apposita bevanda isotonica dalla macchinetta a gettoni vicino all’avvenente receptionist. Ma quale guerra d’Egitto, in guerra si scanna e si crepa!!!
Costoro, inoltre, sono pronti a turlupinare per soldi chi gli si accosta, spargendo nozioni sul terrore che appesterebbe le nostre strade, sulla necessità assoluta di difendersi da orde di assalitori che ci starebbero aspettando dietro ad ogni angolo… scemenze totali! Mai nella sua storia il nostro mondo è stato più sicuro che negli ultimi 70 anni. La Legge c’è, e la Polizia pure – anche se potrebbero fare meglio. Nessuno osi dire che oggi si vive esposti a maggiori rischi rispetto ad uno qualunque dei secoli passati, ma stiamo scherzando? Questa gente l’ha studiata un po’ di storia? Seminare paura e insicurezza è indegno di chi si dice un marzialista e vive i valori e l’onore di praticare arti marziali. Le possibilità statistiche di essere attaccati sono minuscole, vicino allo zero assoluto. Trascorrere un paio di decenni a imparare come difendersi seguendo un’ottica di questo tipo dimostra solamente la presenza di seri problemi psicologici nei soggetti interessati.
La verità pura e semplice, quindi, è che oggi non si può studiare nulla di efficace, perché sono assenti le condizioni per utilizzarlo e perché è tempo perso. Non serve a niente! A meno che non si voglia davvero sapere cosa significano sudore, sangue, interiora e cervella sparse in giro. I puponi belluini di cui sopra possono andare a giocare alla guerra in Medio Oriente, se davvero vogliono. Ci sono diversi movimenti integralisti che cercano volontari…

Nel mondo di oggi il conflitto che affrontiamo non è un conflitto armato, ma è uno scontro permanente, pervadente e sottile, integrato nella nostra società, e inscindibile da essa: è il conflitto delle relazioni interpersonali. Siamo sempre di più, e sempre più collegati, connessi, ciascuno sempre più tutti i giorni tutto il giorno sui calli degli altri. Ne consegue che qualsiasi allenamento che abbia una funzione e che sia necessario, e quindi rispondente alla leggi di natura, deve oggi indirizzarsi a fornire strumenti per combattere le battaglie delle relazioni interpersonali del guerriero disarmato moderno.
Personalmente io ho scelto di praticare e insegnare Aikido, tanti anni fa, per vivere da guerriero, non per fare la guerra, per citare le parole del maestro francese di Aikido Stephane Benedetti:
“Vivere da guerriero, non fare la guerra! (…) Io non sono violentemente pacifista, ma non amo la guerra. Sono d’accordo con Sun Tzu «Il migliore generale non ha bisogno di fare la guerra (…). Allora : vivere da guerriero? Per cominciare, un guerriero non è necessariamente un militare o un soldato. Non si tratta neanche di mascherarsi da samurai o di dormire con la spada al fianco… Per me, che non essendo la reincarnazione di Morihei Ueshiba, non posso parlare a suo nome, si tratta di una via, di un processo di evoluzione dell’uomo verso uno stadio più elevato dell’essere. La via del guerriero è una via pericolosa, non perché si rischi di morire falciato da una raffica di proiettili in un gesto eroico immortalato dai fotografi ma, semplicemente, perché le sconfitte spirituali sono numerose e il ciglio della strada costellato di rinunciatari…” (2)
Siccome parto da questo tipo di consapevolezza, e poiché ho chiaro lo scopo di quello che faccio e del perché lo propongo ai miei allievi, a me le tecniche del mio Aikido piacciono, così come il lavoro ad esse sotteso. Le delusioni personali, lo stato della nazione aikidoistica, le cavolate degli altri non spostano di una virgola il mio pensiero: l’Aikido è meraviglioso, le sue tecniche efficaci e coerenti con i suoi fini – benché migliorabili ed espandibili per i nostri nuovi bisogni, come tutto ciò che è vivo e in divenire – la sua collocazione nel mondo del Budo chiara e definita.
Che nel mondo dell’Aikido possa esistere anche un caos pazzesco di metodi e di idee – e che questo sia utile a chi vuole costruirsi un impero e gestire persone e capitali – non mi interessa più di tanto. L’unica cosa da fare è avere chiari i propri fini, e impegnarsi per il loro raggiungimento, a prescindere da cosa fanno gli altri.
Perché al mondo ci sono i poveri e gli oppressi? Perché chi governa è sempre un traditore e un assassino? Perché il progresso scientifico è sempre e solo distorto ai fini dell’aggressione o del consumo? Io posso solo fare del mio meglio nel mio dojo/famiglia allargata, come hanno da sempre fatto gli uomini di buona volontà. Dedichiamoci a vivere le buone cose che predichiamo; a criticare tutto e tutti sono capaci tutti. A costruire decisamente no. Come ve la cavate nel conflitto vero che ci circonda ovunque tutti i sacrosanti giorni dell’anno? Perché se siete capaci di mettere KO Mohammed Ali non me ne cale un fico, mentre se riuscite a gestire armonicamente la vostra microcomunità, allora il vostro allenamento in Aikido ha uno senso e avete tutto il mio rispetto.
La foto di inizio post – la migliore foto profilo di Facebook della storia – viene pubblicata per gentile concessione di Antonio Vassallo
Copyright Simone Chierchini ©2015
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Note
[1] Pranin Stanley, Interview with Kenji Tomiki, Aikido Journal, 1982 http://members.aikidojournal.com/private/interview-with-kenji-tomiki-1/ (Consultato il 21/07/2020)
[2] Benedetti Stephane, L’Aikido È un’Arte Marziale? Aikido Italia Network, (-) http://aikidoitalia.com/2011/09/23/laikido-e-unarte-marziale/ (Consultato il 21/07/2020)
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