
Il ricorso alla pratica individuale è recentemente divenuto un obbligo, piuttosto che una scelta di arricchimento tecnico ed interiore. Leggiamo un esauriente studio sul tema di Guillaume Erard, una delle più voci autorevoli della comunità di Aikido internazionale, con cui Aikido Italia Network ha recentemente avviato un nuovo rapporto di collaborazione.
di GUILLAUME ERARD
In un mio precedente articolo ho discusso del fatto che noi, come aikidoka, trascorriamo la maggior parte del nostro tempo allenandoci con un partner all’interno di una struttura codificata chiamata katageiko. [1] Si potrebbe quindi esser portati a pensare che la progressione nell’Aikido dipenda dalla presenza di un partner con cui allenarsi. Tuttavia, gran parte della progressione in altre discipline come le arti cinesi o persino alcuni budo moderni come il Karate sembra trarre vantaggio da una ampia proporzione di allenamento individuale.
Ci si può quindi iniziare a chiedere quale parte abbia l’allenamento collettivo rispetto a quello individuale nella nostra pratica dell’Aikido e, soprattutto, se sarebbe opportuno sviluppare ulteriormente una pratica di tipo individuale. La pertinenza di questa domanda deve prima essere valutata esaminando se l’Aikido contiene storicamente elementi di pratica individuale. Se si dovessero trovare tali elementi, occorre definire la natura delle competenze che mirano a sviluppare e, infine, valutare se questo sia il modo migliore per acquisire queste qualità che ci mancano, in particolare rispetto al più comune katageiko associato.
Per aiutarmi ad aggiungere sostanza a questo articolo, Ellis Amdur, [2] famoso autore e Shihan in due koryu, Toda-ha Buko-ryu e Araki-ryu, è stato così gentile da permettermi di includere elementi di alcune delle nostre conversazioni private sul budo. Per chiarezza, le sue parole saranno sempre presentate in modo esplicito, così da differenziarle dalle mie interpretazioni.
Esiste un curriculum dedicato alla pratica individuale nell’Aikido?
Non c’è molto da discutere sul fatto che Ueshiba Morihei, il fondatore dell’Aikido, avesse una routine di allenamento individuale piuttosto regolare. Ciò che vogliamo investigare in questa sezione, tuttavia, è se avesse sviluppato e codificato un sistema di allenamento individuale da utilizzare esplicitamente nell’arte che aveva creato, cioè un curriculum di qualche tipo. A tal fine, inizieremo identificando gli elementi distinti di pratica individuale che conosciamo, e quindi proveremo a valutare se essi contribuiscono a formare un insieme coerente.
Suburi (素 振 り), letteralmente, colpire nel vuoto)
Quando ci si riferisce all’allenamento individuale in Aikido, l’immagine che spesso viene in mente è quella della pratica dei suburi. Saito Morihiro, che considerava la pratica delle armi come parte completamente integrante quella dell’Aikido, essenzialmente basava gran parte del suo allenamento individuale sulla pratica dei suburi. [3] Tuttavia, a parte il fatto che esiste una certa discussione sul fatto che la pratica delle armi (e quale particolare stile) sia necessaria o meno alla pratica dell’Aikido, ci si potrebbe chiedere se ciò che l’occhio non allenato percepisce come il ripetitivo avanti e indietro di un bastone, anche se eseguito diverse ore al giorno, meriti davvero di essere definito un “curriculum di pratica individuale” di per sé.
Secondo Ellis Amdur, i più hanno una visione primitiva del suburi e per estensione dello Iai. Amdur sostiene che molti pensano che il tutto possa essere sintetizzato con: “Si taglia in questo modo, fallo 100 volte e migliorerai, perché il tuo taglio sarà buono e la tua resistenza migliore”. [4] Amdur mi ha spiegato che la maggior parte dei koryu, sin dall’inizio della pratica, presentavano alcune forme di Iai e che esse erano principalmente utilizzate come metodologia di allenamento per la manipolazione sicura delle armi. Amdur le paragonava persino alle regole di sicurezza che si apprendono in un poligono di tiro. Ovviamente, molti sanno anche che lo Iai offre il vantaggio pratico di poter estrarre l’arma in qualsiasi momento per difendere la propria vita. [4]
Tuttavia, sempre secondo Amdur, esiste un’intera sezione di Iai che non ha alcun legame con le ragioni sopra menzionate e che è più strettamente correlata all’allenamento interno. A sentir lui, lo scopo principale di questo allenamento è di cancellare le azioni interferenti che normalmente ostacolano la discesa dell’arma. [4] Amdur osserva che spesso si sviluppa potenza attraverso la forza, il che tende a provocare un rallentamento della lama al di sotto della sua velocità terminale [velocità raggiunta da un oggetto quando è in caduta libera]. Vede quindi lo scopo dell’allenamento di tipo suburi per sviluppare il corpo in modo tale da far cadere l’arma per gravità, aggiungendo nel contempo un vettore di forza per accelerarne il movimento. [4] Questo vettore di forza viene creato usando muscoli e tendini solamente in modi che sono “in linea” con il movimento che si sta cercando di eseguire (si immagini un treno che scorre sulle rotaie quando un secondo treno lo colpisce da dietro).
Con queste considerazioni in mente, la domanda è ovviamente sapere, oltre alla pratica dei suburi, dove trovare questo allenamento della energia interna nell’Aikido.
L’Aikitaiso (合気体操, ginnastica Aiki)
Una volta messo da parte il suburi, è difficile trovare esempi di esercizi di pratica individuale utilizzati comunemente dalla maggior parte degli aikidoka, e questo anche se si risale indietro fino all’insegnamento di O Sensei. Quando parliamo di allenamento individuale, ci stiamo davvero riferendo all’Aikitaiso (ikkyo undo, ame no torifune undo, furitama, ecc.), ossia a quei movimenti eseguiti all’inizio di alcune lezioni di Aikido e che somigliano al tipo di ginnastica che fanno gli anziani e gli impiegati in Giappone ogni mattina?
Tohei Koichi mostra esercizi di Aikitaiso
In realtà, molto più che essere una forma di riscaldamento o una semplice ginnastica, l’Aikitaiso ha proprio lo scopo di sviluppare tacitamente gli aspetti interni dell’Aikido. Ikkyo Undo, per esempio, non è importante solo nella sua fase ascendente, ma anche, e forse essenzialmente, in quella discendente, in quanto consente di applicare un forte impatto sul corpo di Uke. Anche Ame no torifune può essere spiegato similmente. Olivier Gaurin mi ha fatto notare che l’estensione delle mani in avanti è la fase fondamentale del triangolo-atemi (atemi su atemi), che si trova in molte annotazioni tecniche del Daito-ryu aiki-jujutsu sullo tsuki. [5] Personalmente, penso che non dovremmo trascurare neanche il movimento di ritorno, perché più che un semplice riposizionamento, è quello che genera più forza, se praticato correttamente. Proprio come nel suburi, la forza viene generata mediante il rilassamento delle spalle. Più avanti discuteremo delle condizioni necessarie per questo rilassamento.
Dove sono gli elementi non-dichiarati della pratica individuale nell’Aikido?
Una pratica individuale dal punto di vista morale
Per me, la pratica marziale, non solo quella dell’Aikido, è fondamentalmente una cosa individuale, perché anche se è principalmente praticata a coppie, l’uke è semplicemente uno strumento che ci consente di aumentare la nostra comprensione. Non esiste un obiettivo comune, anche se i parametri di relazione sono ovviamente parte integrante della pratica. [1]
Direi che nella sua forma più nobile, l’arte marziale è idealmente solitaria, dal momento che elementi sussidiari come l’attrazione per l’esaltazione grazie alla vittoria competitiva, l’autogratificazione per il salire di grado e la paura degli altri che inizialmente potrebbero averci motivato a imparare un sistema di combattimento, a quel punto sarebbero dovute scomparire. A questo livello di comprensione, l’allenamento dovrebbe essere fatto per se stesso, dovrebbe produrre beneficio principalmente per se stessi e le considerazioni esterne dovrebbero diminuire. Inoltre, più alto è il livello di padronanza, meno persone ci sono che hanno la capacità di apprezzarlo, e quindi, quando si raggiunge la cima della montagna, ci si potrebbe trovare piuttosto soli.
Ma anche in fondo a questa montagna, che è una posizione che mi è molto più familiare, ci si trova fondamentalmente da soli di fronte all’enorme corpus di conoscenze che devono essere acquisite e digerite. Il fatto che si acquisisca tale conoscenza o meno dipende solo da se stessi e beneficia solo se stessi. D’altra parte, quando si vedono persone vantarsi del loro alto rango e di cosiddetti periodi di studio privilegiato sotto uno o più Maestri, talvolta ci si rende conto che al di là degli scintillanti curricula che esibiscono (ennesimo dan, shihan, menkyo, ecc.), essi non hanno ottenuto molto più sostanziale di questi titoli. Ne ho discusso nel mio ultimo articolo sul Katageiko [1]: per gli insegnanti i titoli sono spesso modi attraverso cui garantirsi supporto e spesso sono deliberatamente rimossi dall’insegnamento veramente profondo. Ho personalmente visto un praticante venir nominato rappresentante per la Francia di un certo dojo dopo un solo fine settimana trascorso con il relativo maestro e nessuna precedente esperienza nell’arte. Come temevo, il praticante in questione non ha nemmeno aspettato di tornare in Francia per iniziare a vantarsene con chiunque avesse incontrato e persino correggere gli altri sul tatami.
Ellis Amdur mi ha confermato che anche durante il periodo Edo, gli insegnanti tendevano a gonfiare il numero di diplomi (mokuroku, ecc.) e a creare inutili complessità tecniche, al fine di creare una domanda che non sarebbe mai stata soddisfatta. Il commercialismo non è un fenomeno moderno. Amdur ha aggiunto che in questo contesto, anche nelle scuole in cui esistevano elementi di allenamento individuale, venivano insegnati a pochi o pochi le praticavano in modo sufficientemente approfondito. Il motivo è che queste persone non avevano bisogno di tali competenze per essere strumentali nella loro avanzata attraverso la gerarchia, che era il motivo principale per cui la maggior parte della gente praticava a quei tempi. [4]
Se consideriamo non solo gli elementi puramente tecnici, ma anche questi principi contestuali e morali, il termine pratica individuale assume quindi tutto il suo significato e interesse.
Allenamento individuale attraverso il mitori geiko (見 取 り 稽古, allenamento tramite osservazione)
In Giappone, il mitori geiko consiste nel raccogliere informazioni attraverso l’osservazione. Quando arrivai all’Hombu Dojo, rimasi sorpreso nel vedere quanti praticanti venivano ad osservare le lezioni senza allenarsi. Il più delle volte, queste persone non potevano allenarsi a causa di un infortunio, ma piuttosto che rimanere a casa, frequentavano una o due lezioni ogni giorno come spettatori. Personalmente, inizialmente avevo la tendenza a saltare le lezioni quando il mio corpo non mi permetteva di allenarmi, fino a quando non ho iniziato a riflettere sul sistema di apprendimento giapponese, dopo di che ho cambiato il mio approccio.
Negli ultimi 4 anni sono andato dallo stesso piccolo barbiere di quartiere a Shibuya. Il team è composto da tre persone e un apprendista. Durante questi quattro anni, non ho mai visto l’apprendista avvicinarsi a un paio di forbici. Fa shampoo e massaggi, ma passa il resto del tempo dietro le poltrone a guardare le altre tre persone che lavorano. Fa mitori geiko. Quando il sushi del mio quartiere ha assunto il suo primo addetto, quel giovane non ha toccato un coltello per anni, ha guardato il maestro preparare il sushi e parlare con i clienti; ancora mitori geiko.
Oggi, vado nel dojo anche quando mi sono fatto male, perché voglio guardare il mio sensei, il mio sempai e anche il mio kohai, per sviluppare e fornire informazioni alla mia pratica. Penso che ciò tocchi uno degli aspetti più importanti dell’apprendimento: l’osservazione. Nel mio articolo sulla pratica all’Hombu Dojo scrissi che si può davvero imparare da un insegnante solamente se si riceve regolarmente ukemi da lui. [6] L’altro lato di questo è che è anche essenziale non fare nulla dal punto di vista fisico, ma solo guardare l’insegnante. Senza entrambe le facce di questa moneta, si può solo sperare di raggiungere una comprensione parziale.
Quando siamo seduti e l’insegnante dimostra, il nostro cervello fa un colossale lavoro di osservazione; un’interpretazione empatica dei neuroni specchio di ciò che viene dimostrato ci fa vedere mentalmente noi stessi eseguire il movimento. Ellis Amdur mi ha spiegato che Nitta Sensei, la sua insegnante di Toda-ha Buko-ryu, non aveva mai avuto l’opportunità di praticare la parte Uketachi [受 太 刀, letteralmente, la lama che riceve; durante l’allenamento alle armi, nel koryu l’uke è un ruolo generalmente ricoperto dal praticante anziano] del kata della sua scuola e quando il suo sensei, Kobayashi Seiko morì, dovette succederle e prendere il suo posto come uketachi, servendosi come unica pratica del fatto di aver sperimentato i movimenti del suo maestro quando aveva ricevuto ukemi da lei. Secondo Ellis, la tecnica uketachi di Nitta Sensei era assolutamente eccezionale, nonostante fosse solo frutto dell’azione dei suoi neuroni specchio durante il mitori geiko, oltre all’esperienza del suo stesso corpo che reagiva alla sua insegnante durante la sua pratica come tori. [4]
Quando si è infortunati e non si può prendere parte alla pratica fisica, questo processo mentale di mirroring migliora perché il corpo è fermo. Ricerche di scienziati come V. S. Ramachandran hanno dimostrato, ad esempio, che chi ha subito un’amputazione tendeva a essere più sensibile al mirroring.
Il neurologo V. S. Ramachandran spiega l’Effetto Neuroni Specchio
È quindi fondamentale sapere come entrare nelle condizioni di mitori geiko, in particolare perché si tratta di una forma di apprendimento che si svolge in ogni momento in cui siamo alla presenza del nostro insegnante [4] indipendentemente dal fatto che uno sia sul tatami, oppure fuori, e le cui componenti sono l’allenamento individuale e l’assenza di esplicito feedback.
Esiste una pratica individuale codificata alle origini dell’Aikido?
Abbiamo visto che nella pratica dell’aikido sono presenti elementi di pratica individuale, ma questi sono ben lungi dall’essere sistematizzati e sono spesso fraintesi. Come procedere, quindi? Come sempre, quando nell’Aikido mi si presenta un mistero, per cercare di trovare risposte storicamente accurate mi rivolgo al suo antenato, il Daito-ryu aiki-jujutsu. Il mio maestro, Chiba Tsugutaka Sensei, quando mi racconta del suo apprendimento quotidiano al Daitokan sotto la guida di Takeda Tokimune [8] o al Kansai Aikido Club con Takuma Hisa, [9] fa poco riferimento alla pratica individuale. A sentir lui, la maggior parte del tempo trascorso sul tatami lo passò assieme ai suoi maestri o ai suoi compagni di allenamento, impegnato in pratiche collettive nell’ambito di Katageiko. [1] L’unica menzione che fa della pratica individuale riguarda il suburi e alcuni esercizi di rafforzamento delle dita. Se guardiamo più indietro nel Daito-ryu, Sagawa Yukiyoshi spiega che l’unico esercizio individuale che vide fare a Takeda Sokaku, che era anche insegnante di Ueshiba Morihei, consisteva nel colpire con il suo bokuto una fascina di legna appesa con una corda al soffitto, e inoltre esercizi volti a sviluppare i polsi e la forza nelle prese. [10] Sagawa aveva in effetti sviluppato una sua serie di esercizi individuali per compensare ciò che considerava una mancanza. È interessante notare che Akuzawa Minoru, che è considerato uno dei più straordinari esperti mondiali di allenamento interno, mi spiegò che aveva brevemente studiato la linea Daito-ryu di Sagawa, concentrandosi sul condizionamento del corpo piuttosto che sulla tecnica.
Quindi anche le luci del Daito-ryu non ci aiutano a vedere molto di più rispetto a ciò che O Sensei avrebbe potuto fare. Ellis Amdur mi raccontava che anche nel Koryu, al giorno d’oggi, era abbastanza raro trovare pratiche di tipo individuale, anche se è difficile sapere cosa è finito abbandonato o perso. [4] Amdur, tuttavia, spiega che almeno una branca dello Yagyu Shinkage-ryu aveva esercizi di respirazione individuali, e che anche altri koryu affermano di avere nei loro sistemi tipi di pratica individuale. Sempre secondo Amdur, aikidoka come Kobayashi Hirokazu e Abe Seiseki potrebbero aver imparato esercizi per rafforzare l’energia interna direttamente da Ueshiba Morihei. Per Abe, la pratica risiedeva nel misogi no gyo, esercizi di origine cinese incorporati nello shintoismo (i medesimi ame no torifune undo e furitama che abbiamo menzionato in precedenza). Amdur sostiene che l’ipotesi più probabile è che gli elementi della pratica interna siano stati trasmessi da insegnante a studente, ma senza istruzioni esplicite e senza alcuna pratica sistemica. In effetti, molti metodi di respirazione sono stati naturalmente acquisiti attraverso l’associazione di ciascuno con riti shintoisti e buddisti associati a specifici ryu. Ad esempio, quando si canta, si modula la propria respirazione per ore, ed è inevitabile che questo abbia un effetto. Questo lavoro è naturale in questo contesto, quindi non è necessario creare un curriculum specifico per questo. Per spiegare il tutto ulteriormente, è per lo stesso motivo che nel Jujutsu non ci sono proiezioni d’anca, perché tutti già le conoscevano attraverso la pratica diffusa del Sumo. Il Jujutsu si è quindi concentrato su armi, manipolazioni delle giunture, ecc. [4]
Vediamo che anche tornando indietro nel tempo, la nostra domanda iniziale rimane in gran parte senza risposta. Amdur nota che sebbene molti antichi ryu possano aver avuto esercizi individuali, sono pochi quelli che ancora li praticano o che addirittura sanno che esistevano. [4] Il problema è che in queste circostanze di insegnamento, le cose possono deteriorarsi progressivamente. Il problema inverso, tuttavia, è che secondo lui, quando si impara intellettualmente, esplicitamente, lo si fa usando la parte sbagliata del cervello. La ripetizione attraverso il kata cerca di sviluppare una reazione istantanea, l’istinto, ed è molto difficile raggiungerlo se si impara intellettualmente. [4]
È ovvio, tuttavia, che alcuni grandi insegnanti hanno sviluppato autonomamente esercizi individuali più espliciti come tanren (鍛 錬, tecniche di rafforzamento), e uno di questi fu Sagawa Yukiyoshi, [11] di cui ho parlato sopra. Kuroda Tetsuzan ha sviluppato la propria serie di esercizi individuali e ha spiegato ad Amdur che la ragione era che nessuno dei suoi allievi era disposto a dedicare la quantità di tempo o talento necessari per praticare il kata nel modo in cui era praticato in precedenza, modo attraverso il quale si sarebbe dovuto naturalmente acquisire quelle capacità che vengono stimolate con i suoi esercizi individuali. [4] Per inciso, Amdur mi diceva che a volte si tende a praticare più arti quando non si possiede la disciplina per praticare profondamente la propria arte principale, e penso che questo sia del tutto vero anche nell’Aikido. Sia per via della mancanza di guida, sia per noia, è davvero più facile deplorare le carenze nell’Aikido e rivolgersi altrove per trovare facili risposte, piuttosto che arrivare davvero al fondo di cose meno gratificanti come le ore giornaliere di allenamento individuale. Come che sia, anche se alcuni insegnanti di Aikido hanno derivato metodi da altri budo o da arti di origine cinese, non esiste nulla che ci permetta di dire che nel Daito-ryu, o nell’Aikido, una pratica di tipo individuale sia mai stata esplicitamente presente nel curriculum o nella storia ufficiale di una di queste arti.
Quali meccanismi mette in atto la pratica individuale e perché preoccuparsene?
Mi sono spesso chiesto perché il budo moderno sembri incorporare molti più esercizi individuali rispetto ai Koryu, e Amdur mi ha informato che dipende dal fatto che il loro obiettivo era probabilmente diverso. Mi ha spiegato che sebbene molti kata individuali di Judo sviluppati da Kano Jigoro provengano dal Tenshin shinyo-ryu, che, attraverso lo Yoshin-ryu, ha distanti connessioni con le arti cinesi, quando si leggono i suoi scritti risulta chiaro che il loro scopo era quello di trasmettere concetti di natura molto diversa. [4] In effetti, l’adozione della pratica individuale nel budo moderno è in gran parte dovuta all’influenza dei metodi di apprendimento occidentali. Il budo moderno ha introdotto l’allenamento di massa ed è più conveniente gestire un gran numero di praticanti in un piccolo spazio quando tutte queste persone praticano kata da soli o suburi in linea. Ad esempio, a partire dal periodo Meiji, la pratica della naginata all’interno del sistema educativo non mirava più al combattimento, ma allo sviluppare seishin tanren, vale a dire la capacità di resistere allo sforzo e di sviluppare in un modo specifico il corpo e la mente. [4]
Suburi per naginata di tipo moderno
In uno dei suoi articoli, Amdur discute l’argomento della pratica individuale, concentrandosi sull’influenza dei kata sull’organizzazione neurologica. [12] Uno dei suoi argomenti principali è che la pratica del kata individuale non è per definizione una prova solitaria di situazioni reali, ma in realtà un apprendimento intenzionale di forme che sono disconnesse dalla realtà al fine di sollecitare il cervello in modo diverso rispetto ad altri esercizi più concreti e quindi sviluppare diversi modelli di risposte. Vediamo di che cosa si tratta.
Salire le scale all’indietro
in Giappone non è raro vedere persone che camminano o salgono le scale all’indietro. C’è anche un proverbio che dice “100 passi indietro equivalgono a 1000 passi in avanti”. Avendo visto alcuni praticanti, in particolare gli anziani, adottare questa modalità di locomozione all’Hombu Dojo, ovviamente ho chiesto loro se faceva parte del loro allenamento e spesso mi è stata data una risposta non dissimile da quanto proposto da Ellis: era per sviluppare meccanismi e aree cerebrali che normalmente non erano sollecitati (direi, piuttosto, sollecitati in modo diverso) durante la locomozione convenzionale. Come biologo, ho immediatamente esaminato la letteratura medica (e talvolta, a causa della mancanza di fonti migliori, pubblicazioni pseudo-mediche…) per vedere se esistessero dati a sostegno di queste affermazioni.
Sebbene siano state fatte alcune ricerche sul tema della deambulazione all’indietro, esse hanno principalmente studiato la riabilitazione dei pazienti anziani, e i benefici sembrerebbero essere più probabilmente a livello fisico, attraverso la riduzione di alcuni carichi sulle articolazioni, che neurologico. [13] [14] [15] [16] Uno studio, tuttavia, discuteva del fatto che l’equilibrio di tutto il corpo è principalmente controllato dalle articolazioni del ginocchio e della caviglia nel movimento discendente in avanti, e dall’articolazione dell’anca nella discesa all’indietro [17], suggerendo l’uso di una catena diversa di controlli neuronali.
Pratica individuale di kata per sviluppare riflessi contro-intuitivi
Un recente studio sui bambini con autismo ha riferito che lo studio dei kata ha ridotto significativamente l’insorgenza di stereotipi (uno dei tratti distintivi dell’autismo è il comportamento stereotipato del paziente) nel gruppo ha eseguito i kata rispetto al gruppo di controllo. [18] La domanda che ne consegue è se questo miglioramento sia dovuto alla ripetizione di azioni specifiche o alla natura del kata studiato, in particolare ai suoi elementi contro-intuitivi. Sarebbe interessante ripetere questo studio usando uno spettro più ampio di kata, compresi quelli contenenti forme di movimenti comuni, rispetto a quelli che contengono tecniche più insolite, al fine di indagare se sono queste stesse tecniche specifiche, come suggerisce Amdur, ad avere un effetto specifico in questo tipo di comportamento. Nel campo delle arti marziali sono state condotte relativamente poche ricerche [19], ma uno studio cinese suggerisce che la pratica regolare di nei yang gong (esercizio tradizionale mente-corpo) causa un miglioramento della frequenza e della natura dei sintomi autistici e migliora il controllo dell’umore e del comportamento, molto probabilmente attraverso una maggiore attività nella corteccia cingolata anteriore (una regione del cervello coinvolta nella mediazione dell’autocontrollo). [20] Questi risultati sembrano essere confermati da un altro studio su yoga e danza, [21] ma non è chiaro se l’arte marziale stessa sia un fattore di progresso migliore rispetto a un’altra attività non marziale. Tuttavia, gli autori dello studio cinese suggeriscono che l’efficacia delle arti marziali tradizionali potrebbe essere correlata alla loro contemporanea enfasi su allenamento fisico, autocontrollo, disciplina e sviluppo del carattere (ad esempio, rispetto, responsabilità e perseveranza attraverso un differimento della gratificazione) . [20] Gli studi di risonanza magnetica hanno mostrato che i praticanti di tai chi chuan avevano una corteccia significativamente più spessa in diverse aree del cervello rispetto ai non praticanti. [22] Inoltre, lo studio suggerisce un’associazione tra lo spessore corticale nel solco occipito-temporale mediale e il solco linguale sinistro, e l’intensità della pratica. [22] Un altro studio riferisce anche dell’allargamento del volume della materia grigia nei judoka nelle aree del sistema nervoso centrale con relazione all’apprendimento delle abilità motorie. [23] L’autore afferma che l’apprendimento di compiti motori complessi potrebbe causare queste differenze nel volume della materia grigia, ma sfortunatamente, essendo il gruppo di controllo costituito da soggetti non sportivi, è secondo me impossibile concludere che sia la complessità dei movimenti di Judo a essere specificamente responsabile di questa espansione piuttosto che della presenza/assenza di esercizio fisico [23]. E questo soprattutto se collochiamo il detto studio nel contesto dei risultati di un altro studio che dimostra che l’esercizio fisico regolare induce un allargamento del volume della materia grigia nella area motoria/premotoria dorsale. [24] Inoltre, lo stesso studio suggerisce che su due gruppi di atleti, uno composto da praticanti di arti marziali e l’altro da corridori, è quest’ultimo gruppo che ha presentato il miglioramento più significativo nel lobo temporale, nonostante l’apparentemente ridotta varietà di movimenti e tecniche coinvolti nella corsa rispetto alle arti marziali.
Sebbene nella migliore delle ipotesi sembri essere diffuso e non esclusivo, sembrerebbe esistere un legame tra kata e un certo grado di riarrangiamento neurologico. Ma che dire di ciò che Amdur descrive come l’influenza di una ripetizione cosciente e costante dello stesso movimento sulla propria risposta istintiva durante un’opposizione improvvisa e casuale (es. Sparring)? [12] In altre parole, i kata ci migliorano cambiando il proprio comportamento istintivo, e in tal caso, è desiderabile per noi aikidoka ripetere tecniche e forme per conto nostro?
Praticare le scale per rilassarsi
Un parallelo che trovo interessante per aiutare a rispondere a questa domanda è quello con la musica. Un musicista professionista trascorre molto del suo tempo esercitandosi da solo. Lo studio di cose come le scale e le loro reciproche articolazioni non solo è un argomento che può occupare una vita, ma fornisce al musicista anche un vocabolario essenziale di cui ha bisogno per esprimersi.
In questi esercizi individuali è presente un altro segreto che noi, come artisti marziali, sembriamo avere difficoltà a trovare. Un muscolo può esercitare una sola azione: tirare. Pertanto, qualsiasi movimento avanti e indietro deve usare almeno due muscoli antagonisti (vale a dire, muscoli che tirano in direzioni opposte). La chiave della maestria risiede tanto nella contrazione del muscolo che è utile per il movimento quanto nel rilassamento del muscolo antagonista. Se non si esegue tale rilassamento, si verificano sintomi come crampi o perdita di precisione e velocità. La pratica ancora aiuta il musicista a sviluppare un modo di muovere le dita istintivo che diminuisce la necessità di pensare una nota alla volta, aumentando così la velocità e relegando la performance in un’altra parte del cervello. Proprio come un combattente può reagire a un’aggressione a sorpresa, questa formulazione consente ai musicisti di cadere in piedi quando mancano una battuta o un cambiamento di tonalità, e il tutto quasi inconsciamente.
La domanda quindi è perché i musicisti sembrano capirlo mentre gli artisti marziali sembrano girarci attorno senza successo? Quando l’ho domandato ad Ellis Amdur, mi ha risposto che probabilmente era una questione di feedback. Un musicista sa immediatamente quando è troppo teso perché perde velocità, soffre di crampi e la sua musica non suona bene. Non ha bisogno di un partner che gli faccia sentire questi segni di tensione. Al contrario, un budoka avrà più difficoltà a percepire questi segni, soprattutto perché la forza e l’atletismo possono spesso coprirli per molto tempo, portando al contempo il praticante assai lontano. Amdur nota, tuttavia, che quelle arti marziali che praticano l’allenamento individuale hanno pratiche di “feedback” come il “push hand” del t’ai chi, o i “test di stabilità alla spinta” che a volte vediamo Ueshiba fare nei video con i suoi allievi. L’allenamento di kata a coppie potrebbe costituire una forma molto più avanzata di tale addestramento, ma solo se praticato con questo correttamente in mente. [4]
Rilassare gli antagonisti, chiave di volta di un movimento efficace
Penso che sia qui che troviamo l’essenza di ciò non funziona in noi aikidoka. Tohei Koichi affermò di aver appreso solo una cosa da Morihei Ueshiba: il rilassamento. Secondo Amdur, tutti lo hanno sentito, ma pochi hanno capito veramente cosa intendesse davvero.
“Ho iniziato a studiare l’Aikido perché ho visto che Ueshiba Sensei aveva davvero imparato l’arte del rilassamento. Era perché era rilassato, infatti, che poteva generare così tanta forza. Sono diventato suo allievo con l’intenzione di imparare questo da lui. Ad essere sincero, non ho mai veramente ascoltato la maggior parte delle altre cose che diceva”.
Koichi Tohei, in Interview with Koichi Tohei Part 1 – Aikido Journal #107 (1995)
I giapponesi spesso usano come immagine mentale “il lasciar fluire il ki“, ma credo che questo porti spesso a fraintendimenti quando viene messo in correlazione con la richiesta di rilassarsi. Così ci troviamo spesso, specialmente in relazione alle prese, davanti a tori con le mani usate in modo flaccido, il che si traduce quasi sistematicamente in una “dispersione” di forza (in senso fisico, vale a dire che induce un cambiamento del vettore di velocità), molto spesso al livello del gomito o del polso. Il rilassamento dell’Aikido o del Daito-ryu non è in realtà né uno stato generale di rilassamento degli arti, né una flessibilità delle giunture [ciò che ne aumenta l’ampiezza], ma piuttosto uno stato di neutralità senza parassiti o tensione involontaria, tranne nei punti situati esattamente dove la forza è applicata consapevolmente. Il maestro di Daito-ryu, Mori Hakaru illustra questo punto quando dice:
“Per eseguire la tecnica in modo preciso è necessaria una certa quantità di tensione e forza muscolare”.
Mori Hakaru – Takumakai Newsletter #82 [26]
In altre parole, invece di avere le mani flaccide nella ricerca di uno pseudo rilassamento, è necessario che la posizione delle mani e delle dita, spesso estese e salde, sia coerente con tipo e direzione o movimento eseguiti. Nei primi livelli della pratica del Daito-ryu, la direzione è mostrata dal pollice, dall’indice o dal mignolo, il che consente tanto di illustrare la giusta direzione, quanto di garantire che il trasferimento di forza avvenga lungo una linea continua senza la dispersione dovuta ad un’articolazione fuori posto. Va notato che sebbene la tegatana (手 刀, mano-spada) sia un esempio di questo, non si deve pensare che questa posizione sia applicabile a tutti i movimenti di Aikido, poiché alcuni richiedono posizioni significativamente diverse a seconda della tecnica e degli angoli richiesti. Nel Daito-ryu si fa molto lavoro a questo livello [27], che è molto simile a quello di un musicista che lavora sulle posizioni delle dita sul suo strumento. Anche se tale lavoro è raro nell’Aikido, non si dovrebbe cadere nell’illusione che “tutto è tegatana“, perché il risultato potrebbe essere deludente come nel caso delle “mani flaccide”. La maggior parte degli esercizi individuali di Daito-ryu a cui sono stato esposto hanno questo come principio di base, sono tanren che mirano a sviluppare la destrezza e la capacità di generare con precisione tensioni e rilassamenti localizzati. È interessante notare che quando ho iniziato a praticare questi esercizi, ho sentito lo stesso tipo di crampi che avevo provato quando avevo imparato a suonare uno strumento molti anni fa.
Penso che alcuni abbiano frainteso il concetto di rilassamento al punto tale da pensare che dovremmo praticare Aikido con un corpo molto sciolto (disconnesso) e polsi flaccidi. Ho notato alcuni esperti esagerare in questo tipo di rilassamento, ma è ovvio che questo tipo di dimostrazione è possibile solo grazie alla collaborazione di uke. Gli uke meno accomodanti, infatti, vengono generalmente rimandati a sedere da questi insegnanti. Ovviamente possiamo giustificare lo sviluppo dell’aspetto “relazionale” dell’Aikido, perché no, ma non penso che O Sensei avrebbe fatto quel genere di cose. Inoltre, perché passare il tempo a sviluppare questo rilassamento sciatto se è necessaria la collaborazione di uke per farlo funzionare? No, per me il rilassamento come quello descritto da Takeda, Ueshiba e Tohei, è qualcosa di completamente diverso.
Per quanto riguarda Tohei, alcuni giudicano le sue dimostrazioni del tipo “braccio che non si piega” come nient’altro che trucchi o attrazioni circensi. Anche se non credo che praticare questi esercizi fino alla nausea sia assolutamente necessario per comprendere il principio fondamentale (non più che fare migliaia di suburi), penso che fossero pertinenti come base del suo sistema per le ragioni sopra descritte. Il problema è che tutto è stato associato a una terminologia poco chiara, e quindi il messaggio è stato spesso frainteso. Proprio come i suburi, questi esercizi hanno acquisito un’auto-giustificazione e lo scopo reale è stato in qualche modo perso. Tra i miei studenti ho persone che hanno imparato questo tipo di esercizio, ma che non sono state in grado di applicarlo.

Sebbene alcuni dei miei studenti siano giapponesi, la metafora del far fluire il ki non è mai stata sufficiente per fargli capire il relativamente semplice obiettivo dell’esercizio. Tuttavia, quando gli vengono presentate le basi dell’anatomia tramite una spiegazione base dei movimenti antagonisti del bicipite e del tricipite, tendono a comprenderla. Prima di questo, nonostante (o a causa di) i loro sforzi, i loro bicipiti avevano sempre avuto un’azione controproducente rispetto a ciò che cercavano di fare, perché nonostante provassero a irrigidire le braccia, i loro bicipiti esercitavano esattamente l’azione inversa rispetto a ciò che avrebbe dovuto stato facendo, contribuendo così a rendere le braccia facili da piegare. Una volta prestata attenzione al rilassamento del bicipite, nonché alla contrazione del tricipite (tramite l’ingiunzione verbale di “estendere” il braccio invece di “contrarre” o “resistere” alla spinta) si rendono conto di poter sostenere carichi di gran lunga superiori. Certo, quello del braccio è un esempio estremamente semplicistico della nostra anatomia e del rilassamento localizzato – quando tentato nel contesto dell’intero corpo, diviene una faccenda estremamente difficile, ostacolata da gesti parassiti – tuttavia illustra che cosa sia il vero rilassamento, ossia uno che sollecita i muscoli necessari e lascia quelli antagonisti a riposo. Contrariamente alla credenza popolare, nell’Aikido bisognerebbe usare i muscoli, il problema è usare quelli giusti. Secondo Amdur, lo stesso vale per il suburi; se uno sa cosa sviluppare, dovrebbero essere necessarie solo poche decine di suburi per ottenerlo. Se si va oltre, oltre cioé a quei benefici, si passa al bodybuilding. Per essere più precisi, alcune scuole di Aikido hanno sviluppato una vasta gamma di esercizi di armi, principalmente basati sui movimenti di uno o più koryu bujutsu, ma questo è stato fatto principalmente allo scopo di fornire un modo per decomporre, eseguire e perfezionare parti non-visibili di una tecnica a mani vuote (ad esempio, un’entrata per iriminage, o un taglio per shihonage, ecc.).
Esempio di un elaborato sistema di armi sviluppato nell’Aikido per perfezionare la pratica a mano libera
Si tratta di strumenti pedagogici perfettamente validi, ma considerando il focus storico di questo articolo, devono essere considerati invenzioni recenti. Inoltre, mentre essi sono perfettamente giustificati all’interno di una o più correnti di Aikido, se si chiede ai praticanti del koryu originale cosa pensino di queste forme, spesso li considerano come versioni imbastardite del proprio lavoro (ci sono innumerevoli pagine di discussioni sul web con i praticanti di koryu che criticano le forme di armi nell’Aikido). [31] Pertanto, secondo me, è necessario mantenere le cose semplici e storicamente accurate, e aggiungere complessità alle tecniche che sono state accuratamente selezionate e in qualche misura modificate da altri koryu altamente complessi non è il modo in cui personalmente voglio procedere. Con questo in mente, Ellis Amdur recentemente mi ha mostrato un esercizio interessante in cui solleva le mani davanti a sé e le lascia cadere sulle cosce per gravità, aggiungendo semplicemente al movimento una forza rilassata e senza irrigidimento. A sentire lui, se fatte bene, cinque o sei ripetizioni di questo esercizio dovrebbero far uscire lividi sulle cosce, il che dovrebbe essere sufficiente a comprendere questo concetto di rilassamento come fonte di forza. [4]
Sviluppare il corpo aiki
C’è una famosa citazione, presumibilmente di O Sensei, che recita:
“Atemi rappresenta il 99% dell’Aikido”.
O Sensei, come citato da Saito Morihiro – Traditional Aikido, Volume 5, pag.38
Secondo Amdur, interpretare quanto sopra con “l’Aikido è costituito da colpi al 99%” è un errore, perché se si sviluppa quello che chiama il “corpo Aiki”, si dovrebbe essere in grado di sviluppare energia, eseguire trasferimenti di forza e persino applicare percussioni usando qualsiasi parte del corpo e in qualsiasi posizione. [4] Philippe Gouttard mi ha recentemente spiegato che dal momento che etimologicamente, atemi è l’unione di due parole: ateru (当 た る, toccare/raggiungere/colpire) e mi (身, corpo), si dovrebbe considerare che si sta eseguendo un atemi ogni volta che si tocca un partner. [28] Troviamo così l’idea che la parte essenziale della tecnica sia considerata un atemi. Per Amdur, l’obiettivo finale della pratica individuale è sviluppare questo corpo aiki. Secondo lui, l’esercizio è di natura solitaria, perché, come ha spiegato Kuroda Sensei, nessuno sarebbe disposto a dedicare il tempo necessario per aiutarci a svilupparlo. [4]
Ellis Amdur spiega il suo approccio al Taikyoku Aikido
Conclusione
Anche se non oserei dire di avere delle risposte, spero, attraverso questo articolo, di proporre alcuni indizi su obiettivi e approcci della pratica individuale al di là delle considerazioni moderne. Di recente l’argomento ha suscitato molte discussioni, soprattutto dalla pubblicazione di libri come Transparent Power di Sagawa Yukiyoshi o Hidden in Plain Sight [30] di Ellis Amdur, o attraverso il lavoro di persone come Tohei Koichi (allievo di O Sensei), Akuzawa Minoru (allievo del dojo di Sagawa), o Dan Harden (che ha imparato il Daito-ryu dai maestri del Kodokai). Vorrei concludere questo articolo con una citazione di Peter Golsdbury:
“Ho chiesto al Doshu e agli altri insegnanti dell’Hombu se Morihei Ueshiba avesse fatto un allenamento dell’energia interna e la risposta fu positiva, ma con la clausola che non l’aveva mai insegnato: lasciò questo tipo di allenamento agli allievi che lo percepivano e volevano farlo. Il corollario era (è) che questo tipo di allenamento dovrebbe essere un complemento all’allenamento “kihon“, ma non un suo sostituto. [31]
Peter Goldsbury, Presidente della International Aikido Federation
Il fatto che si cerchi di sviluppare queste qualità è una buona cosa, ma non dovremmo dimenticare che storicamente, la consapevolezza di questo bisogno è arrivata dopo aver imparato le basi. Oggi, temo che tutto ciò che richiede sia il sapere come fare clic con il mouse per registrarsi a un seminario per sviluppare la forza interna presentato da insegnanti di una diversa estrazione. Penso che non dovremmo mettere il carro davanti ai buoi, e che questo lavoro non dovrebbe essere preso in considerazione fino al momento in cui non abbiamo un background molto forte sulle basi dell’Aikido, e fino a quando le qualità fisiche non possono più nascondere la carenza di tecnica. Da una prospettiva personale, ho in programma, come molti altri, di continuare a cercare questi principi, ma sicuramente voglio continuare a cercarli all’interno delle arti dell’aiki che ci sono state trasmesse da Ueshiba e Takeda. Che sia in modo sistematico o meno, questi principi sono stati effettivamente trasmessi e devono ancora essere trovati nell’Aikido, e bisogna solamente che passi abbastanza tempo e che si trovi qualcuno che ci mostri la direzione giusta.
Fonte: https://guillaumeerard.com/aikido/articles-aikido/the-origin-and-purpose-of-solo-practice-in-aikido/
Copyright Guillaume Erard ©2019
Tutti i diritti sono riservati. Ogni riproduzione non espressamente autorizzata dall’autore è severamente proibita
Traduzione dall’inglese di Simone Chierchini (2020)
Si ringrazia l’autore per aver gentilmente autorizzato la pubblicazione in italiano di questo articolo
Note
- Erard, Guillaume – Katageiko : A necessary connivance between uke and tori. Dragon Magazine – Special Edition # 4 Aikido
- Erard, Guillaume – Interview with Ellis Amdur.
- Amdur Ellis – A Consideration of Aikido Practice Within the Context of Internal Training. AikiWeb
- Amdur, Ellis – Comunicazione personale.
- Gaurin, Olivier – Comunicazione personale.
- Erard, Guillaume – What is the relevance of the Hombu Dojo? Dragon Magazine – Aikido Special Edition # 2
- Erard, Guillaume – Why Do Yudansha Wear a Hakama?
- Erard, Guillaume and Gaurin, Olivier – Interview with Chiba Tsugutaka, the last Daito-ryu master of Shikoku.
- Erard, Guillaume – Takuma Hisa, the heir at the crossroads between aikido and Daito-ryu. Dragon Magazine – Aikido Special Edition # 1
- Takahashi, Masaru – The Daitou Ryuu Aiki Jujutsu Legacy of Sagawa Yukiyoshi. Hiden Magazine Special Issue (June 2008)
- Tanren Method of Sagawa Sensei. Hiden magazine (2008) Translated by Eric Grousilliat. Budoshugyosha.com
- Amdur Ellis – Solo Training – Why Iai? Aikido Journal
- Dufek, J. et al, Walking Backward. A Possible Active Exercise for Low Back Pain Reduction and Enhanced Function in Athletes. Journal of Exercise Physiology online Volume 14 Number 2 April 2011
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- Erard, Guillaume – Biography of Kisshomaru Ueshiba. Dragon Magazine – Special Edition # 3 Aikido
- Li, Christopher – Hakaru Mori on the Aiki of Tenouchi. aikidosangenkai. org
- Erard, Guillaume – Documentary about Chiba Sensei Tsugutaka, the last master of Daito-ryu in Shikoku.
- Gouttard, Philippe – Comunicazione personale.
- Amdur, Ellis – Hidden In Plain Sight. Edgework Publishing PLLC. (2009)
- Goldsbury, Peter – Forum Post : Why bother keeping Aikido ‘pure’? AikiWeb
- Skoss, Meik. Kashima Shinto-ryu
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