Aikikai Milano Story


Certa Antonino 06

“Mi mancano 2.000 lire per il keikogi, non me lo darebbe ugualmente, così inizio stasera stessa?”. L’uomo guardò il ragazzino dall’alto dei suoi due metri, con aria seria per un attimo, quindi sorrise e disse: “Va bene me le darai quando le avrai, vai a cambiarti”. In questo modo nel 1965 iniziò l’avventura del 15enne Antonino Certa nel mondo dei pionieri delle arti marziali in Italia

di ANTONINO CERTA

“Mi mancano 2.000 lire per il keikogi, non me lo darebbe ugualmente, così inizio stasera stessa?”

L’uomo guardò il ragazzino dall’alto dei suoi due metri, con aria seria per un attimo, quindi sorrise e disse: “Va bene me le darai quando le avrai, vai a cambiarti”.

“Grazie!” Un grazie gioioso ed eccitato uscì dalla bocca del ragazzo che già correva verso lo spogliatoio.

Era il 1965, la palestra era il Jigoro Kano di Milano, allora tempio del Judo. Lì iniziai a praticare Aikido. Lo aveva iniziato qualche anno prima un certo Vimercati (uomo di vari interessi orientali), un po’ con dei libri, un po’ andando a Marsiglia a praticare Aikido con il M° Nakazono, subito affiancato da Cesare Barioli (maestro di Judo), Peduzzi e Gallotti.

Il M° Tada era da poco giunto a Roma portandosi dietro, come assistente, il M° Kawamukai. Kawamukai insegnò a Milano all’Asashi dojo, poi passò alla Nippon, ma in seguito decise di concentrarsi suoi interessi economici, praticando l’Aikido sporadicamente. Vimercati era già passato ad altre attività (Yoga?) e Barioli al Kendo, così con la venuta in Italia del M° Nemoto 3° Dan, si aprì un corso al Jigoro Kano, che il M° Nemoto dirigeva due volte la settimana venendo da Torino, dove viveva.

Com’era l’Aikido allora? Seguendo il M° Tada in tutti i suoi stages, scambiavamo la sua grande potenza per forza fisica e quindi usavamo molto i muscoli, cercavamo di “far del male” all’uke perché praticavamo “un’arte marziale” – forse soprattutto influenzati dalla figura del Maestro che allora era (o forse solo agli occhi di un ragazzo di quindici anni) la personificazione di un samurai passato indenne dal medioevo fino ai nostri tempi.

La prima volta che lo vidi indossava una cintura bianca a strisce rosse, parlava malissimo l’italiano e spesso a voce bassa. Non rimaneva che “imitarlo”: il risultato era un Aikido rozzo, fatto con forza e con movimenti bruschi, ma per noi era “marziale”. C’era molto entusiasmo, ci si conosceva tutti (eravamo veramente in pochi, veri pionieri) e di tanto in tanto veniva qualche francese a praticare a Milano; mi ricordo un senso di rispetto e di amicizia che si “respirava” in quelle occasioni. Forse allora mancava il senso d’antagonismo che spesso si respira oggi, in molti stages. Forse essendo tutti principianti, c’era la consapevolezza di essere all’inizio di questa misteriosa arte e ciò infondeva uno spirito cameratesco e di umiltà.

Il M° Tada era un tornado di energia ed in ogni stage ci “costringeva” ad allenarci per 8-10 ore al giorno (i mitici stages di Desenzano, ma anche Roma in novembre e Pasqua con lui che girava come un forsennato per il tatami a correggere i nostri numerosi errori). Non potevo capire le sue lezioni, ma egli ce le faceva “vivere”, direi che insegnava “per induzione” creando un’atmosfera densa di energia che ci permetteva di sopportare estenuanti allenamenti.

Non ricordo episodi leggendari o strani su di lui, ricordo solo che non guadagnava molto insegnando, spesso un suo pasto era composto da un semplice cappuccio con qualche brioche. In compenso si allenava e insegnava con un tale fervore che per noi era impossibile non rimanere affascinati dalla sua figura ma sopratutto dal suo esempio. Ora, a distanza di anni, penso che il M° Tada sia stato l’unico ad insegnare senza aver guadagnato, il suo unico interesse era l’Aikido, anzi il Maestro “portava” l’Aikido.

Ho continuato fino al 1° Dan in quel dojo, quando un anno, nel 1971, ad uno stage di Desenzano, conobbi un nuovo maestro giapponese appena arrivato in Italia; noi lo chiamavamo “il gatto” poiché era abilissimo a far da uke al M° Tada. Durante lo stage gli chiesi dove insegnasse: la risposta sorprendente fu che insegnava a Milano ed il suo nome era Yoji Fujimoto, III° dan, poi mi invitò ad andarlo a trovare alla Nippon.

Tada Hiroshi 07
Yoji Fujimoto sensei, il “Gatto”, fa da uke al maestro Tada a Coverciano (1987)

Accettai l’invito e, affascinato dal suo modo di fare Aikido, mi iscrissi subito al suo dojo. Mi accorsi immediatamente che ero pieno di difetti e di conseguenza dovevo ricominciare tutto da capo, così, quando il M° Fujimoto si trasferì nei locali dei Salesiani, vicino alla stazione Centrale, ogni sera ero presente alle sue lezioni.

L’Aikido di Fujimoto era (ed è) splendido; ciò che lo distingueva erano i suoi movimenti ampi, tondi, in contrasto con tutto ciò che avevo imparato prima. La morbidezza dei movimenti veniva enfatizzata: “La tecnica è fatta metà dal tori e metà dall’uke”, diceva sempre. Oppure: “Tirate morbidi, altrimenti non arriverete ad essere come il M° Tada”. Il suo insegnamento non si contrapponeva a quello di Tada; io lo trovavo propedeutico, poiché spiegava di più e con un italiano discreto.

Da allora sono passati 21 anni (nel 1988 NdR), l’Aikido si è evoluto diventando molto morbido e raffinato, e da parte mia continuo a seguire le lezioni del M° Fujimoto cercando di non mancare tutti i suoi stages. Non ho rimpianti poiché ho vissuto direttamente l’ “epopea di pionieri” di questa stupenda arte chiamata Aikido.

Fonte: Aikido XVIII-2, 1988 – Aikikai d’Italia

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