Katori Shinto Ryu – L’Antica Scuola di Spada, l’Eredità Divina e il Viaggio in Occidente


Sugino Yukihiro 02

Oggi parliamo del Tenshin Shōden Katori Shintō Ryū, scuola di durata pluricentenaria e modello unico di preparazione del guerriero giapponese. Tesoro nazionale del Giappone, il Katori Shinto Ryu occupa un posto unico nella storia del Budo grazie alla sua ininterrotta continuità tecnico-pedagogica

di ADRIANO AMARI

Aspetti Generali

Tenshin Shōden Katori Shintō Ryū: la scuola (lett. “flusso, corrente”) degli Dei del santuario di Katori di Eredità Divina, questa è la traduzione – ovviamente ci sono altre versioni di sfumatura differente – ci tramanda da più di 600 anni una disciplina completa, nata per dare una formazione adeguata ad un guerriero dell’epoca degli “Stati Combattenti”, il Sengoku Jidai (1467/1600).

Il Katori Shintō Ryū (forma abbreviata autorizzata) è una scuola abbastanza conosciuta in Occidente grazie ai saggi dello storico ed oplologo Donn F. Draeger, alla citazione – a sproposito – contenuta in un best seller degli anni ’80, Ninja di Eric Van Lustbader, ai filmati e i libri di Ōtake Ritsuke sensei nonché per la collaborazione di Sugino Yosho sensei come maestro d’armi ad alcuni dei più celebri film del regista Akira Kurosawa.

Il curriculum di questa scuola comprende oggi cento Kata, quasi tutti a coppia: insegna il maneggio e l’uso di varie armi e anche delle mani nude, inoltre fornisce la conoscenza teorico-pratica di varie altre discipline, utili sia durante una campagna militare che nella vita quotidiana, come medicina, Feng-Shui, come fare segnali di fumo o fuoco, come costruire dei speciali regoli calcolatori per interpretare le variazioni delle energie naturali taoiste, come effettuare delle metodologie di vigilanza delle aree, come realizzare amuleti e procedimenti particolari per la focalizzazione delle proprie energie mentali. Si sa di alcune “materie” che col tempo non sono state più trasmesse: tiro con l’arco, nuoto con l’armatura, forse equitazione e l’uso di una spada più lunga di quella oggi adoperata negli esercizi.

L’ampiezza del programma adesso non stupisce più il lettore informato. Grazie alla disponibilità di più fonti rispetto anche un decennio fa, è noto che le scuole tradizionali del periodo feudale, finito nel 1868, dette complessivamente Koryū, dovevano necessariamente trattare molte abilità per essere adeguate a tutti i possibili scenari che potevano impegnare la casta nazionale di guerrieri professionisti ereditari o indipendenti. Per cui soprattutto le scuole sorte nel periodo più burrascoso ed anarchico del Giappone dovevano necessariamente garantire una formazione completa.

La creazione di questa scuola da parte del samurai di alto rango Iizasa Ienao viene collocata intorno agli anni ’50 del XV secolo. Il fondatore era un guerriero esperto e di fama, già passato attraverso le diverse campagne belliche locali, irrequietezze che anticipavano il futuro periodo Sengoku, come la Zenshū no Ran, l’Eikyo no Ran, la Yuki Kassel e la Kyōtoku no Ran che abbatté il clan Chiba di cui Iizasa sensei era un componente di primo piano.

Era un guerriero anziano e deluso quello che si ritirò presso il Santuario di Katori.

Katori Jinja

Il Santuario

Per chi non è mai stato a Katori, e non ha visto i luoghi, ma solo qualche foto su libri o su Internet, non è facile rendersi conto della profonda suggestione che esercita. Pur con le varie e moderne costruzioni che si radunano in quello che è ancora un paesaggio di campagna, il colle del Santuario conserva una atmosfera intatta, tagliata fuori dal mondo [1]. È un’aria particolare che si respira. Questo sito era un’area sacra sin dai tempi più antichi, probabilmente già per gli Emishi prima dell’arrivo degli Yamato da Ovest. Testi antichi rimandano la fondazione dell’edificio sacro e del culto di Futsu-Nushi-no-Kami, il Katori – Daijin, al primo imperatore, Jinmu Tennō, nel 660 aC.

Bisogna chiarire: la costruzione di edifici di culto iniziò soltanto con l’importazione del buddismo dalla Corea nel VI secolo dC., circa milleduecento anni dopo. Il santuario originale era un’area, come di fatto sono i santuari Shintō, con un polo principale e altri qua e là nello stesso territorio, tutti formati da piccole zone recintate, da pietre o alberi particolari, o sorgenti e poggetti isolati. Ai tempi di Iizasa il Santuario era una imponente struttura mista contemporaneamente Shintō, per il dio Katori – Daijin, e buddista, con culto rivolto alle sincretiche divinità dei guerrieri, Bishamoten e Marishiten. Nello stesso posto vi è traccia di un culto ancora più arcaico, rivolto verso la divinizzata Stella Polare, l’Hokuto, identificata colla divinità proto-indigena poi identificata con la figura divina taoista di Myōken.

È proprio questo il sincretismo giapponese e in quei tempi la completa identificazione in culti diversi della stessa entità divina: Katori – Daijin/Bishamoten/Marishiten/Myōken veniva proprio chiamato “Shintō Ryū”. Era una caratteristica più marcata in alcuni santuari/templi, come quello di Katori, ma tutt’ora la si può notare nei complessi religiosi giapponesi, dove i templi buddisti e i santuari Shintō sono l’uno accanto all’altro nello stesso recinto.

L’illuminazione del fondatore

L’illuminazione di un particolare individuo, generalmente già in possesso di grandi doti, è un passaggio fondamentale in molte discipline orientali. Nel caso del Giappone ci troviamo davanti a due aspetti diversi della forma dell’evento: una è vicina alla possessione sciamanica ed è propria dello shintōismo, nell’altra, buddista, l’adepto riceve una specie di “suggerimento sovrannaturale” su un aspetto particolare della sua disciplina, un aspetto che lo tormenta da tempo e lo impegna in riflessioni e sperimentazioni.

A differenza delle “apparizioni” di santi o divinità occidentali, questo aspetto noumenico orientale viene dall’interno dell’individuo: nello Shintō sollecitato dall’esterno da una comunione con un oggetto sacro come albero, roccia, specchio, spada, sorgente, un particolare animale o altro; nel buddismo da un qualsiasi fenomeno, anche semplicissimo o naturalissimo (occorre evitare di fare recinzioni troppo nette, però).

Iizasa Choisai

Iizasa, alla ricerca di una risposta sul suo essere guerriero e il suo compito nel mondo, si sottopose ad un lungo periodo ascetico nel santuario dove, oltre l’allenamento, per diverse ore si dedicava a preghiere Shintō e Buddiste. La descrizione lasciata dal fondatore parla di un sogno verso l’alba, dopo già mille giorni di ascesi, dove si rivedeva nei suoi allenamenti sotto un grande albero di pugno. Lì compariva del dio sotto forma di un bambino, lo investiva del ruolo di maestro, e gli consegnava un rotolo di testi segreti.

Ora, l’immagine dell’illuminazione che conferisce uno stato superiore, qui il caso di Iizasa sensei è comune a quasi tutti i grandi caposcuola delle varie Arti Marziali e trova spesso reazioni scettiche, in genere pressappochistiche. Nel caso di questi fondatori ci troviamo di fronte a persone di grande valore ed abilità personali, dotate di eccezionali capacità empatiche e analitiche, di una conoscenza del proprio corpo unica e della capacità di proiettare sugli altri un modello di sé stesso in modo da leggere quanto si accingono a fare prima che effettivamente lo facciano.

Dopo l’illuminazione il soggetto illuminato arriva a una perfezione di tali capacità, grazie al principio universale che ha scoperto, che gli consente di agire senza dubbi o esitazioni. L’insieme di queste capacità innate, delle altre eccellenti capacità raggiunte attraverso l’esperienza e lo studio, della disciplina del corpo e della mente attraverso l’ascesi e la preghiera, conducevano queste persone verso uno stato particolare di coscienza alterata che dava la possibilità di accedere a risorse particolari ed uniche.

Se queste risorse provengano da zone della nostra mente inconscia o da altre, o che ci sia effettivamente un intervento superiore, non è per me importante, lascio ad ognuno di credere come preferisce. Di certo lo spadaccino illuminato è una realtà storica con doti evidenti. Il soggetto adesso attinge ad un “qualcosa” che altre persone non hanno e, nel caso dei maestri caposcuola, in più loro sono in grado, in un qualche modo, di “distribuire” una parte della loro eccezionalità attraverso degli insegnamenti che loro stessi elaborano, in modo da coinvolgere il piano unificato corpo/mente/spirito dell’allievo.

Armi oltre le armi

Il punto fondamentale delle scuole di Arti Marziali antiche è far raggiungere l’efficienza mentale e fisica dei suoi studenti per sopravvivere sul campo di battaglia. Come nelle corti dei cavalieri occidentali l’addestramento alle armi prevede che l’adepto cammini nelle sue strade interiori alla ricerca di un equilibrio personale che gli consenta di esercitare la violenza il meno possibile e con lo scopo di “salvare” più che distruggere. Gli scritti della scuola, molti dei quali risalenti al fondatore, tracciano precisi obiettivi, descrivono tecniche e principi, sin dall’inizio sottolineano che la finalità della scuola non è la distruzione, bensì superare la disarmonia e arrivare alla pace. Ci sono due parole omofone – un fatto frequente in giapponese – ma scritte con ideogrammi diversi e, conseguentemente, di diverso significato che fissano questa idea:

  • Heihō (兵法) è la parola con cui nei testi delle Koryū si definisce tutto il corpus tecnico e mentale di una scuola per il combattimento, reso spesso col termine “Strategia” o “arte della Guerra” in italiano;
  • Heihō (平和), invece, è l’armonia pacifica.

Uno dei più antichi e fondamentali testi del Katori Shintō Ryū inizia così: “Heihō è heihō e tutto può insegnare l’heihō” (Heihō wa heihō nari) dove il primo Heihō ha il significato detto di Strategia/Arte della Guerra, e il secondo quello di armonia. Il senso della frase è che padroneggiare la scuola non serve per la distruzione, bensì per trovare il modo di ricostruire l’armonia e far tornare la pace tra la gente.

Già ora si trova la famosa frase “Katsujin-enken” che significa “la spada è una dispensatrice di vita”, più conosciuta nelle opere più tarde di Munenori Yagyū, Itō Ittōsai e Takuan. L’arma manovrata con giustizia aiuta il popolo e abbatte il malvagio, scongiurando lutti e rovine. Più che una indicazione New Age, come vorrebbero alcuni, è la trasposizione del detto latino “si vis pacem para bellum”.

Sugino Yoshio - Mochizuki Minoru

La scuola in Occidente

Il Tenshin Shōden Katori Shintō Ryū è stata una delle prime scuole antiche che hanno superato le tendenze alla riservatezza dei giapponesi e hanno aperto a praticanti occidentali. Già tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX diversi maestri della scuola insegnavano ad occidentali residenti in Giappone. La scuola poi si è espansa in Europa, in America e in altri paesi del mondo, affascinando chi stava cercando nelle Arti Marziali anche un approccio culturale col Giappone antico. I maestri della scuola che hanno agito con più incisività nei tempi moderni sono Sugino Yosho di Kawasaki, Mochizuki Minoru di Shizuoka e Ōtake Ritsuke di Narita.

Mentre Sugino sensei e Mochizuki sensei hanno operato molto viaggiando in occidente, Europa ed America, Ōtake sensei invece si occupa degli occidentali che sono venuti ad imparare al suo Dōjō.

L’occhio occidentale rimane affascinato dalle fluide, complesse forme della scuola, uniche nel genere, lunghi duelli con varietà di colpi. La pratica richiede un lavoro lungo, ripetuto secondo la didattica tradizionale. Il colpo totem della scuola, il particolare fendente chiamato “Maki-Uchi”, è eseguito sempre per centinaia di volte all’inizio di ogni lezione, accompagnato con i forti Kiai a suoni alternati.

L’Occidente dei sapienti appassionati ha dato di riflesso un bell’impulso alle scuole tradizionali in patria, che hanno trovato fuori dai confini in loro un’ancora che li aiuta a serrare le file e rialzare l’interesse all’interno. L’occidentale che viene in Giappone e si interessa a cose che vanno al di fuori delle normali linee di turismo di massa, suscita un vivo stupore tra i giapponesi stessi, ma anche orgoglio. Per cui adesso anche i giovani provano nuovo interesse per questi loro patrimoni culturali nazionali e si riaccostano, pochi ma buoni, alle antiche discipline.

Noi occidentali portiamo anche degli interessi culturali diversi, con la nostra diversa cultura per la storia e il suo studio, suscitando nei maestri giapponesi ancora più attenzione verso il materiale culturale delle loro scuole e, in parallelo alla dura pratica fisica, adesso trovano piacere a mostrarci le reliquie documentali, spesso bellissimi fogli ricchi di accurati disegni, operano per farci comprendere le idee e le conoscenze che inquadravano e motivavano la tecnica stessa.

L’inganno dell’apparenza e le voci dei maestri

Guardando i Kata del Katori Shintō Ryū spesso si rimane distratti dalla loro apparenza scenica. Molti praticanti, anche non più di primo pelo, ci cadono. È un effetto voluto dai formatori stessi di queste sequenze. L’occhio insegue il generale e si fa sfuggire i particolari.

Sugino Yoshio
Yoshio Sugino

Ma forse è meglio così.

Chi vuole veramente studiare smette di correre e cammina assaporando ogni passo. Così la scuola parla veramente. Niente esotici Samurai in rutilanti armature che non conosceranno mai il campo di battaglia, ma uomini di spada che cercano la conoscenza attraverso il confronto con il suo interno e il suo esterno.

Nella prefazione all’ultima edizione del libro Tenshin Shōden Katori Shintō Ryū Budō Kyōhan di Yoshio Sugino & Kikue Itō [2], il XX Sōke della scuola Iizasa Yasusada ha scritto: “…mi auguro che lo spirito giapponese del Kobudō abbia un effetto positivo sulla cultura spiccatamente materialistica del mondo d’oggi…”; suo padre, Iizasa Kinjiro, XIX Sōke, alla prima edizione scrisse: “…il nostro scopo principale durante tutto questo tempo è sempre stato allenare umili persone che considerano la spada come la loro stessa vita…”; Ōtake sensei, capomaestro del Dōjō di Narita, in una recente intervista [3] ha detto: “…si potrebbe anche dire che le nostre vite sono fugaci. Tuttavia, il fatto che abbiamo vissuto è eterno…credo che ogni azione che intraprendiamo nella nostra vita quotidiana non vada persa nel tempo e che divengano parte di una storia che verrà raccontata per molte generazioni a venire…credo che sia mio dovere continuare ad allenarmi e migliorarmi ulteriormente affinché il Katori Shintō Ryū possa essere tramandato alle generazioni future…”; Sugino Yosho sensei, capomaestro del Dōjō di Kawasaki, in una intervista del 1961 disse: “…studiare globalmente il kata, e muoversi liberamente senza essere ostacolato dal kata. Comunque, tutto questo è kata. Questa è la perfezione…” e “…nella spada come nella vita, se uno non si impegna, allora non ci sarà modo che possa padroneggiare i Gokui (insegnamenti segreti) che sorpassano vita e morte…” [4].

Copyright Adriano Amari ©2020
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Note

[1] su Google Earth: 35°53’09.31”N – 140°31’43.73”E

[2] Yoshio Sugino & Kikue Itō – Tenshin Shōden Katori Shintō Ryū Budō Kyōhan – lulu.com

[3] Intervista del gennaio 2020 della rivista mensile Budō edita dal Nippon Budōkan

[4] Intervista del 1961 https://www.aikidosangenkai.org/blog/interview-yoshio-sugino-katori-shinto/


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