Hakama: Storia, Etichetta e Caratteristiche


Oggi l’hakama viene indossata dagli allievi di Iaido, Aikido, Kyudo, Kendo, così come dalla maggior parte dei praticanti delle Koryu classiche. Un tempo parte dell’abbigliamento quotidiano dei samurai, da dove proviene?

di DAVE LOWRY

Quattrocento anni fa la pratica delle arti marziali era condotta indossando l’hakama non perché fosse un tipo speciale di “uniforme”, ma in quanto parte dell’abbigliamento abituale della maggior parte dei membri della casta dei samurai. Da dove proviene? Una delle spiegazioni del suo sviluppo è che, originariamente, si trattasse di una sorta di sovrapantaloni, indossati dai cavalieri per proteggere le gambe dai cespugli e dalla vegetazione del sottobosco mentre cavalcavano. La pelle utilizzata dai cow-boys americani per lo stesso scopo in Giappone sarebbe stata troppo costosa. Per soddisfare questa necessità fu usato del cotone spesso e ruvido per creare un tipo di pesante gonna protettiva. Quanto meno, questa è la comune spiegazione. Senza dubbio la classe guerriera giapponese trovò la protezione offerta dall’hakama adatta per andare a cavallo, e l’immagine del samurai che cavalca il suo fidato destriero è un bello e romantico complemento al nostro cow-boy.

Kariginu

La verità, tuttavia, è che l’origine dei pantaloni di tipo hakama risale almeno alla metà dell’ottavo secolo, ben prima che i samurai emergessero distintamente come casta. Le donne della corte imperiale, durante il Periodo Heian (794–1185) sotto i loro kimono multistrato indossavano delle “culottes” che si allacciavano in modo molto simile all’hakama. Con ogni probabilità, si tratta dell’ispirazione originale per l’hakama. Dalla fine del periodo Heian gli uomini indossavano il kariginu, un abbigliamento formale per la caccia, e il suikan, un tipo di abbigliamento leggermente meno formale, entrambi caratterizzati da un’ampia gonna – pantalone. Il primo uso conosciuto della parola hakama è nubakama, che si riferisce ad un tipo specifico di questi pantaloni dalle gambe molto ampie ed indossato dai membri della nobiltà mentre giocavano il kemari – una specie di tennis usando i piedi. 

Nel 1185 il clan guerriero dei Minamoto sconfisse il clan Taira, segnando la fine del periodo Heian e l’inizio del periodo Kamakura (1185–1332). Il periodo prese il nome dalla città di Kamakura nel Giappone orientale, che divenne la sede politica del governo e residenza dello Shogun. La moda dell’epoca trasse meno ispirazione dalla splendida e raffinata Corte Imperiale di Kyoto che dominò il Periodo Heian e più dalla sobria, quasi severa, sensibilità militare della cultura guerriera di Kamakura. Lo stile di moda kariginu e suikan fu rimpiazzato dal meno sfarzoso hitatare, una forma di abito standard per samurai nell’epoca Kamakura. Se avete mai visto una esibizione formale di yabusame – arcieria a cavallo, caratterizzata da uomini a cavallo che galoppano su un circuito mentre scagliano frecce verso un bersaglio – avete visto un hitatare. La parte superiore dell’abito è un’ampia veste simile ad un kimono (le nappe che pendono dalle maniche sono in realtà cordoncini che potrebbero essere usati per stringere le maniche se necessario): i pantaloni sono molto simili all’hakama che si indossa oggi. La sola differenza rilevante tra queste versioni antiche e l’hakama moderna è che le gambe delle hakama antiche avevano nell’orlo inferiore dei lacci che le mantenevano chiuse, dando a chi l’indossava un aspetto simile a un personaggio di “Alì Baba e i 40 Ladroni”. 

Hitatare

Gli appassionati di film sui samurai riconoscono di certo il suo ed il daimon, due varianti dell’hitatare che evolsero nel parte rimanente del periodo Kamakura e nel periodo Muromachi (1340–1570) che seguì. Questi capi differiscono poco dai loro predecessori tranne che nei materiali di realizzazione. Piuttosto che le lussuose sete degli hitatare, le versioni successive di suo e daimon (il daimon è stato il primo capo di abbigliamento a portare i cinque stemmi di famiglia che furono poi usati sui kimono formali) erano fatti di semplice lino, come l’hakama che si indossava assieme ad essi. La scelta dei tessuti non fu casuale. Il periodo Muromachi vide la dominazione della classe militare ed il più sobrio e semplice gusto nelle stoffe utilizzate per la fabbricazione dell’hakama era un riflesso delle prevalenti attitudini della società e delle tendenze dell’epoca. 

L’hakama compì un ulteriore passo avanti nella sua evoluzione solo dopo l’unificazione del paese da parte dello Shogun Tokugawa Ieyasu, attorno al 1600. È difficile sopravvalutare gli incredibili cambi che l’unificazione sotto ai Tokugawa portò in Giappone. Emergendo da una guerra civile che era durata per secoli, lo shogun si trovava davanti il compito di controllare un’intera classe di militari che, per la maggior parte, non aveva altri interessi o capacità che non fossero collegati al combattere. Il fatto che Yeyasu fu capace di dirottare la casta dei samurai verso occupazioni che, anche se non erano produttive come quelle precedenti, almeno non erano sanguinarie, è un testamento del genio politico di Yeyasu. Il samurai dell’era Tokugawa era spesso un ingegnere che sovrintendeva la costruzione di strade o argini, oppure un agente delle tasse o un burocrata governativo. Durante questo periodo di transizione, i samurai adottarono l’antico costume da caccia, o kataginu, del Periodo Heian, accorciandone le maniche ed aggiungendovi delle “ali” rigidamente inamidate sulle spalle, così inventando il kamishimo

Nagabakama

L’hakama che si indossava assieme al kamishimo era così lunga che per poterla indossare all’aperto bisognava ripiegarne verso l’alto le gambe. All’interno la stoffa strisciava sul pavimento diversi piedi dietro a chi la indossava, similmente allo strascico di una sposa. Questa curiosa gonna-pantalone, chiamata spesso nagabakama (hakama lunga), ha uno strano aspetto. Richiedeva un passo strascicato per poter camminare ed impediva di correre se non per pochi passi prima di finire a terra faccia in avanti.

Diverse fonti suggeriscono che la moda della nagabakama fu una mossa deliberata da parte del regime Tokugawa. La spiegazione sarebbe che uomini che dovevano indossare pantaloni così enormi erano ristretti in ogni tipo di movimento necessario al combattimento, e pertanto la nagabakama veniva incoraggiata dalle autorità per aiutare a porre un freno al duellare e ad altri tipi di violenza marziale. (…) La spiegazione più probabile alla popolarità della nagabakama è che il Giappone dell’era Tokugawa vide il rinascimento delle mode dell’era Heian, (…) in un tentativo di ricreare l’eleganza di un tempo ormai passato. (…)

Dalla metà del periodo Tokugawa l’hakama fu indossata tanto dalla classe dei samurai quanto dai mercanti e studiosi; un indumento dell’epoca simile all’hakama, con le gambe legate simile ad una sorta di pantalone, era il momohiki indossata dai soldati a piedi di rango inferiore e da altri soggetti non necessariamente appartenenti alla casta militare. Esistono altri due tipi di hakama tipici di questo periodo: la tattsuke-bakama e la nobakama. Ambedue si allacciano alla vita, ma hanno le gambe più strette, più simili ai pantaloni di stile Occidentale. La nobakama (hakama da campo) era un indumento utile da indossare per il lavoro nei campi. La tattsuke-bakama invece andava tipicamente indossata con le gambe avvolte dai kyahan, gambali di panno, un elemento essenziale del costume del ninja cinematografico. Oggi sono indossati principalmente dai suonatori di tamburi taiko e dagli yobidashi, gli assistenti al ring del Sumo. 

Anche dopo la rapida occidentalizzazione del Giappone dopo il 1868, l’hakama continuò ad essere il vestito formale maschile e, fino agli anni trenta e anche durante la Seconda Guerra Mondiale, era utilizzata come parte del vestiario quotidiano abituale dai Giapponesi più anziani. Storicamente era indossata tanto dalle donne quanto dagli uomini, in modo particolare nel periodo Kamakura e più tardi nei periodi Taisho e Meiji. Fu il termine dellaSeconda Guerra Mondiale che segnò la sua eclisse come abito di uso comune che poteva essere visto nelle strade giapponesi, in quanto le ristrettezze postbelliche riguardo i tessuti ne fecero un capo troppo prezioso per la produzione. Più d’uno dei primi studenti di Morihei Ueshiba ricorda che la dovette chiedere in prestito da qualche anziano parente per l’allenamento – non senza causare una certa costernazione nei proprietari, essendo l’hakama in seta costosa ed inadatta a resistere al rigore degli allenamenti. Oggigiorno gli uomini indossano ancora kimono formale ed hakama in alcuni eventi per i quali un simile abbigliamento è ritenuto appropriato: per esempio nelle cerimonie formali per il ritiro dalle competizioni di sumotori, come anche nei matrimoni tradizionali. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, di certo l’hakama come articolo della moda quotidiana è definitivamente scomparsa. La sola reminescenza del suo uso regolare come capo di abbigliamento la si trova oggi in quei dojo d’arti marziali dove essa è parte standard della divisa.

L’hakama indossata nei dojo odierni è, per essere tecnici, la joba hakama, una versione con le gambe distinte (joba significa “cavalcare”. La separazione delle gambe rende il montare più facile). Alcune hakama formali sono vere e proprie gonne senza gambe separate, ma queste ultime non sono però usate in nessuna forma di Budo. Un’hakama tipica ha tre pieghe longitudinali sulla gamba destra e quattro sulla sinistra. Una caratteristica dell’immaginazione umana è che essa trovi, ove esista spazio, qualcosa con cui riempirlo. Ecco qui il caso della “ragione” dell’esistenza delle pieghe e del loro numero che, se dobbiamo credere alle storie che circolano, rappresenterebbero le sette virtù del nobile guerriero: coraggio, fedeltà, onore, buona igiene, correttezza verso gli altri, e altro che non so. Quello che so è che non esistono prove di ciò in nessun testo storico giapponese sugli indumenti che ho consultato. In realtà, non ho mai sentito questa spiegazione al di fuori dei dojo occidentali e dei libri che pretendano che sia così. Sospetto che si tratti di una fantasticheria o, al massimo, di un mal riposto esempio di “dietrologia”. È stata avanzata una spiegazione più ragionevole: assumendo che ci si sieda e ci si alzi muovendo prima la gamba destra, la braga destra, con meno pieghe e perciò meno “incamiciata”, sarebbe più facile da muovere. La gamba destra si muoveva per prima, principalmente in quanto la spada si porta sempre sull’anca sinistra, quindi l’alzarsi prima sulla gamba destra significa essere meno vulnerabili ad un attacco improvviso.

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Sul retro dell’hakama c’è una piega – magari, se vogliamo credere al discorso delle virtù che queste pieghe dovrebbero rappresentare, essa rappresenta la miglior parte del valore, dato che facilita la capacità di scappar via velocemente. Al suo interno, nella parte superiore di questo indumento, c’è una linguetta di forma simile ad un cucchiaino: si tratta della hera, il termine giapponese per “spatola”, giacché è fatta all’incirca in quel modo. La hera va infilata nella parte di dietro della cintura per aiutare a tenere la vita dell’hakama ferma ed permettere di tenere la parte posteriore della gonna leggermente sollevata. (…) La hera delle hakama contemporanee è normalmente di plastica.

La placca rigida che si trova sul retro dell’hakama all’altezza della vita è il koshi–ita. (…) Se si vede un’hakama non dotata di tale parte probabilmente significa che è concepita per essere indossata da una praticante di Kyudo. Dato che tradizionalmente le donne indossavano l’hakama più alta in vita rispetto gli uomini, a volte le hakama da donna non avevano il koshi–ita e il Kyudo ha continuato questo stile.

L’hakama è sempre indossata con sotto una cintura di tessuto leggero, avvolta attorno ai fianchi di chi la porta. (…) Aprendo una parentesi sui nodi e le loro formalità, alcuni praticanti di arti marziali quando annodano i lacci dell’hakama usano lo ju–musubi o juji–shime, il “nodo a forma di dieci”. Il nome deriva dal fatto che la forma a croce del nodo somiglia al carattere che identifica il numero dieci in giapponese. Si tratta di un modo di allacciare l’hakama formalmentee e lo si usa per la cerimonia del tè oppure in occasioni simili. Utilizzato nel regolare allenamento quotidiano, almeno che non si tratti di un evento speciale, un nodo risulta una ostentazione. Anche se questo potrebbe risultare strano, il modo in cui si legano assieme le cose nella cultura giapponese veicola una ricchezza di significati. (…)

Ju–musubi o juji–shime, il “nodo a forma di dieci”

In alcuni dojo gira la storia che l’estremità del laccio sinistro dovrebbe essere infilata sotto la cintura, mentre l’estremità del laccio destro dovrebbe andare nella direzione opposta, sopra alla cintura, in quanto ciò rappresenterebbe il dualismo di yin e yo (Yin–yang), duro – morbido, e così via. Per me il tutto assomiglia assai alle fantasticherie sulle pieghe dell’hakama… In termini meramente pratici se la propria Arte implica indossare la spada, oppure infilare ed estrarre ripetutamente un bokken dalla cintura come se fosse un’arma vera, mettere il laccio destro sopra alla cintura ridurrà la possibilità che il laccio esca durante la pratica.

Le aperture laterali dell’hakama sono chiamate soba, che vuol dire letteralmente “vista laterale”. (…) In qualche fase dell’evoluzione dell’hakama si svilupparono spacchi che arrivavano fin sotto le ginocchia. Solo le hakama formali hanno soba più lunghi ed ampi di quelle che si usano nel dojo. (…)

Ai vecchi tempi – e nei film di samurai – vedere un uomo alzare l’orlo dell’hakama ed infilarlo nei soba significava che si stava preparando ad una battaglia seria (o almeno a qualcosa di serio. Il gesto è paragonabile a quello del cowboy che sposta il bordo della giacca dalla fondina prima di iniziare una sparatoria. Tirar su i pantaloni dell’hakama era chiamato momodachi (…).

Le prime hakama erano realizzate con una semplice stoffa ottenuta dalle fibre di kuzu, o pianta dalla radice a freccia, una varietà di maranta. Fino al periodo Edo, una variante di questo rustico ma leggero tessuto, chiamata kakko, era diffusa come materiale per le hakama indossate nei mesi estivi. Le hakama formali tessute con la seta chiamata sendai hira apparvero circa quattro secoli fa con il miglioramento tecnologico del più antico metodo di filatura di Kyoto denominato nishijin. Il sendai hira è un tessuto di seta lucente, dai riflessi morbidi, che non si stropiccia ed è confortevole da indossare. Hakama di questo materiale erano però enormemente costose ed inadatte al Budo, con l’eccezione di esibizioni o dimostrazioni estremamente formali. (…) Da quando il cotone divenne largamente disponibile in Giappone, le hakama per la pratica del Budo furono realizzate con esso. Oggi sono disponibili sia di fibra mista che sintetiche.

Vecchia cartolina giapponese vintage che mostra la pratica del Kendo su una corazzata (Copyright https://www.rssing.com/)

L’abilità di camminare, allenarsi, sedersi e muoversi con l’hakama indossata si chiama hakama–sabaki. Si tratta di una cosa un po’ più complicata di quanto sembri. (…) Il metodo per camminare in modo efficace in hakama, o muoversi rapidamente e con grazia richiede pratica. Gaki–daisho è un arcaismo che indica il modo di arrogante di camminare di chi ha due spade. L’attore Toshiro Mifune spesso adottava questa andatura quando recitava in un film di samurai, con le gambe dell’hakama che svolazzano largamente tutto attorno. I veri samurai erano invece ammirati perché camminavano shizo–shizo, o silenziosamente, con le ginocchia appena flesse, in modo che l’hakama non si muovesse più di tanto. (…)

Al momento di sedersi sul pavimento, ci sono dei trucchi per evitare che le ampie gambe dell’hakama finiscano bloccate sotto le proprie. Uno di questi deriva dall’Ogasawara ryu, una scuola di etichetta che creò regole e maniere per la casta guerriera: esso richiede di muovere con leggerezza la gamba sinistra e destra dell’hakama dietro le ginocchia appena prima di sedersi, facendo uscire lateralmente la stoffa delle gambe come le ali di un uccello quando ci si siede del tutto (secondo il protocollo dell’Ogasawara Ryu, schiaffeggiare con ostentazione la stoffa provocando un sonoro schiocco è considerato disdicevole e maleducato). Si inizia dando un buffetto prima all’interno della gamba sinistra e poi alla destra mentre si scende in ginocchio. Se eseguito in modo corretto, le gambe dell’hakama ricadranno sul pavimento in maniera tale da non rimanere avvolte attorno alle gambe e senza ostacolare il movimento quando ci si rialzerà. Nell’etichetta della cerimonia del tè ci sono un paio di varianti: in una di queste, mentre ci si inginocchia, tutte e due le mani premono leggermente sulle cosce percorrendo la lunghezza delle gambe fino ad appena prima che le ginocchia tocchino il pavimento, per poi allargare sullo stesso la parte anteriore della stoffa che copre le gambe. Nell’altra, le due mani spazzolano le gambe dell’hakama indietro ed all’interno delle ginocchia simultaneamente alla discesa in ginocchio. Queste varianti riflettono le differenze tra le varie scuole di etichetta dell’antico Giappone, alcune delle quali ebbero influenza sui vari ryu di cerimonia del tè.

Toya Akiko, Caposcuola Jikishin Kage-ryu naginata-do con Higashi Tomoka

Chi indossa l’hakama in un dojo? In parecchi koryu classici la si indossa fin dal primo allenamento, lo stesso è vero per Iaido, Kyudo, Naginata–do. L’Aikido pare essere l’unica forma di budo dove l’indossarla sembra un specie di privilegio o un segno distintivo di rango. Il motivo per il quale nell’Aikido si sia evoluta una tale usanza è un mistero. È dimostrabile che non fosse sempre così. Buona parte delle foto del primo periodo dell’Aikido (intorno agli anni Trenta) mostra come tutti i praticanti indossassero l’hakama. Una possibile spiegazione è che con la rapida crescita dell’arte, gli insegnanti avessero bisogno di una sistema rapido per identificare i principianti, e che quindi l’hakama era stata riservata a coloro che avevano raggiunto il livello dan. Una spiegazione più plausibile è stata suggerita da più di un praticante del dopoguerra: dopo la sconfitta del Giappone da parte degli Alleati, qualsiasi tipo di tessuto era estremamente raro a trovarsi. Anche se Ueshiba era rigido rispetto alle formalità connessa all’indossare l’hakama a lezione, le circostanze erano tali che la maggior parte dei suoi allievi non poteva permettersi l’indumento. Quindi l’uso divenne: “Beh, solo gli avanzati devono indossare l’hakama”. Se le cose stanno così, è ironico che le tradizioni del dojo di Aikido si siano girate su se stesse, e che ora solamente quegli avanzati abbiano il diritto di mettersi la gonna.

Un’altra anomalia che riguarda l’hakama nell’Aikido è stata il suo uso fra le donne. Mentre agli uomini era spesso proibito indossarla prima del grado richiesto, le aikidoka potevano invece indossarla appena iniziavano ad allenarsi. Perché? La spiegazione “ufficiale” mette la questione in relazione con il pudore femminile. In buona sostanza, qualche insegnante di Aikido verso la metà del ventesimo secolo decise che le donne in pantaloni apparissero un po’ troppo osé. Da ciò discese l’editto secondo il quale le donne si sarebbero dovute mettere l’hakama senza riguardo per il grado. Non c’è bisogno di essere un esperto della recente storia sociale per immaginare quanto ciò sia stato ben ricevuto dalle donne moderne.

La maggior parte dei praticanti di una koryu non indossa pantaloni sotto l’hakama, a differenza dei più tra i praticanti di Aikido. La spiegazione che viene data sul soggetto più frequentemente (…) sostiene che i pantaloni sotto all’hakama equivalessero alle mutande, e quindi l’uso di coprirle fosse parte della tradizione e pudico. Non è così. Nel Giappone pre–moderno non esisteva nulla di simile ai pantaloni moderni; l’abitudine di indossare i pantaloni può invece essere sorta a causa del suwari–waza, le tecniche che vengono praticate in ginocchio. Lo strato extra di stoffa tra le ginocchia e la materassina può offrire una qualche protezione aggiuntiva dalle abrasioni e scottature. Dal momento che alcuni dei primi allievi di Ueshiba provenivano dal Judo, che aveva di recente adottato i pantaloni lunghi come parte dell’uniforme, essi potrebbero involontariamente averli resi accettabili come parte dell’uniforme da allenamento in Aikido. Se si indossano i pantaloni sotto l’hakama bisogna però prestare particolare attenzione che questi non sbordino oltre l’orlo della stessa, è una caduta di stile notevole è quella di indossare la cintura sopra l’hakama come segno evidente del proprio grado. Alcune scuole classiche di arti marziali lo fanno, per simulare la fascia cui veniva appesa la spada lunga, o per facilitare la simulazione di estrazione e rinfodero con una spada da allenamento, oppure ancora per fornire un appiglio durante l’allenamento su tecniche di presa. Ad ogni modo, la cintura avvolta fuori dall’hakama dà fortemente l’impressione che non si riesca a resistere alla tentazione di esibire il proprio grado, anche a rischio di fare la figura dello sciocco. (…)

Quelli di noi in Giappone e altrove che trascorrono così tanto tempo con indosso questa bislacca gonna – pantalone dovrebbero imparare a farlo. Dobbiamo anche essere tolleranti nei confronti di quelli che si meravigliano di una scelta di abiti che, per dirla francamente, dimostra che anche noi siamo un po’ strani.

Fonte: Lowry Dave, In the Dojo: A Guide to the Rituals and Etiquette of the Japanese Martial Arts, Shambhala Publications, 2006

Copyright Dave Lowry ©2006
Tradotto con l’autorizzazione dell’autore sul sito Higashi no Yume, che qui ringraziamo


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