Perché l’Aikido Sta Perdendo il Suo Potere di Attrazione


Pratico e insegno Aikido da più di 20 anni ormai, e col passare del tempo, sempre più commenti screditano la pratica, sempre più veloci a spuntare, affilati come la lama di una Katana…

di MATTHIEU JEANDEL

“È un ballo, niente funziona per davvero, tutto è autocompiacimento…”

E l’elenco è molto più lungo. Mi vien voglia di rispondere a tutte queste osservazioni e con tutto il cuore vorrei poter difendere l’Aikido dalle malelingue. Sfortunatamente, come praticante e insegnante, devo dire di essere d’accordo con molte di quelle osservazioni, l’unica differenza è che sto cercando di capire da dove proviene quanto sopra e cosa fare, al mio livello, per invertire questo fenomeno.

Questa riflessione è alla base del seguente articolo. Presenterò qui 4 percorsi di riflessione che possono offrire spunti di riflessione. I 4 capitoli sono i seguenti:

  • Traccia N ° 1: Leggibilità delle proposte tecniche
  • Traccia N ° 2: Perdita del senso marziale
  • Traccia N ° 3: Scomparsa dell’aspetto fisico della pratica
  • Traccia N ° 4: Abilità pedagogiche degli insegnanti

Traccia N ° 1: Leggibilità delle proposte tecniche

Negli anni l’Aikido è diventato un grande e vago involucro tecnico e filosofico. 20 anni fa avrei parlato di un solo Aikido, di un unico Aikido con percorsi forse diversi, ma in ogni caso un’arte con principi unici. All’epoca mi sarei rifiutato di prendere in considerazione l’idea di parlare di stili o “correnti” per la pratica dell’Aikido.

Ricordo persino di averne riso con il mio insegnante, Philippe Voarino, quando parlammo di questo argomento. Lui mi raccontò un aneddoto sul famoso asciugamano blu di Iwama… L’asciugamano “Iwama Style” che era stato creato per sottolineare l’appartenenza e la filiazione con la pratica di Morihiro Saito Sensei. Purtroppo la prima uscita lasciò l’amaro in bocca, perché la scritta diceva “Iwama Stale” (Iwama stantia).

Al di là dell’aneddoto, dimenticato tanto velocemente quanto quella prima produzione, non ho mai creduto che oggi sarei arrivato a scrivere le seguenti righe. Vent’anni fa avrei fatto di tutto per combattere l’idea di uno stile o di una filiazione. Oggi, al contrario, farò di tutto per ristabilire certe verità e filiazioni.

Come ho detto sopra, l’Aikido è diventato un grande e vago involucro. È come andare a un concerto senza sapere cosa si ascolterà, heavy metal, rap, musica classica, musica folk, country… Alcuni sostengono che “è comunque musica”. In effetti, è musica, ma se un concerto viene commercializzato promettendo di aiutarti a liberare le tue energie negative e ricaricarti, alcuni penseranno forse a della musica rilassante, mentre altri si aspetteranno un pogo in un concerto punk. Definire l’Aikido è una cosa complessa, basta riunire 10 insegnanti attorno a un tavolo e porre loro la domanda, si otterranno 10 risposte diverse.

Un’arte marziale, un percorso spirituale, un’attività fisica, un mezzo per la socialità… Come possiamo dare una proposta chiara se neanche gli insegnanti sanno di cosa parlano?

Alcuni tipi di pratica hanno fatto le loro scelte molto tempo fa e hanno una chiara identità: lo Yoshinkan è la corrente basata sull’insegnamento di Gozo Shioda, l’Iwama Shinshin Aiki Shurenkai è la corrente di Hitohiro Saito, c’è anche una corrente che fa pratica competitiva, l’Aikido Shodokan di Kenji Tomiki.

Gozo Shioda, Kenji Tomiki, Minoru Mochizuki, Kisshomaru Ueshiba, Koichi Tohei, Morihiro Saito

Tuttavia, sebbene esistano alcuni stili e questi dichiarino la loro filiazione, molti di più scelgono di nascondersi sotto il nome generico di Aikido. Qui è dove possiamo trovare tutto e il suo contrario. Negli ultimi 20 anni, ho visto più pratiche esterne integrate nell’Aikido che in qualsiasi altra disciplina: difesa personale, krav maga, jujutsu, jodo, kenjutsu, shuriken, iaido, systema e così via.

Non fraintendetemi: ognuna di queste discipline o scuole sono ottime e sicuramente molto interessanti da studiare, ma qual è il loro interesse per lo studio dell’Aikido?

La più grande trovata di alcuni insegnanti è stata quella di far credere alla gente che per avanzare sulla via dell’Aikido era bene praticare tutto tranne l’Aikido. E questo è stato possibile solo perché l’Aikido presenta un livello di illeggibilità dei suoi strumenti e delle sue potenzialità tecniche. Più di ogni altra cosa, questo mostra anche una mancanza di capacità di comprendere e insegnare l’Aikido.

Avendo accettato tutto e fatto tutto in nome dell’apertura mentale e dell’armonia, sono bastate meno di 3 generazioni dopo la morte di O’Sensei perché l’Aikido perdesse il suo contenuto. Quindi, sì, oggi penso che dobbiamo confermare e ristabilire il lignaggio della pratica dell’Aikido.

Presenterò un esempio per illustrare il mio assunto. Il furto di tecniche nella pratica delle armi non è mai stato così evidente come in questo periodo, e questo per il semplice motivo che l’isolamento e il distanziamento sociale ne fanno uno strumento di prima scelta.

Questa è una cosa buffa, quando ci si ricorda che 20 anni fa la pratica delle armi non era affatto considerata un obbligo per la progressione in Aikido. All’improvviso gli “insegnanti” sono andati a vedere dove esistevano le armi… e per molti questo è stato nel catalogo delle armi di Iwama.

Dove questo diventa problematico, tuttavia, è che gli insegnanti virtuali si sentano offesi – e spettatori e seguaci insieme a loro – quando si pone la domanda: “Chi ti ha insegnato questi movimenti?”.

Se si prende parte del catalogo specifico del curriculum di una scuola o di un insegnante, allora la legittimità va alle persone che hanno seguito quell’insegnamento. Dire che un certo insegnamento è sbagliato non mostra una mancanza di modestia o apertura mentale, ma un profondo rispetto per gli anziani e il lavoro che hanno svolto – e anche per tutti i praticanti che saranno ingannati da questo lavoro privo di qualsiasi significato.

Quindi, sì, oggi per aiutare l’Aikido, penso che ristabilire la filiazione sarebbe una buona cosa. Questo, purtroppo, metterebbe in evidenza un altro punto che pone un problema nell’Aikido, ovvero la reale competenza degli insegnanti… ma di questo ci occuperemo più avanti nell’articolo.

Traccia N ° 2: Perdita del senso marziale

Il primo punto ci ha permesso di mostrare che esiste un’ambiguità nella pratica dell’Aikido. Questa vaghezza porta direttamente alla perdita del senso marziale.

Prima di andare oltre, è meglio parlare un po’ dei punti tecnici. I punti tecnici sono la base per l’apprendimento delle tecniche e questo per due ragioni principali:
– Sono ciò che rende specifica una tecnica.
– Sono elementi di ciò che collega le tecniche. Questo legame è ciò che unisce diverse tecniche, ovvero il Ri-Ai che permette di costruire passo dopo passo il concetto di Takemusu.

Lasciamo per il momento la questione dei punti tecnici e torniamo al nostro capitolo n°2 e alla perdita del senso marziale.

Oggi l’immagine dell’Aikido soffre di una perdita di credibilità dal punto di vista “marziale”. Di conseguenza, molti vanno alla ricerca di nuove tecniche nelle discipline che sono considerate con favore dagli allievi (systema, krav maga, MMA). Se un insegnante si mostra in compagnia di un praticante di una di queste discipline, nell’inconscio collettivo diventa un praticante marziale.

La realtà marziale di qualsiasi pratica odierna ha più a che fare con una fantasia basata sull’idea di marzialità che con l’applicazione “efficace” dei principi specifici della disciplina.

È una cosa triste dover giustificare la propria pratica attraverso quella degli altri (per quanto rispettabili come discipline a sé stanti), è triste perché questo è semplicemente il risultato della perdita di conoscenze tecniche. Per illustrare il mio assunto userò due tecniche come esempi, kaiten nage e ikkyo omote.

Nel primo, un punto tecnico essenziale è mettere la mano sulla sommità del cranio. Pochi lo sanno e quindi diventa irrilevante mettere la mano sulla sommità del cranio, sul collo o anche afferrare il colletto del  keiko gi, purché la caduta sia presente e se possibile alta e spettacolare, il che rafforzerà l’impressione di fare la tecnica bene.   

Tuttavia, se si ha una piena comprensione delle tecniche, non c’è dubbio che posizionare la mano sul cranio permette di raggiungere la forma marziale.

Raggiungere la forma marziale significa usare la leva applicata attraverso la cervicale per spingere la testa di uke a terra e non semplicemente lasciarlo cadere in sicurezza. La caduta è una concessione pedagogica e di sicurezza e non lo scopo della tecnica. Se non lo si capisce, però, ci sarà bisogno di sviluppare altri modi per diventare marziali: dare una ginocchiata alla testa per evitare che uke ruoti, fare un tenkan più grande per aumentare l’impressione di potenza nella caduta… Ma tutte queste risposte, tutti questi casi marziali sono solo abbellimenti per una semplice realtà: la conoscenza tecnica è andata perduta. Allora diventa normale reinventarne le ragioni senza capire veramente cosa si sta facendo.

Ecco un secondo esempio della mancanza di comprensione che si trova regolarmente nella pratica dell’Aikido. Questa volta studiamo il tempo 2 in ikkyo omote.

Se il tempo 1 nell’esecuzione tecnica di ikkyo omote corrisponde allo squilibrio anteriore, il tempo 2 è lo squilibrio posteriore. Uno dei punti tecnici importanti per questo momento specifico della tecnica è: “Entra con la gamba posteriore (NB: la gamba posteriore al tempo del primo passo) nella direzione del piede di uke (NB: il piede posteriore se consideriamo la sua posizione iniziale in hanmi)”.

La perdita di questa pratica ha diverse conseguenze:
⦁ Se lo squilibrio frontale viene mantenuto, bisogna tirare uke e tori per portarlo a terra deve fare grandi passi. Ciò cambierà anche l’angolo del braccio che dovrebbe essere a 90° rispetto al corpo – e che senza utilizzare lo sbilanciamento posteriore non sarà più così – il che comporta una modifica tecnica dei tempi successivi.
⦁ A causa della perdita di questa conoscenza marziale, l’elemento “verso il suo piede” in condizione marziale diventa “sul suo piede/caviglia”.

Gli esempi precedenti dimostrano come nella pratica più elementare dell’apprendimento dei punti tecnici – nascosti dietro il velo della pedagogia e della sicurezza – si trovano applicazioni tecniche marziali. Perdere la comprensione e la corretta esecuzione delle tecniche corrisponde a perdere il senso marziale e ci lascia con l’avere due sole scelte:

  1. Inventare per trovare soluzioni.
  2. Prendere in prestito elementi da altre discipline.

In entrambi i casi, tuttavia, l’Aikido come disciplina a sé stante soffrirà della perdita del senso marziale e anche la sua immagine ne risentirà.

Traccia N ° 3: Scomparsa dell’aspetto fisico della pratica

La prossima linea di pensiero potrebbe essere affrontata anche dal punto di vista della marzialità nella pratica, ma la estenderemo all’intera pratica dell’Aikido.

L’Aikido è una disciplina fisica. In questo senso, la sua pratica e progressione sono intimamente legate all’uso del corpo. Per essere del tutto chiari, poiché il formato di questo post non consente di sviluppare il discorso ulteriormente, molti praticanti non hanno un corpo pronto per praticare e ricevere la pratica dell’Aikido.

L’Aikido si è sviluppato e oggi si presenta come un’arte dell’armonia, della pace, nella migliore delle ipotesi di difesa personale… Tuttavia, prima di tutto, l’Aikido è una pratica fisica. Molti dei suoi elementi sono scomparsi rendendo l’Aikido contemporaneo spesso ad immagine del corpo dei suoi praticanti: debole e instabile.

Non desidero che ci siano malintesi, non sto insultando nessuno, ma è da molto tempo che ci troviamo in un circolo vizioso di nostra creazione.

Come altre arti marziali, l’Aikido era normalmente una disciplina praticata tutti i giorni, vale a dire che gli studenti di Aikido si allenavano ogni giorno e più volte al giorno. Quando non si allenavano, si occupavano di compiti o svolgevano un lavoro spesso più fisico di oggi.  

Gli allievi facevano molto più tanren, esercizi di rafforzamento usando gli strumenti per la pratica dell’Aikido. Alla fine, dopo alcuni anni, questo rendeva gli studenti “adatti” all’allenamento, sia in senso attivo che passivo – perché quando parlo di pratica e rafforzamento non parlo solo di forza bruta ma anche di mobilità. 

Morihiro Saito – Esercizi di tanren

Oggigiorno molti pensano che praticando 2 o 3 volte da 1h30 a 2h alla settimana potranno forgiare il proprio corpo fino a farlo diventare il loro principale strumento di progressione. Ciò sarebbe possibile se l’allenamento proposto richiedesse al corpo di adattarsi a delle difficoltà. In poche parole, la base dello sviluppo e dell’adattamento è proporre una difficoltà a cui il corpo deve adattarsi, per essere in grado di essere più a proprio agio quando si verifica la prossima occorrenza di questa difficoltà.

Nell’attuale tipo di allenamento, che si basa al 90% sulla pratica dinamica (ki no nagare o awase), gli allievi stanno il più possibile alla larga da tutte quelle difficoltà che consentirebbero al loro corpo di svilupparsi. Quando c’è un problema, molto spesso la colpa ricadrà su uke che non ha seguito correttamente. Il problema viene quindi considerato come se uke crea uno spirito negativo nella sua pratica o a livello di pratica per tori, quando è invece tori che non è ancora abbastanza avanzato per un “ki no nagare perfetto”.

Di conseguenza, l’Aikido si è trasformato non in un’arte marziale, un’arte basata sulla pratica corporea, ma in una disciplina intellettuale e intellettualizzata. Non conosco alcuna disciplina fisica seria che non consideri la cura del corpo, il suo allenamento e il suo mantenimento. Alcune scuole hanno mantenuto la pratica del Tanren, altre del Taiso, pochissime di entrambi e nessuna come parte integrante della pratica. 

Un’ultima riflessione su quanto sopra: non è perché si paga la quota associativa, ci si procura il certificato medico e il keikogi e poi si sale sulla materassina che si è pronti a dare e ricevere la pratica. Secondo me, questo è un importante punto di riflessione per il futuro.

Traccia N ° 4: Abilità pedagogiche degli insegnanti

Hiroshi Tada durante una delle sue presentazioni teoriche sull’Aikido (Copyright 
International Aikido Federation )

L’ultimo punto che vorrei sollevare è abbastanza delicato, ma va comunque affrontato.

Attualmente molti insegnanti non hanno più le capacità per trasmettere l’arte dell’Aikido. Una volta raggiunto il 1° o il 2° dan, molti diventano insegnanti per loro volontà o per necessità, per la sopravvivenza del loro dojo. Sfortunatamente, la maggior parte di questi nuovi insegnanti non ha le capacità per trasmettere l’Aikido e si trova rapidamente di fronte a un dilemma. Un giorno gli studenti inizieranno a fare domande: quel giorno l’insegnante ha poche scelte, ma ognuna di queste scelte influenzerà la sua vita di maestro per molti anni a seguire.

  • Scelta n° 1: rispondere entro i limiti della conoscenza per la quale si è stati valutati.
  • Scelta n° 2: rispondere che non ha la risposta alla domanda.
  • Scelta n°3: rispondere con la comprensione che si pensa di avere.  

Diamo un’occhiata ai motivi per queste risposte e alle loro conseguenze, partendo dalla scelta n° 1.

È risaputo che un insegnante può guidare o esaminare uno studente per gradi fino a 2 livelli inferiori al proprio. Ad esempio, un 2° dan può esaminare un 1° Kyu, un 3° dan può esaminare un 1° dan e così via. Sebbene questa non sia una regola scolpita nel bronzo, è importante che ci si facciano delle domande e si comprendano le ragioni sottostanti.

Capire richiede tempo. Spesso è solo dopo diversi mesi o addirittura anni dopo aver ottenuto un grado che raggiungiamo i requisiti reali per quel livello di pratica. Pertanto è necessario lasciare del tempo tra la convalida tecnica di un livello e il possesso della capacità di insegnare questi elementi tecnici. C’è un continuum di progressione:

IMPARARE -> CAPIRE -> TRASMETTERE

Accettare la scelta n° 1 richiede diverse cose da parte dell’insegnante. La prima è che sia consapevole del proprio livello di pratica. Conseguentemente, l’insegnante deve prendere parte a una continuità di apprendimento per poter continuare a progredire, aumentando contemporaneamente la sua capacità di praticare e insegnare.

Parte di questa scelta è il fatto che alcune domande non riceveranno risposta se non più avanti nella pratica. Accettare il proprio livello significa accettare che non si hanno tutte le risposte.

Questo ci porta alla scelta n° 2, quella dell’insegnante che non ha la risposta e lo dice.

Questo rchiede chiarezza su ciò che l’insegnante sa, su ciò che pensa di sapere e su ciò che dà l’impressione di sapere. La distinzione è sottile ma a volte fa tutta la differenza, quando si tratta di trasmettere qualsiasi pratica nel corso del tempo.

A mio parere, questa scelta richiede due punti essenziali:

  • Avere una persona di riferimento a cui rivolgersi in caso di necessità, per continuare ad apprendere o a cui porre domande.
  • Essere in grado di spiegare e dire chiaramente cosa è cosa, quando si tratta di presentare una ricerca o riflessione personale, o di praticare le basi.

Avere un approccio riflessivo, fare ricerca non è affatto male se costruito su basi sufficientemente solide. Con questo approccio, tuttavia, la preoccupazione è che si possa far credere alla gente che la riflessione o la ricerca sono e devono essere per tutti.

Sokaku Takeda e Takuma Hisa fotografati insieme in occasione della consegna del Daito-ryu Aiki-jujutsu Menkyo Kaiden a Hisa nel 1939

Le tradizioni marziali classiche avevano una certificazione chiamata Menkyo Kaiden. I praticanti sono spesso al corrente del fatto che questo diploma convalida la completa conoscenza della scuola da parte dello studente che lo riceve. Ciò che è meno noto e forse più interessante è che l’ottenimento del Menkyo Kaiden permetteva agli studenti di sviluppare la propria consapevolezza della pratica, e questo con tutta la legittimità del nome della scuola. Ciò era possibile e accettabile solo perché lo studente che aveva conseguito il Menkyo Kaiden aveva tutte le basi tecniche per supportare la sua ricerca e svilupparla a partire da lì.

Oggi la certificazione di tipo Menkyo Kaiden è scomparsa, mentre sono emersi due comportamenti. Il primo è l’incapacità di distinguere tra l’apprendimento di base e la conduzione di una ricerca personale.

Come ho detto sopra, la riflessione e la ricerca sono una buona cosa, ma tutti coloro che hanno avuto questo approccio sanno che una fase della propria ricerca e riflessione non porta necessariamente qualcosa di positivo per la pratica. A volte quella ricerca viene abbandonata poco dopo che la riflessione è avvenuta. E questo può creare confusione per gli allievi.

Consideriamo una situazione a cui ho avuto più volte modo di assistere.

Esperienze pratiche a coppia con il jo

Un insegnante approfitta di un seminario per “insegnare” la sua ricerca senza specificare che è la sua corrente ricerca. I praticanti tornano a casa, al loro dojo, alla loro pratica e prendono la pratica proposta al valore nominale, anche se viene abbandonata pochi giorni dopo dall’insegnante, il quale potrebbe essere giunto alla conclusione che non produce nulla o che la sua ricerca lo ha portato in un vicolo cieco. Questa è un classico.

Un’altra situazione, ancora più frequente, è quando l’insegnante nel suo insegnamento regolare, lezione dopo lezione, progredisce nella sua riflessione senza specificarlo. Di conseguenza, gli allievi che seguono il suo insegnamento lo comprendono come il loro progresso e non come insegnamenti che corrispondono alla ricerca del loro insegnante . La differenza è sostanziale e sottolinea un concetto importante quando si tratta di insegnare: un maestro deve insegnare in modo che tutti progrediscano al loro livello e non per mostrare il proprio livello di pratica.

Esistono opportune occasioni in cui l’insegnante può offrire quanto sopra, lezioni per avanzati, corsi per cinture nere… Non importa il nome, ma due cose devono essere essenziali:

  • Gli studenti dovrebbero avere un livello di pratica delle basi sufficiente.
  • Gli studenti dovrebbero essere consapevoli che ciò che viene proposto è una ricerca personale.

E qui arriviamo alla scelta n° 3. Se un insegnante risponde alle domande sulla base della sua ricerca o di una comprensione teorica o parziale delle cose, il rischio di perdere conoscenze e cambiare la pratica sarà tanto maggiore quanto più basso sarà il livello del docente e della sua riflessione teorica.

È evidente perché è complicato mantenere un livello di pratica che non diminuisca gradualmente nel tempo.

A questo punto, facciamo tutti un po’ di esame di coscienza, per il bene nostro e dei nostri allievi, e cerchiamo di essere onesti riguardo alle nostre scelte davanti a tutte quelle domande a cui dobbiamo rispondere e a ciascuna delle spiegazioni che diamo.

Credo che oggi la perdita del contenuto marziale e della conoscenza vada di pari passo con la mancanza di umiltà degli insegnanti. Non si tratta di essere di mentalità aperta, come sentiamo dire qua o là, ma, al contrario, di non essere consapevoli dei propri limiti e di quelli della nostra pratica.

Come insegnanti, siamo responsabili del nostro insegnamento e del progresso dei nostri studenti.

Copyright Matthieu Jeandel © 2020
Tutti i diritti riservati. Qualsiasi riproduzione non espressamente autorizzata è severamente vietata.

La foto principale dell’articolo è di Richard Payne

Matthieu Jeandel – Bio

Mi chiamo Matthieu Jeandel e ho iniziato a praticare Aikido nel 1999 con Serge Merlet presso la Belfort Combat School.

Serge Merlet era un praticante appassionato, uno studente di Tadashi Abe, Minoru Mochizuki e Yoshio Sugino sensei, che aveva raggruppato nella sua scuola Aikido, Katori Shinto Ryu, Karate, Yoseikan Jujutsu. Tutti gli studenti avevano fin dall’inizio un’apertura a diverse discipline marziali.

Fu nel 2001 che incontrai colui che sarebbe diventato il mio maestro: Philippe Voarino, allievo di Morihiro Saito a Iwama. Sono poi rimasto come Uchi Deshi nel suo dojo privato per diversi mesi per iniziare il mio apprendimento dell’Aikido secondo l’insegnamento di Morihiro Saito.

Gli anni sono passati, gli stage si sono susseguiti e negli anni ho ricevuto il mio 2°, 3°, 4° dan e nel 2011 il 5° dan da Philippe Voarino e Alain Grason.

Da più di 15 anni ho l’opportunità di viaggiare in Francia, Europa e molte volte in Asia per insegnare e trasmettere la conoscenza che ho ricevuto sotto l’egida del gruppo Takemusu Union ( https://takemusu-union.com/ ) per cui svolgo stage tecnici e formazione pedagogica di Aikido.


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