Aikikai Torino – Intervista a Giancarlo Ratti


Nel ventennio a cavallo tra anni settanta e novanta, Giarcarlo Ratti ha costituito una importante figura di riferimento per lo sviluppo dell’Aikido in Piemonte e nel nord Italia. In questa intervista del 1990, Giancarlo ci racconta del suo ruolo come leader dell’Aikikai Torino, del suo rapporto con Yoji Fujimoto sensei e delle sue prospettive e sensazioni sull’Aikido in Italia

di SIMONE CHIERCHINI

Lo sviluppo dell’Aikido nella cilia di Torino è ormai capillare. Frutto di programmazione, caso, o che altro ancora? Ascoltiamo il Maestro Ratti, che è e a buon diritto paradigma della realtà piemontese.

CHIERCHINI
Dati biografici di Giancarlo Ratti: età, anni di pratica nell’Aikido, Maestri, esperienze nel panorama aikidoistico torinese.

RATTI
Ho compiuto 42 anni ad agosto. L’Aikido iniziai a praticarlo nel 1973, a settembre, nel Dojo che allora era diretto da Pipitone. Ho continuato con lui per circa due anni, fino al secondo kyu. Successivamente mi sono spostato in un’altra palestra, di cui il Responsabile era Prella, la Palestra Francia. Dopo due o tre anni la palestra trasferì  la propria sede in via Asti. Il Responsabile era sempre Prella, ma si insegnava un po’ a turno perché il Dottore aveva i suoi impegni, lavorando già da allora a Roma, e quindi non poteva seguire con continuità le lezioni. Da via Asti la palestra passò poi a Moncalieri, ove abbiamo avuto la nostra sede per quattro anni. Finalmente poi abbiamo trovato la sala che ospita il nuovo Dojo, l’Aikikai Torino.

Avremmo dovuto pensarci prima, ma alla fine ci siamo decisi per questo grande passo: adesso abbiamo un Dojo tutto nuovo, ove speriamo di poter portare avanti un certo modo di fare Aikido, con tranquillità e senza condizionamenti esterni che limitino il nostro modo di far vivere agli allievi il loro Dojo.

CHIERCHINI
Insomma sono diciassette anni di storia, un cammino anche assai movimentato, che comprende rapporti con personaggi che a vario titolo sono entrati a far parte della storia dell’Aikido in Italia. Un quesito che vorrei porti è che cosa ricordi del tuo primo Maestro, Claudio Pipitone — un uomo che quasi tutti hanno sentito nominare, ma ormai pochi hanno conosciuto personalmente.

RATTI
Le sensazioni che ho nel parlare di nuovo di Pipitone sono un po’ contrastanti, nel senso che da un lato quello che mi ricordo di lui è molto positivo: le basi dell’Aikido bene o male ce le ha date lui. È stato Pipitone che ci ha insegnato, per esempio, il senso di rispetto per il Dojo, che ci ha detto “Il Dojo è vostro e quindi dovete mantenerlo pulito e occuparvi che tutto sempre funzioni”. Discorsi del genere allora nel campo delle Arti Marziali non li faceva nessuno; investivano aspetti al di fuori della pratica, del campo meramente tecnico, fondamentali per una regola di comportamento personale. Inoltre in rapporto al livello di allora, a mio avviso Pipitone era molto bravo tecnicamente, e questo mi sento di confermarlo anche oggi.
Parlavo di sentimenti contrastanti: in un angolo della mia memoria c’è anche un suo periodo nero, di cui non è qui il caso di parlare, da cui Pipitone uscì come perso. In ogni caso comunque di quell’uomo mi rimangono più ricordi positivi che negativi; quello che non andava in lui mi spinse poi a cambiare Dojo: lui non stava bene e noi eravamo costretti a far lezione. Eravamo appena 2° kyu e quindi ci trovavamo ad essere assolutamente impreparati e pieni di tensione.

Giancarlo Ratti qui ripreso con la moglie Graziella

CHIERCHINI
Ci fu allora il passaggio ad una fase nuova, caratterizzata dalla presenza di un’altra figura molto importante per l’Aikido a Torino, il dott. Piergiorgio Prella. Quale è stato il suo ruolo nella diffusione dell’Aikido nella vostra citta?

RATTI
Con l’esperienza di Aikido che avevamo noi in quel periodo, con l’importanza che avevamo allora nell’Aikikai, se non ci fosse stato il dott. Prella a prendere la Responsabilità del Dojo e a coordinare fisicamente l’attività aikidoistica, probabilmente avremmo avuto parecchie difficoltà a continuare a praticare. Prella ci ha consentito di resistere in un momento molto difficile.

CHIERCHINI
E anche di crescere.

RATTI
Certo, anche di crescere, suo malgrado. Proprio allora cominciava ad essere impegnato fuori Torino, e noi che eravamo tra 1° kyu e cintura nera abbiamo preso a far lezione in modo continuativo.

CHIERCHINI
In che periodo siamo?

RATTI
Siamo nel 1978. Avevo appena conseguito lo Shodan, e, come tutti una volta arrivati al 1° Dan, mi sentivo motto bravo. Fare lezioni mi dava importanza nei confronti degli altri, ma aumentava anche il mio senso di responsabilità. Stavo vivendo quel momento in cui ci si illude di essere i migliori, e quindi si commettono gli errori più vistosi. Grazie a questi errori però si puó arrivare a capire a che punto si è, perché i Maestri, che hanno cominciato a notarti, se sbagli come allievo sono critici in una certa misura, se lo sbaglio è commesso da insegnante, la critica è più severa. Quel periodo dunque per me fu molto costruttivo.

CHIERCHINI
Il recente passaggio alla nuova palestra ti ha definitivamente responsabilizzato, anche se condividi gli oneri dell’insegnamento con tua moglie Graziella e con Isidoro Zaninello. La nascita dell’Aikikai Torino vuol forse significare che quel qualcosa che ti mancava fino a qualche tempo fa, oggi senti di possederlo?

RATTI
Questo nuovo Dojo non vuole costituire un riconoscimento di alcun genere nei miei confronti. Anche perché moralmente io mi sono sentito sempre molto impegnato nel dare agli altri quello che sapevo, poco o tanto che fosse. Questo in tutta sincerità. Mi sono sentito sempre molto impegnato nel prendere quello che ci davano i Maestri e nel cercare nell’ambito delle mie possibilità di comunicarlo agli altri. Quindi anche quando non ero Responsabile di Dojo, in quel senso io mi sentivo responsabile. Il Dott. Prella spesso non c’era, e quindi nel vecchio Dojo si faceva lezione a rotazione Traina, Zaninello ed io; già da allora sentivo l’importanza di quello che facevo. Quello che è cambiato rispetto a quella situazione è che in questa nuova palestra, al di là della Responsabilità dell’insegnamento, c’è tutto quello che dovrebbe costituire un vero Dojo: quegli ingredienti che noi speriamo lo portino ad essere tale, se non lo è gia. Di che si tratta? Del contatto con gli allievi, della sensazione di trovarsi bene, non solo facendo Aikido. Finito l’allenamento ci si ritrova, si può andare a cena fuori, si può fare una gita, si può parlare, ci si può fermare nel Dojo. Questo è cambiato, non il fatto di sentirsi più o meno Responsabile. Per quanto mi ricordi, la responsabilità che ho messo nella pratica non è mai stata diversa da quando sono divenuto Shodan ad adesso.

CHIERCHINI
Questo lungo percorso ha avuto il patrocinio spirituale di un grande Maestro, Fujimoto Sensei. In che misura vi ha soccorso un appoggio di questo tipo, da allora fino ad oggi?

RATTI
Non vorrei che le mie parole sapessero di sviolinatura!

CHIERCHINI
Non ti preoccupare: non gliele faremo leggere!!

RATTI
Beh, il fatto è che io non posso che dire il massimo del Maestro Fujimoto. Mi rincresce comunque che per motivi contingenti, geografici, non sono riuscito a seguire con la medesima intensità l’altro grande Sensei che abbiamo in Italia, il Maestro Hosokawa.
Considero Fujimoto Sensei il mio Maestro, nel senso che ritengo di interpretare col mio modo di stare sul tatami il suo pensiero, che è l’espressione di una cultura diversa dalla nostra, quella giapponese. E qui vorrei fare una parentesi, e parlare di un tema che mi sta molto a cuore. Alcuni al giorno d’oggi cominciano a dire in giro: “In fondo siamo Italiani, dovremmo quindi fare Aikido in modo italiano”. Non dico che questo discorso sia errato in modo assoluto; e infatti se è vero come è vero che l’Aikido è un’espressione di cultura e tradizione del Giappone, non per questo motivo dobbiamo diventare tutti con gli occhi a mandorla o metterci a fare i giapponesi più dei giapponesi, come fa qualcuno. D’altra parte dobbiamo accettare l’Aikido come espressione essenzialmente giapponese; quindi dobbiamo imparare questo modo di comportarci e di pensare.

Yoji Fujimoto sensei (1980)

Quindi, tornando al discorso di prima, il Maestro per me è la mia guida; se lui mi ha fatto una critica, mi ha suggerito di agire in un certo modo, di cambiare una mia scelta, io non ho mai neppure pensato se quello che mi proponeva era giusto o sbagliato, perché per me era giusto per partito preso. Il mio Maestro mi diceva di fare cosi. A distanza di anni penso che i fatti diano ragione a questo mio modo di essere. Bene o male sono arrivato al III Dan, bene o male il Maestro continua a considerarmi, a dirmi, se sbaglio: “Guarda che stai sbagliando”. Fin quando il Maestro mi dirà “Questo proprio non l’hai capito”, insomma finché mi farà una critica, per me sarà tutto di guadagnato. Nel momento in cui smetta di farlo, forse anch’io non avrò più niente da dire. Così io vedo il rapporto Maestro-Allievo.
L’aiuto più diretto ci è giunto dal Maestro Fujimoto che ci ha sempre un po’ spinti e un po’ frenati in tutto quello che abbiamo intrapreso. Se ci siamo decisi a buttarci nell’impresa del nuovo Dojo, nonostante le difficoltà di ogni ordine e grado che ci si prospettavano, e perché il Maestro ci ha detto chiaramente che era ora di fare questa scelta. Forse da soli non ci saremmo mai decisi.

CHIERCHINI
Adesso anche tu sei un Maestro. Pensi che sia possibile educare i propri allievi a seguire la stessa linea di condotta che hai adottato tu con il tuo Sensei?

RATTI
Sentirmi dire che sono un Maestro mi fa sempre scappare un po’ da ridere.

CHIERCHINI
I fatti comunque lo attestano: ormai insegni da dodici anni…

RATTI
Con i miei allievi, e specialmente con i principianti, io mi preoccupo sempre di fare una precisazione: io non sono un Maestro, sono un lnsegnante. Non so se questo possa cambiare qualcosa per loro. Per me è molto diverso, perche il Maestro io lo considero un uomo di un certo livello: non voglio giudicarmi da solo, né apparire un falso modesto, ma mi considero un insegnante e come tale sono sicuro di fare il massimo possibile per dare quello che so.

Sentirmi Maestro? Bah, non lo so. Non credo proprio che debba essere affar mio. Anche nei rapporti con gli allievi mi riferisco sempre al modello fisso del Maestro Fujimoto. Tanti comportamenti che ho con i ragazzi nel Dojo forse non li avrei se seguissi solo il mio istinto naturale. Di solito io non parlo molto, da buon piemontese sono un po’ chiuso; l’abitudine di stare in continuo contatto con gli allievi mi è stata insegnata dal Maestro Fujimoto. Bisogna comunicare con loro, capire cosa vogliono, correggere uno spronandolo e un altro per il medesimo problema vezzeggiarlo, e così via.

CHIERCHINI
Vorrei parlare adesso di alcune tematiche a livello nazionale: cosa ne pensi ad esempio dell’assistenza che l’Aikikai d’Italia offre ai propri istruttori, sia a livello organizzativo che a livello didattico?

RATTI
Per quanto concerne l’organizzazione non ho proprio nulla da ridire, perché per come è strutturata attualmente, l’Aikikai mi sembra funzioni più che bene. Vi sono delle persone che danno molto senza averne in cambio niente, a volte neppure un grazie. Essi offrono il proprio tempo per attività che non danno soddisfazioni a breve termine. Non l’impegno di chi fa lezione, che risulta immediatamente gratificato dal fatto che gli allievi rispondano alle direttive. Il lavoro organizzativo è piccolo, nel senso di minuto, continuo, gravoso e quasi sempre senza gratificazioni. Un impegno del genere io non mi sentirei mai di prenderlo, perche è enorme. In fondo, come tanti altri sono un grosso egoista. Il lavoro assiduo di chi poi nelle assemblee finisce anche per essere maltrattato, è una cosa veramente ingrata. Insomma dell’organizzazione Aikikai sono assolutamente soddisfatto.
Per quanto riguarda il rapporto didattico Aikikai-Istruttori, durante una delle ultime assemblee dell’Associazione, molti Soci hanno richiesto una maggiore considerazione da parte dell’Aikikai nei confronti dei Maestri italiani. C’è qualcosa però che non mi sembra filare: si aspetta sempre che siano gli altri a darci qualcosa. E qui ritorno al Maestro Fujimoto, il quale ci ha insegnato che se vuoi una cosa devi rimboccarti le mani e fartela da te. Vogliamo che l’Aikikai funzioni meglio? Ebbene rimbocchiamoci le maniche e al lavoro. Come? Facendo Aikido. Non c’è altro sistema. E se a qualcuno non piace come vanno le cose, si dia da fare, ma con i fatti, non con le chiacchiere. È inutile stare sempre e comunque a criticare il lavoro che fanno gli altri. Troppo comodo signori!

CHIERCHINI
È vero che a Torino in un passato anche abbastanza recente l’ambiente aikidoistico Aikikai ha vissuto al proprio interno un momento di convivenza non proprio pacifica?

RATTI
Non è che si tratti di un problema così importante, ne credo vada limitato alla nostra citta. Fondamentalmente si può ridurre il tutto ad una sola parola: egoismo. Ognuno, me compreso, è geloso di quello che fa, ed un po’ invidioso di chi si impegna di più. Se tutti fossimo un tantino più tranquilli, sereni, se si evitasse la critica distruttiva, se si fosse più disponibili ad accettare quello che succede, se ci incontrassimo di più, molte cose andrebbero a posto.

CHIERCHINI
Mi risulta che gli incontri periodici tra gli aikidoka torinesi di diversi Dojo siano abbastanza diffusi.

RATTI
Certo, ma pare quasi che queste occasioni servano non per allenarsi insieme, ma perché ognuno possa mostrare quello che sa fare. Farsi vedere non significa fare Aikido assieme. Questa, voglio precisare, è una opinione strettamente personale.

CHIERCHINI
Come si inserisce nel panorama torinese il fenomeno dei recenti contatti con le altre Federazioni di Aikido? La convenzione tra Aikikai e UISP, gruppo ben presente nella vostra zona, ha portato a situazioni di reale avvicinamento?

RATTI
Recentemente alcuni allievi della U1SP di alto grado hanno preso a frequentare la nostra palestra. Ci hanno parlato di un disaccordo all’interno del Dojo UISP di Torino, e di una situazione alquanto caotica a livello gestionale. Per la mia esperienza posso quindi trarre queste conclusioni: più che di fusione con Ia UISP, vedo la possibilità di un travaso di allievi da loro a noi. Non che noi si sia più belli o i migliori, ma a sentire i loro ex-allievi, da noi hanno la possibilità di compiere uno studio più vario e approfondito; il rapporto maestro-allievo a più paritario; principianti e avanzati si allenano spesso insieme. Insomma quello che realmente ci differenzia e alla fine ci fa preferire è la nostra mentalità, il nostro modo di avvicinarci alI’Aikido, anche in presenza di un principiante. Mi pare di capire d’altra parte che gli insegnanti UISP non siamo molto propensi a realizzare l’unione con l’Aikikai. A loro fa comodo venire ai nostri Stages, perché sono diretti da grandi Maestri, ma ad alto livello non si muove nulla. Sono i loro allievi a chiedere di venire a praticare da noi; e noi dopo averlo concesso una tantum, abbiamo poi preteso l’iscrizione all’Aikikai d’Italia. Alcuni hanno rinunziato subito, altri si sono messi in regola e sono tuttora dei nostri.

CHIERCHINI
Giancarlo: attualmente sei III Dan, hai passato da poco i quarant’anni, sei un vero rappresentante di quella generazione di aikidoka che ha fatto esplodere l’Aikido a Torino; cosa ti aspetti dal tuo training futuro e cosa vedi per chi ti segue?

Giancarlo Ratti nel 2012 (Copyright Dojo Ken Yu Shin)

RATTI
Dal mio allenamento futuro mi piacerebbe trarre ancora un qualche miglioramento dal punto di vista tecnico; so benissimo però che per progredire sotto quel punto di vista il fisico deve funzionare perfettamente. Purtroppo l’età qualche acciacco lo porta, e con essi la pigrizia: la stanchezza è dietro l’angolo, e quindi non c’è sempre la forza di esprimersi al massimo. Ebbene io spero che i problemi fisici non mi portino ad essere pigro, che io possa sempre dare il massimo, fisicamente e mentalmente. Per quanto riguarda lo sviluppo degli aikidoka del futuro, dico sempre senza far complimenti che gli yudansha giovani sono veramente molto bravi. E dico non solo più bravi di noi quando eravamo I o II Dan; anche adesso in molte cose alcuni li vedo davanti a noi. Per me quindi il futuro è tutto rosa.

Fonte: Chierchini Simone, Giancarlo Ratti – Aikikai Torino, Aikido XX – N. 2 Dicembre 1990, Aikikai d’Italia

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