Il Saluto: Ma non Bastava un “Ciao”?


Il primo intervento di Fabio Branno su Aikido Italia Network ha scatenato un mezzo putiferio di commenti positivi e negativi e risposte contrastanti, finendo per risultare – ad oggi – uno dei più letti di sempre nel blog. Vediamo cosa succede con questo secondo articolo, in cui Branno tratta del saluto nelle Arti Marziali

di FABIO BRANNO

Recentemente qualcuno mi faceva notare che quando un principiante, col suo keikogi giallino, in genere immenso, sale per la prima volta su un tatami di aikido, sono molte le cose che lo straniscono, ma quella che noi insegnanti diamo assolutamente per scontato è il saluto.

Eppure se per un istante ci mettessimo nei panni e nella testa del nostro neofita, potremmo facilmente immaginare che vedere una schiera di gente accovacciata ad occhi chiusi in una posizione dolorosissima, in un ordine apparentemente casuale e invece rigoroso, che si prostra pronunciando uno strano gramelot giapponesizzante lascia quantomeno interdetti!

LA STORIA

Il rito del saluto è legato in maniera indissolubile alla gestualità dei campi di battaglia. Nel  Giappone Medieval le battaglie erano composte da una sequenza di duelli singoli, nei quali si cercava la gloria e la vittoria sconfiggendo (e decollando) rinomati guerrieri e generali nemici.

L’atto del saluto era legato alla presentazione di sè stessi all’avversario, enunciando a grande voce il proprio nome e reclinando di qualche grado il capo, come a dire “mi dispiace, ma ti devo ammazzare!”…Dal campo al dojo, il rituale assume nuovi significati. Il Sensei non era solito condurre esercizi di riscaldamento e preparazione, area che veniva solitamente devoluta al Sempai più anziano che, terminato il suo compito, faceva accomodare (in SEIZA, ovviamente!) l’arrivo dell’insegnante per proseguire la lezione.
L’insegnante entrava nella sala, si sedeva prima accanto agli studenti come per aspettare che lo Spirito del Fondatore incominciasse la lezione (ahhh lo shintoismo!), poi gli si inchinava, come per dire “Nonostante non sia te, cercherò di fare del mio meglio” e lo stesso faceva con la classe, che rispondeva inchinandosi a sua volta, in segno di rispetto per ciò che comunque avrebbero imparato da lui.

LA FORMA

Partendo in posizione di Seiza, con le mani sulle ginocchia, la schiena dritta ed il mento retratto, si poggia al suolo prima la mano sinistra, poi quella destra a formare un triangolo tra indici e pollici, verso il quale scende la punta del naso quando ci si inchina.
Si rialza lo sguardo, il capo, prima la mano destra e poi la sinistra.

Questo per tenere occupata il meno possibile la mano addestrata al combattimento.
Il saluto di inizio allenamento lo si fa pronunciando la formula “ONE GAESHI MASU”; che vuol dire, grossomodo, “Piacere di scambiare insieme”, ed alla fine si chiude con “ARIGATO GOZAIMASU”, “Grazie per lo scambio”.
Nel saluto al Fondatore, il Maestro si inchina per primo e si rialza per ultimo, al contrario, nel saluto al Maestro, lui si inchina per ultimo e si rialza per primo.

IL SENSO

Ok, abbiamo sviscerato un momento tutto il casino del rituale e le storielle sui campi di battaglia. In realtà ci sarebbero ancora tanti particolari, che prometto solennemente di risparmiarvi…. Ma dopotutto, oggi, che cosa rappresenta tutto questo salutarsi? Ma un “Ciao Maè!” non sarebbe sufficiente???

Il saluto è un interruttore. E’ il momento che sancisce un limite temporale, una frattura fra ciò che è fuori dal dojo e ciò che è dentro. Nel momento del saluto, la nostra mente deve riuscire a spegnere la luce su ciò che rappresentiamo per accenderla su ciò che siamo. Il sesso, il ruolo, l’età, la dichiarazione dei redditi, il moroso geloso, la moglie rompiscatole ecco….questa roba resta nella borsa. Insieme ai jeans e ai calzini…
Restiamo noi, resta il nostro corpo, il nostro sentire intorno a noi e dentro di noi.

Quando il maestro si inchina, il suo gesto sottende una domanda: “Dove siamo?”.
Quando l’allievo si inchina, il suo gesto sottende una risposta: “Qui ed Ora!”

Copyright Fabio Branno ©2011 
Ogni riproduzione non espressamente autorizzata dall’autore e’ proibita
Pubblicato per la prima volta su
http://aikidovivo.blogspot.com/2011/05/il-saluto-ma-non-bastava-un-ciao.html

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2 pensieri riguardo “Il Saluto: Ma non Bastava un “Ciao”?”

  1. Queste righe sono state buttate giù per i principianti che arrivano nei dojo. Molto altro si puó aggiungere a proposito del saluto, ma l’idea era dare giusto un messaggio che desse un senso a quello che sembra solo un rituale arrivato fino a noi, più nella gestualità che nel contenuto.
    Eppure c’è un altro messaggio nel messaggio…
    Quante volte diamo per scontato ció che non lo è? E se lo facciamo per i nostri allievi, non è forse possibile che lo facciamo anche quando si tratta di noi stessi?
    La difficoltà è proprio questa.
    Partendo col migliore presupposto possibile osserviamo attentamente il nostro lavoro attraverso il microscopio.
    Ma ci ricordiamo mai di controllare di tanto in tanto PROPRIO il microscopio???

  2. Bel Post Fabio! si se avessi una moglie rompiscatole sicuramente mi farebbe piacere lasciarla nella borsa coi calzini , fortunatamente non è così però diciamo che la dichiarazione dei redditi la lascio volentieri!

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