In questo periodo sono immerso nello studio dei “sensi naturali”, da noi, in occidente, comunemente ritenuti 5, cosa che è un’assurdità totale, visto che, semplicemente enumerando gli organi di senso, che sono comunque una cosa distinta dai sensi, ce ne sono molti di più, chi ha studiato anatomia ne è perfettamente a conoscenza
di VALENTINO TRAVERSA
Una premessa, forse per alcuni scioccante: nell’Aikido attuale io trovo ci sia ben poco Aiki, anzi, a questo punto, penso sia senz’altro arrivato il momento di “rimettercelo dentro”.
Ancora più scioccante: non sto parlando di un problema dell’Aikido italiano, o dell’Aikido “occidentale”, ma di qualcosa che vedo anche in madrepatria.
Ma entriamo nel dunque, cercando di usare il minor numero possibile di parole.
In questo periodo sono immerso nello studio dei “sensi naturali”, da noi, in occidente, comunemente ritenuti 5, cosa che è un’assurdità totale, visto che, semplicemente enumerando gli organi di senso, che sono comunque una cosa distinta dai sensi, ce ne sono molti di più, chi ha studiato anatomia ne è perfettamente a conoscenza.
Così, tornando a noi, ciò che voglio indicare non è specifico degli esseri umani.
Una quindicina di anni fa, mi trovai a fare snorkeling in una zona di mare sui 10 metri di profondità, esposta al mare aperto, verso il calar del sole e con “onde lunghe”, vale a dire con le onde che arrivano da mareggiate lontane.
La luce del sole entrava obliqua attraverso la superficie del mare, accentuando la visione prospettica, ogni singolo raggio pareva distinto dagli altri.
A un certo punto vidi qualcosa di interessante; avvicinandomi vidi che si trattava di una grande medusa, quella che viene chiamata “polmone di mare” di oltre un metro di lunghezza e larga una cinquantina di cm, caratterizzata dall’avere, sui tentacoli, palline di un blu spettacolare.
Mi ci avvicinai ancora, fino ad accarezzarne il cappello, che, in tutte le meduse, non contiene cellule urticanti.
La medusa stessa era inclinata rispetto alla superficie del mare, seguendo fedelmente l’inclinazione con cui arrivavano i raggi solari.
Solo a quel punto però, guardandomi attorno, vidi che non si trattava di un esemplare singolo, attorno, alla distanza costante di circa 10 metri l’una dall’altra c’erano meduse dello stesso tipo e dimensione, tutte con l’identica inclinazione rispetto alla superficie, tutte mantenevano esattamente la stessa distanza l’una dall’altra.
La sensazione che si provava era particolarissima, forse la cosa più vicina per esprimerla era il senso del sacro, quello che si avverte nelle grandi chiese, generato dalla scansione della luce tra colonne immense.
Adesso, che per via degli studi-corso che sto conducendo mi è stato chiesto di descrivere l’esperienza, mi sono reso conto che, non con le orecchie, era come se si percepisse tra loro un suono, qualcosa che metteva in comunicazione ogni medusa con le altre.
La cosa più vicina è l’overtone chanting che si studia durante Kinorenma, ma anche un canto gregoriano rende bene l’idea.
C’era, in sostanza, qualcosa di percettibile che legava ogni animale con gli altri, che li faceva muovere in maniera coordinata come gruppo.

Veniamo adesso ad un altro esempio, sul quale poi farò le mie considerazioni, gli stormi di storni [scusate lo scioglilingua] dei cieli di Roma.
Penso che siano ben conosciuti da tutti, spettacolo bellissimo al tramonto, quanto meno per chi non ha l’auto parcheggiata sotto gli alberi-dormitorio…
La coordinazione nei loro movimenti è evidentissima; l’interpretazione comune è che, di fronte ad un evento, come può essere quello dell’arrivo di un falco, uno o più uccelli percepiscano la minaccia e si muovano di conseguenza per allontanarsene, mentre gli altri uccelli seguono i primi.
Pensateci bene: anche questa è un’assurdità tremenda, perché, se così fosse, lo stormo si disintegrerebbe letteralmente, venendo a perdere a sua funzione di protezione dal predatore.
Quello che penso è invece un’altra cosa, ossia che, quando un uccello percepisce la minaccia, quell’uccello muova letteralmente gli altri uccelli intorno a lui, creando un onda di coordinazione che si trasmette attraverso l’intero stormo.
Il primo percettore utilizza proprio l’Aiki per muovere gli altri uccelli che sono intorno a lui, che è come dire che quell’uccello, in quel momento, diventa il tanden dell’intero stormo con cui è connesso attraverso l’Aiki.
Ora, per esperienza e vicinanza genetica, ciò che c’è negli animali c’è anche nell’uomo e viceversa, naturalmente in gradazioni e specializzazioni diverse.
Dunque, questo muovere e la controparte, l’essere mossi, c’è anche in noi.
Lo “storno tanden” comunica, evidentemente in modo istantaneo, agli altri esemplari intorno a lui, di essere diventato il “movente” e, automaticamente ed istantaneamente, con un processo che non attraversa il sistema della consapevolezza individuale degli altri storni, ma lo bypassa, gli uccelli intorno accettano il ruolo di essere mossi dal primo, un sistema eccellente per garantire la sopravvivenza dell’intero gruppo.
Se si riesce ad accedere all’uso di questo senso, un attaccante, senza capire come, può essere mosso dall’individuo tanden, senza che l’attaccante riesca a resistervi, perché la sua volontà è bypassata dall’Aiki, che agisce ad un livello “base” del sistema nervoso, più antico della corteccia celebrale.
Ora la questione è che questo è tutt’altra cosa dal “rompere la forza” che è quello che si fa comunemente durante la pratica in tanren, cosa utile per liberarsi, ma che poi, in una situazione reale, impedisce l’esecuzione della tecnica [se l’attaccante è reale, o scappa o attacca in modo diverso], ed è anche qualcosa di molto diverso dal “seguire” o armonizzarsi all’opponente che dir si voglia, che implica l’essere costantemente in ritardo, che sono invece le due attitudini largamente presenti nell’Aikido attuale.
Nota scientifica:
Quello che tu descrivi si chiama “flocking” ed e’ comune non solo tra uccelli e pesci ma anche tra uomini. Provate ad osservare una stazione dei treni, una folla in manifestazione, o uno stadio dall’alto e noterete che vi sono “onde armoniche” che coordinano il movimento delle singole unita’ (il cosiddetto fenomeno emergente che non e’ misurabile semplicemente assommando caratteristiche delle singole unita’) senza che queste deliberatamente decidano una strategia individuale. Qui parliamo di movimento ma il principio e’ valido in tantissimi altri ambiti. Le neureoscienze ti parlerebbero di neuroni mirror, ma e’ solo una parte del discorso… e per molti versi nemmeno interessante perche’ non chiarisce il nesso causale tra biologica e comportamento ma lo semplifica in chiave deterministica. Chi invece studia i sistemi complessi, i network, o simula il comportamento collettivo di unita’ biologiche ben comprende quanto dici e sa che ogni sistema (in senso generale) ha capacita’ di questo tipo che ancora non ci sono chiare… Aiki… forse…
Vi sono tre livelli (per semplificare molto il discorso) di ‘spiegazione’ scientifica. Il primo e’ l’associazione. Osservando due variabili notiamo che hanno un comportamento sincronico. Per semplicita’ escludiamo dal discorso la covarianza. Le variazioni di stato in una variabile corrispondono a quelle dell’altra. L’associazione misura l’intensita’ ma la direzione non ci e’ chiara. Il secondo livello e’ la correlazione. Nella correlazione osserviamo intensita’ e direzione come per l’associazione ma siamo in grado di distinguere le due variabili tra dipendente e indipendente laddove la direzione della mutazione avviene quando a fronte di un cambiamento di stato della variabile indipendente la dipendente muta ma non viceversa. Pur potendo descrive meglio il comportamento delle due variabili non siamo ancora ragionevolmente sicuri che non esista una spiegazione alternativa. La piu’ semplice alternativa e’ un’altra variabile detta interveniente che genera mutamenti in entrambe, ecc… Quando abbiamo escluso ogni ipotesi alternativa, quando abbiamo identificato perfettamente la direzione della correlazione e quando questa ha senso teorico (per esempio se anche l’innalzamento del livello dei mari e l’aumento del numero dei pirati sono fortemente correlate… mmm… non riesco a pensare a nulla di sensato), quando sappiamo che una variabile e’ davvero causa dell’altra allora abbiamo una causazione.
Nel caso delle neuroscienze sono molto rari i casi in cui si puo’ affermare una correlazione con comportamenti sociali. Prendiamo un esempio pratico. Una risonanza magnetica al tempo t su N soggetti nota una diversa morfologia di una particolare area del cervello e la frequenza della morfologia A e’ fortemente correlata ad un comportamento sociale (es: altruismo). Escludiamo dal ragionamento che il concetto di altruismo non e’ oggettivo ma inter-soggettivo e la sua misurazione varia ed essendo una variabile di tipo nominale discreta non continua (benche’ alcuni si sforzino di trasformarla magicamente in tale) un decente statistico si metterebbe a ridere di fronte ad un qualunque test di correlazione. Il punto dolente e’ la direzione che le neuroscienze danno per scontata. L’assioma di base delle neuroscienze pone il cervello al centro e pertanto i fenomeni sociali vengono sempre identificati come “probabili effetti” mentre la componente biologica e’ sempre e’ comunque la “possibile causa”. Pertanto, nel nostro esempio, questo assunto deterministico vuole che sia la diversa morfologia, nata magicamente da un pool genetico, a determinare l’altruismo. Ma dal punto di vista statistico (e anche biologico) si potrebbe assolutamente sostenere il contrario.
Ho premesso questo noioso intervento perche’ vorrei che riflettessimo sul nesso che tu descrivi: e’ davvero un singolo uccello che percepisce il pericolo o l’intero stormo e questa percezione di trasmette risuonando da un singolo individuo? Siamo piu’ o meno capaci di percezioni in gruppo o singolarmente?
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