
Si potrebbe cogliere in Ueshiba Morihei una sorta di contraddizione tra un messaggio di fratellanza universale ed una pratica quotidiana volta quasi esclusivamente ad un progresso individuale, ma è bene dire che le apparenze ingannano e che i due aspetti della questione sono tutt’altro che opposti ed anzi collimano tra loro in maniera complementare
di CARLO CAPRINO
“É multiforme
e ignora ogni confine,
è Aikido
manifestalo al mondo
in ogni corpo e mente!”
(Ueshiba Morihei)
Premessa
Sin dalla notte dei tempi, il nucleo fondamentale della società umana è stata la famiglia, intesa come insieme di persone unite tra loro da legami di sangue. La famiglia umana, pur fondandosi sulla necessità utilitaristica propria della natura animale, va oltre questa fondamentale contingenza e costituisce – o almeno dovrebbe – un rapporto tra membri fondato sull’istinto, sull’affetto e sulla ragione. Ovviamente, in tempi e luoghi diversi, l’istituzione familiare si è espressa con modalità differenti, ma le apparenti discordanze formali non mettono in discussione i principi sostanziali.
Alla luce della importanza della famiglia nella vita di ogni essere umano, non c’è da stupirsi se questa sia diventata anche una delle figure retoriche più utilizzate per indicare un consesso più o meno ampio di persone legate tra loro da un rapporto non necessariamente di parentela effettiva, ma comunque più stretto (e spesso vincolante) della semplice amicizia. Alla stessa maniera, anche i termini utilizzati per indicare persone con cui c’è un legame di sangue sono utilizzati anche per definire persone con cui si abbia una notevole confidenza, pur non essendoci alcun rapporto familiare in senso stretto. [1]
Quanto affermato sopra è vero nel colloquio quotidiano, e lo è ancor più nell’ambito di associazioni, ordini o gruppi di persone più o meno gerarchicamente organizzate per il raggiungimento di un fine comune; abbiamo così le tristemente note famiglie mafiose, ma anche gli iniziati ad Ordini esoterici o religiosi, che tra loro si riconoscono come “fratelli” e “sorelle”, come affermato – ad esempio – nel Salmo 133, conosciuto anche come “Canto delle ascensioni” che afferma: “Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme”, comprendendo nel termine di “fratelli” i membri della comunità religiosa, un concetto espresso in maniera più articolata da San Cirillo di Alessandria: “Quanti comunichiamo alla santa umanità del Cristo, veniamo a formare un solo corpo con lui… e quanto all’unione spirituale diremo ancora che come tutti, avendo ricevuto un unico e medesimo Spirito Santo, siamo, in certo qual modo, uniti sia tra noi, sia con Dio. Infatti, sebbene, presi separatamente, siamo in molti, e in ciascuno di noi Cristo faccia abitare lo Spirito del Padre e suo, tuttavia unico e indivisibile è lo Spirito. Egli con la sua presenza la sua azione riunisce nell’unità spiriti che tra loro sono distinti e separati. Egli fa di tutti in se stesso un’unica e medesima cosa” (Patrologia Greca 74, 559-562).

Nulla di nuovo sotto il Sol Levante
L’etimologia della parola “famiglia” [2] è da ricondursi al termine osco faama (casa), da cui il latino familia, cioè l’insieme dei famuli (moglie, figli, servi e schiavi del pater familias, il capo della gens). Pertanto, famiglia in senso stretto ed originario, significa “piccola comunità di persone che abitano nella stessa casa”.
Interessante notare, a questo punto, come il termine venga reso in Cina e Giappone utilizzando caratteri ideogrammatici che – come spesso accade – si rivelano ricchi di significati che vanno ben aldilà della mera traduzione letterale.
L’ideogramma cinese utilizzato per indicare la famiglia è 家 (lettura: Jià) e questa è la spiegazione dell’ideogramma [3] composto da due parti, quella superiore che indica un tetto e quella inferiore che rappresenta un maiale. Nella antica società rurale cinese, un uomo per potersi sposare doveva avere una casa ed almeno un maiale. Il carattere che indica il concetto di famiglia è quindi un maiale sotto un tetto. Nell’antica Cina, ogni casa aveva annesso un porcile, la cui dimensione era l’indicatore dell’agiatezza della famiglia che la abitava. Esiste però un’altra interpretazione del carattere, che è legata al concetto di “casa” e ad un’altra possibile traduzione dell’ideogramma sopra riportato, secondo la quale la casa era il luogo dove la famiglia riunita celebrava i riti propiziatori durante i quali veniva sacrificato un maiale.
Questi due concetti li ritroviamo nell’utilizzo dell’ideogramma 家 nella lingua giapponese; preso singolarmente (letture: ie, uchi, ya, ka, ke) può voler dire tanto “famiglia” quanto “casa” o “abitazione”. Più spesso però viene impiegata la coppia di kanji 家族; se i due ideogrammi vengono letti come kazoku [4] questo indica il concetto di un legame familiare di sangue, dove 家 si traduce come “casa, abitazione” e 庭 come “anima, spirito” [5]. Un’altra coppia di kanji impiegata è 家庭, che viene letto come katei ed evidenzia – più che i legami di sangue – la convivenza fisica tra i membri del nucleo familiare nello stesso spazio fisico, poiché è 家 si traduce sempre come “casa, abitazione” e 庭 come “giardino, cortile, aia agricola”.
Se è vero che nelle società orientali – specie in quelle più o meno influenzate dal Confucianesimo – i rapporti familiari mostrano alcune peculiari differenze rispetto a quelle occidentali [6], è altrettanto vero che alcuni principi sono assai simili nell’una e nell’altra parte del mondo, ed ecco allora che anche per noi può essere interessante approfondire determinati concetti e trovare singolari analogie e spunti di riflessione.

Aikido no kazoku, la famiglia dell’Aikido
In poche decine di anni le società orientali occidentali hanno subìto profondi cambiamenti; ciò che per i nostri nonni era normale ed accettabile oggi potrebbe essere oggetto di critica e disapprovazione; vale per alcuni regimi alimentari, per alcune abitudini sociali, vale per il modo in cui si risponde ad un furto, ad una aggressione o ad una offesa. Va da sé che le arti marziali e le tecniche di combattimento che per secoli si sono affinate alla ricerca di modi sempre più efficaci ed efficienti per proteggere sé stessi e di neutralizzare l’altro, oggi abbiano perso gran parte della loro necessità pratica ed espongano – qualora vengano impiegate in maniera sconsiderata – a pesanti ripercussioni legali.
L’Aikido è una arte marziale, figlia ed erede di antiche discipline che per secoli sono state impiegate sui campi di battaglia giapponesi; quale è la ragione della sua attualità, visto che oggi non è (quasi) più necessario difendersi da una aggressione? Una risposta dettagliata porterebbe assai lontano e renderebbe necessario affrontare numerosi aspetti della pratica; è allora opportuno ridurre il campo di indagine e accontentarsi di focalizzare solo pochi argomenti, con le indispensabili semplificazioni.
Il modo migliore di cominciare è analizzare la vita e le parole di Ueshiba Morihei, Fondatore dell’Aikido. Ueshiba fu un uomo assai singolare per i suoi tempi e – tra le sue molte qualità – fu un soldato valoroso ed un marzialista tra i più stimati. Non uno stralunato idealista ma uno che dai suoi commilitoni fu soprannominato “L’uomo di ferro” per il suo valore sui campi di battaglia. Lo stesso uomo però fu protagonista di un episodio quasi soprannaturale destinato a cambiare la sua vita: nella primavera del 1925 venne sfidato a duello da un ufficiale che tentò ripetutamente di colpirlo con una spada mentre Ueshiba scansava i suoi colpi con grande facilità, grazie ad una specie di sesto senso sviluppato a seguito dei suoi studi marziali. Dopo il duello O’Sensei (titolo onorifico che si può tradurre come “Grande Maestro”, con cui i praticanti di Aikido si riferiscono a Ueshiba Morihei) si ritirò in un giardino per rinfrescarsi dal sudore e qui ebbe una sconvolgente esperienza che lo portò in una nuova dimensione e lo illuminò sui principi del Budo [7], dando vita all’Aikido. Così lo stesso protagonista raccontò questa esperienza:
“…In quel momento ebbi l’illuminazione: la fonte del Budo è l’amore per Dio, ossia lo spirito di amorevole protezione nei confronti di tutti gli esseri viventi. … Io capii: il vero Budo non consiste nell’abbattere chi ci attacca con la forza. Il vero Budo non è nato affinché le armi distruggano il mondo. Il vero Budo consiste nell’accettare lo spirito dell’universo, mantenere la pace nel mondo, produrre nella giusta misura, proteggere e valorizzare tutti i beni della natura. Io capii: l’insegnamento del Budo è di offrire il proprio amore a Dio, che produce nella giusta misura, protegge e valorizza tutti i beni della natura. Dobbiamo permeare di questa verità il nostro essere, nella sua interezza di mente e corpo, utilizzandola nella vita di tutti i giorni.” [8]
A questo proposito, un insegnante di Aikido così scrive in un suo libro: “Non dimenticate mai il messaggio principale di O’Sensei: L’Aikido è amore”. [9] Appare qui necessario aprire una non breve parentesi, facendo riferimento alla profonda e sottile capacità di ri-velare [10] propria degli ideogrammi sino-giapponesi. La struttura essenziale della disciplina marziale e spirituale messa a punto da Ueshiba Morihei attraverso un percorso di elaborazione personale che durò decenni, può essere analizzata a partire dal nome stesso, che è composto da tre ideogrammi: ai che significa unione, fusione, collegamento: ki, energia e dō, la via. Aikido viene quindi spesso tradotto come “la via dell’armonia/unione attraverso l’energia”, evidenziando il fatto che le tecniche si basano sulla neutralizzazione dell’attaccante controllando e deviando la sua energia. Molto si è detto sulla interpretazione del primo dei tre che compone la parola Aikido. [11]

Il Fondatore nei suoi ultimi anni cominciò ad associare l’ai di Aikido, armonia [12], all’ai (omofono, ma con diverso kanji) di amore. Dalla pratica di uno deriva l’altro. Quasi sempre il kanji di ai viene descritto come un coperchio che si unisce ad una pentola. Solo se l’uno è adatto all’altra vi potrà essere una unione stabile ed una giunzione corretta. Altri, più simbolicamente interpretano la parte superiore come il tetto di una casa e il quadrato inferiore come la bocca umana, mentre il tratto orizzontale al centro indicherebbe l’unità; in questo caso l’interpretazione è che consentiamo di parlare all’interno della nostra casa solo a coloro a cui siamo uniti e con cui abbiamo un rapporto di stima o affetto [13], il che ci riporta – e non credo sia un caso – al significato del termine Kazoku analizzato in precedenza.
In altri termini, quando Ueshiba Morihei parlava di Aikido no kazoku non si riferiva al gruppo di allievi e praticanti che frequentavano la sua casa ed il suo Dojo, ma in tutta evidenza ai tanti che avevano ed avrebbero compreso lo Spirito dell’Aikido andando oltre le apparenze, operando per il raggiungimento di quella armonia con sé stessi e con gli altri che il Fondatore intendeva come scopo dell’Arte che aveva creato e plasmato. [14]
Questo ideale di condivisione non poteva che suonare rivoluzionario (e per qualcuno addirittura oltraggioso) in una società come quella giapponese dove per secoli lo studio delle Arti marziali era condotto in maniera rigidamente regolamentata, in cui quasi ogni famiglia o Clan aveva il suo stile di combattimento, le sue armi particolari e le sue specializzazioni accuratamente celate ai nemici, potenziali o effettivi che fossero, e trasmesse solo a chi avesse meritato la fiducia dell’insegnante. Una riservatezza che – comprensibilmente – proteggeva conoscenze essenziali per la sopravvivenza del Clan o della famiglia e che possiamo considerare come una particolare applicazione del concetto di miegakure, che si può tradurre come “deliberatamente nascosto allo sguardo profano” [15] e che permea praticamente tutte le espressioni sociali nipponiche, dall’architettura dei giardini all’allestimento della cerimonia del tè, con particolari apparentemente irrilevanti per chi non abbia la chiave di lettura per coglierli nella loro fondamentale importanza.
E’ facilmente intuibile che, in una società fortemente militarizzata come quella nipponica sino a prima del secondo conflitto mondiale, fosse chiara l’importanza di poter disporre non tanto di pochi individui eccezionalmente capaci quanto piuttosto di un gruppo più ampio possibile dotato delle abilità necessarie e sufficienti per affrontare il combattimento ed assicurare la sopravvivenza e la prosperità del proprio Clan; in altre parole era evidente che una catena è tanto resistente quanto lo è il suo anello più debole, ma l’originalità del Fondatore dell’Aikido fu quella di andare oltre l’individualistico vantaggio del proprio più o meno ristretto gruppo di riferimento ed auspicare invece un progresso ed un benessere esteso a tutta la comunità umana, obbiettivo alla cui definizione certamente contribuirono i contatti di Ueshiba Morihei con la Byakko Shinko Kai di Masahisa Goi [16] e con la Oomoto Kyo di Deguchi Onisaburo [17] oltre al costante rapporto epistolare con Peter Deunov, ispiratore della Fratellanza Bianca Universale [18].

A costo di deludere chi cerca su tatami (o in altri consessi più o meno riservati) soluzioni e risposte ai propri malesseri psicologici della vita quotidiana, il Sensei non è un guru, un santone e neppure un padre facente funzione, tanto che Ueshiba Morihei non aveva certo la didattica tra le sue priorità e la sua pratica giornaliera era certamente più un lavoro individuale su sé stesso che la realizzazione di un progetto di formazione tecnica collettiva, tanto che la sistematizzazione didattica delle tecniche si deve sostanzialmente a Saito Morihiro per il Takemusu Aikido custodito ad Iwama ed a Ueshiba Kisshomaru ed a Toei Koichi per il filone che si rifà allo Hombu Dojo di Tokyo. [19] A questo punto si potrebbe cogliere in Ueshiba Morihei una sorta di contraddizione tra un messaggio di fratellanza universale ed una pratica quotidiana volta quasi esclusivamente ad un progresso individuale, ma è bene dire che le apparenze ingannano e che i due aspetti della questione sono tutt’altro che opposti ed anzi collimano tra loro in maniera complementare.
Il Fondatore dell’Aikido, come altri prima di lui, era probabilmente consapevole che ciascuno è artefice del proprio destino e che il ruolo di un Maestro (qualunque significato si voglia dare a questo termine) è quello di indicare all’allievo una via, quello di mostrargli una porta. Come e quanto questa via verrà percorsa, come e quando questa porta verrà aperta è responsabilità e scelta dell’allievo, e non può e non deve essere altrimenti. Il Maestro fornisce un esempio, mostra una possibilità; sta poi all’allievo cogliere quanto può, vuole e deve comprendere ed agire di conseguenza.
Apparenti contraddizioni, insegnamenti lacunosi, indicazioni ridotte all’essenziale e non di rado criptiche non sono l’espressione di un cinico potere che vuole tenere l’allievo nel buio della ignoranza quanto piuttosto il pungolo perché proprio l’allievo trovi in sé stimolo e strumenti per il proprio progresso. Non è facile comprendere, accettare ed adattarsi poi a questo “modus operandi”; la selezione degli allievi [20] avviene in maniera quasi darwiniana [21] ma si deve fare di necessità virtù e – parafrasando l’esempio del V.M. Elenandro XI°, Gran Maestro del Sovrano Ordine Gnostico Martinista [22] – compito di un Maestro nei confronti degli allievi: “non è quello di fare identico meraviglioso fiore da ogni diverso seme, ma permettere che da ogni diverso seme, nella pluralità che è ricchezza, splenda il miglior fiore possibile.” [23] Proseguendo quindi il paragone floreale, possiamo dire, senza timore di apparire offensivi, che Ueshiba Morihei auspicava che – attraverso l’Aikido – ciascun uomo, consapevole delle proprie peculiarità, fosse parte armonica ed integrante di un “unicum” costituito da tutti gli altri uomini, così come la bellezza di un giardino è data dalla varietà delle piante e dei fiori in esso.
Verba manent
Come è noto, il Fondatore dell’Aikido lasciò poco di scritto in merito ai suoi studi; a livello tecnico sono noti solo due manuali illustrati, peraltro destinati in origine solo ad alcuni allievi e non pensati per la diffusione pubblica. É altrettanto noto che Ueshiba Morihei disponeva di una ricca biblioteca in cui trovavano posto anche opere di filosofia occidentale, ad ulteriore testimonianza della ampiezza delle sue vedute, della sua curiosità intellettuale ed apertura spirituale. Gran parte dei suoi insegnamenti ci sono pervenuti come “relata refero” trasmessi da allievi diretti o insegnanti della prima ora.

Come è facile immaginare, sia per motivi culturali e storici, sia per la intrinseca difficoltà di spiegare l’inspiegabile, le parole del Fondatore possono apparire criptiche, oscure e sibilline; che si leggano i suoi doka [24] o che si ascoltino le sue parole registrate in alcune interviste concesse negli ultimi anni della sua vita, alla potenza immaginifica dei concetti evocati corrisponde una evidente difficoltà (e non solo per noi occidentali) di distillarne indicazioni basate sulla pratica e sulla logica. E forse il trucco è proprio questo, non creare troppe sovrastrutture mentali che rischiano di coprire alla vista ciò che è semplice ed essenziale vedere; Dogen, un noto maestro zen, avrebbe commentato così: “Scava il laghetto senza aspettare la luna. Quando il laghetto sarà terminato la luna verrà da sola.” Ed allora, certi che la luna c’è sempre, anche se non vi è nessun dito che la indica o alcun specchio d’acqua in cui si riflette, rileggiamo alcune affermazioni di Ueshiba Morihei, illuminanti in merito allo Spirito ed agli obbiettivi dell’Aikido. [25]
Il Fondatore dell’Aikido affermò che “La realizzazione della nostra vera sostanza e del nostro potenziale è il fine della creazione. La realizzazione dell’amore divino, la coscienza universale è nostra responsabilità innanzi al creatore” [26]. Un compito – come si legge – che riguarda ciascuno di noi e non può essere delegato ad altri e che – è bene ribadirlo – non può essere perseguito senza la corretta pratica, che è lo strumento necessario alla comprensione dei principi. George Ohsawa, nel suo “The Book of Judo” scrive: “L’Aikido costituisce un principio che è alla base di ogni religione, filosofia e scienza, e può pertanto aiutare a risolvere i problemi ideologici del mondo. Attraverso i movimenti pratici che richiedono discernimento, ragionamento ed azione istantanea, esso insegna il rispetto per gli altri, la superiorità della duttilità e dell’adattabilità rispetto alla forza ed alla irrazionalità, e una visione della vita fondata sull’armonia e sull’ordine naturale”. ln altre parole: “L’Aikido è lo studio delle leggi della natura e dei principi naturali che stanno alla base di esse”, leggi e principi che quindi valgono per tutti, ovunque ed in ogni tempo, in un rapporto di reciproca risonanza tra l’individuo e “l’altro da sé”, tanto che Ueshiba Morihei ebbe ad affermare che “Il vero corpo di ognuno di noi è l’universo stesso, e la responsabilità che abbiamo in quanto esseri umani abbraccia ogni cosa presente in questo universo”, mentre in un’altra occasione evidenziò che “Quando vi inchinate all’universo, esso si inchinerà a voi; se chiamate il nome di Dio, esso echeggerà dentro di voi”.
Nel 1930 Ueshiba Morihei, grazie anche all’aiuto di molti sostenitori, aprì il “Kobukan Dojo” nel distretto di Wakamatsu di Shinjuku a Tokyo, un luogo dove la pratica era così intensa che venne presto soprannominato “Il Dojo dell’Inferno”; eppure già allora il Fondatore avvertiva che l’Aikido doveva essere inteso come una disciplina spirituale e non solo come metodo di combattimento corpo a corpo, sia pure particolarmente raffinato, tanto che lo stesso Ueshiba spiegava che. “L’Aikido è la funzione dell’armonia universale espressa attraverso il corpo umano”, mentre in una sua poesia scriveva: “Aikido, tutte le energie poste in movimento che creano un mondo di bellezza, gentilezza e tranquillità”.
Conclusioni
Molto è stato scritto e molto di più si potrebbe scrivere, ma quanto già riportato dovrebbe essere sufficiente ad illustrare, sia pure in maniera sommaria, il concetto che si voleva esprimere, evidenziando quanto la pratica dell’Aikido si fondi sul singolo praticante ma debba necessariamente tendere ad un fine più elevato rispetto alla mera abilità tecnica. Come è facile immaginare, un obbiettivo simile può e deve essere perseguito con una pratica costante e sincera, guidata da un insegnante capace e preparato per evitare pericolose deviazioni dalla Via.
Come in precedenti occasioni, sono debitore nei confronti del M° Paolo Nicola Corallini Shihan per i tanti e puntuali suggerimenti che ha voluto offrirmi, indispensabili per comprendere – per quanto possibile in base alla mia limitata esperienza – quanto di singolare vi sia nell’Arte che Ueshiba Morihei ha voluto donare al mondo.
Copyright Carlo Caprino 2016
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Note
[1] Tra gli esempi più comuni della lingua italiana sono i termini di “Padrino” e “Madrina”, con cui si indicano le persone scelte come “tutori” di un neonato, e ancor più i termini inglesi con cui si indicano le figure di suoceri e cognati.
[2] http://www.etimoitaliano.it/2014/01/famiglia.html
[3] Da “Il libro dei caratteri cinesi” di Antonio Cianci, De Agostini
[4] Il “Kazoku” scritto però con i kanji 華族 (letteralmente “lignaggio illustre/floreale”) fu il sistema ereditario di nobiltà dell’Impero del Giappone in vigore tra il 1869 e il 1947.
[5] Significativa la somiglianza con le figure dei Lari e dei Penati della mitologia latina.
[6] http://www.theepochtimes.com/n3/1392919-fathers-regain-your-manliness-the-confucian-way/
[7] “Budo“, letteralmente “Via Marziale”. Come in ogni occasione in cui si deve tradurre da una lingua ideogrammatica come il giapponese in una lingua alfabetica come l’italiano, s’impone una precisazione di fondo. Questa, come altre parole cruciali che userò nel seguito, possiede una vastità di significati intrinseci alla struttura simbolica dell’ideogramma che la individua tale da rendere impossibile trovare un’unica parola o perifrasi in grado di renderli pienamente tutti. L’avvertito lettore vorrà così scusare questa limitazione e, se lo ritiene, approfondire per suo conto il significato dei termini citati.
[8] Tratto da “Aikido – La pratica” di K. Ueshiba – Edizioni Mediterranee
[9] In “Journey to the Heart of Aikido: The Teachings of Motomichi Anno Sensei” di Linda Holiday. Nello stesso volume è presente una calligrafia di Motomichi Anno Sensei intitolata “Sekai Dai Kazoku” (“La famiglia universale”)
[10] Nel duplice senso di svelare e/o di velare due volte, ovvero di scoprire un significato piuttosto che nasconderlo ancora più profondamente.
[11] Si veda anche “Aikido ed alfabeto ebraico” di Carlo Caprino, Luglio 2008
[12] Ad ulteriore evidenza della profonda importanza del concetto di “Armonia” che il Fondatore volle esprimere nella scelta dell’ideogramma, si evidenzia come il kanji di “wa” 和 traducibile come “armonia”, rappresenta la cedevolezza del germoglio di riso posto vicino a un quadrato che indica la bocca umana. Per essere armonici è necessario essere accorti negli scambi verbali con gli altri, civili, cortesi, pieni di tatto, insomma “morbidi” come un germoglio di riso.
[13] Della gran parte delle notizie che seguono sono debitore a Dave Lowry, per quanto riportato nel suo “Lo spirito delle arti marziali”, Oscar Mondadori, ed alla dottoressa Chiara Bottelli, per le preziose notizie presenti nella sua tesi di laurea dal titolo: “Arte Marziale o religione? Il rapporto tra Aikido e Omotokyo”
[14] Sotto questo aspetto, è interessante notare che Jigoro Kano, creatore del Judo ed ammiratore dell’Aikido, indicò tra i principi fondamentali del suo metodo il “Ji Ta Kyo Ei”, che può tradursi come “Amicizia e mutua prosperità” ad indicare che ciascuno può (e dovrebbe…) operare singolarmente per il progresso della comunità che lo comprende e che – di riflesso – con l’aiuto reciproco tutta la comunità ognuno può raggiungere una condizione di vita più soddisfacente. Anzi, nel pensiero originario di Kano è proprio tramite il miglioramento di ciascuno di noi che si può giungere ad un miglioramento della società e suo fu il merito di indicare come questo miglioramento dovesse essere l’obiettivo primario del judoka e dello sportivo.
[15] Per l’approfondimento di questo ed altri interessanti principi, si veda “Nel Dojo – Etichetta e rituali nelle arti marziali giapponesi” di Dave Lowry , Ponchiroli Editori
[16] Vedi http://www.cesnur.com/le-nuove-religioni-giapponesi/byakko-shinko-kai/
[17] https://en.wikipedia.org/wiki/Oomoto. Per un approfondimento particolare si veda anche la già citata tesi di laurea “Arte marziale o religione? Il rapporto fra Aikido e Omoto-kyo” di Chiara Bottelli
[18] http://www.fratellanzabiancauniversale.it/online/
[19] Si veda “È O Sensei Realmente il Padre dell’Aikido Moderno?” di Stanley Pranin, disponibile alla URL https://simonechierchini.wordpress.com/2011/06/30/osensei-padre-aikido-moderno/
[20] “Gesù disse: “Vi sceglierò uno da mille e due da diecimila; e saranno confermati come una sola persona“. Loghion 23 del Vangelo copto di Tomaso, disponibile alla URL http://www.fuocosacro.com/pagine/gnosticismo/vangelotomaso.htm
[21] “molti sono chiamati, ma pochi eletti”, Vangelo di Matteo 22, 14
[22] http://www.martinismo.net
[23] Da “Attorno alla Natura del Rapporto Iniziatico Martinista” disponibile alla URL http://www.martinismo.net/99rapportoiniziatico.htm
[24] I Doka (letteralmente “canti della Via”) sono poemi dal profondo significato spirituale, composti secondo lo schema metrico proprio dei versi tradizionali nipponici ed impiegati da molti Maestri giapponesi per trasmettere i loro insegnamenti.
[25] Le citazioni che seguono sono tratte da: “Aikido – I fondamenti spirituali della Via dell’Armonia” di William Gleason; “Aikido – Dottrina segreta e verità universali rivelate da Morihei Ueshiba” di John Stevens; “L’essenza dell’Aikido – Gli insegnamenti spirituali del Maestro” a cura di John Stevens, tutti editi da Mediterranee
[26] L’Aikido viene a volte descritto come “preghiera in movimento” o con il termine giapponese Inori no budo, dove il termine “inori”, tradotto appunto come “preghiera” è composto dagli ideogrammi che indicano rispettivamente “viaggiare su” e “volontà”
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