
Nelle Arti Marziali giapponesi esiste un tipo di esercizio conosciuto più generalmente con il nome di “Randori”. Questo esercizio consiste nell’applicazione, in contesti e scenari di varia composizione, delle tecniche della disciplina. È l’esercizio dedicato al combattimento
di ADRIANO AMARI
Moduli progressivi dal passato a oggi
Nelle Arti Marziali giapponesi esiste un tipo di esercizio conosciuto più generalmente con il nome di “Randori”. Questo esercizio consiste nell’applicazione, in contesti e scenari di varia composizione, delle tecniche della disciplina. È l’esercizio dedicato al combattimento.
Gli altri due esercizi, ricordiamo, sono il Kihon (Tecniche fondamentali) e il Kata (Schemi della modalità applicativa delle tecniche). Questa è la “triade” dell’apprendimento, vale a dire la progressione: il movimento biomeccanico e il suo raffinamento, la conoscenza del principio che lo contestualizza nella scena strategica e nel momento tattico, la sua applicazione.
La parola “Randori” è scritta “乱取り” con gli ideogrammi “Ran”, 乱, significa “caos, disordine, conflitto”, “Tori”, 取, significa “prendere” (con l’idea di controllare, dominare) e “partner attivo” (“り” è Hiragana, segno fonetico, suono “ri”).
Questo nome venne usato da Jigorō Kanō sensei, fondatore del Jūdō, che lo mutuò da un esercizio tipico della scuola Kitō Ryū, una delle due che studiò prima di formare la sua disciplina. Kanō sensei stabilì la sua versione di “Randori” e le principali modalità di esecuzione dell’esercizio, poi aggiunse una forma di confronto arbitrato di tipo sportivo, più correttamente chiamato “Shiai” (試合 – incontro/gara) [1].
Il termine fu adottato anche da altre discipline del Gendai Budō, le “Arti Marziali moderne”, quali Karate, Aikidō, Shōrinji Kenpō e da alcune scuole di Jū Jutsu moderno.
Attualmente viene inteso, nella generalità dei casi, come combattimento nel tipo dello “sparring” occidentale, un tipo di confronto meno esasperato della gara, generalmente non arbitrato e autogestito dagli stessi partner, ma sempre con la forma mentis e seguendo le regole della gara di riferimento
In altre discipline, come l’Aikidō, viene praticato in una forma semplificata e non spontanea dove c’è un attaccante fisso, spesso con attacchi prefissati, e un difensore che risponde con delle tecniche scelte o a discrezione.
Il Randori, in verità, ha una gamma ben più vasta di sistemi, diverse finalità e una maggiore variazione di ruoli tra le persone che si esercitano in esso.
L’obiettivo primario è l’educazione, l’addestramento al combattimento. Questo deve avvenire mettendo in pratica principi, tecniche e modi applicativi propri della propria scuola. Inventare o usare modalità tratte da altri sistemi fa diventare la pratica aleatoria e casuale, rendendo praticamente inutile tutto l’apprendistato e lo studio connesso.
È possibile distinguere una progressione dell’esercizio per il combattimento nella didattica originale delle scuole.
Esaminiamo.
Le scuole antiche, le Koryū, contrariamente a quanto si pensa oggi, avevano delle forme di esercizio al combattimento. Tali forme venivano mediate dal Kata.
Ricordiamo che il sistema giapponese prevede questa forma di studio sempre nella forma a coppie e, se esistono delle forme a singolo, in realtà e in parallelo le stesse forme vengono combinate in altri kata di applicazione a coppie.
E ancora, che il Kata nasce per contenere le istruzioni esecutive delle tecniche secondo i principi “scoperti” dal fondatore nel momento della sua “illuminazione”, poi portati avanti ed approfonditi dai suoi successori.

Il Kata, quello vero, studiato ed approfondito nei suoi strati e dettagli, è combattimento.
Il ran-dori (o qualsiasi altro nome) deve progressivamente introdurre l’elemento caos.
Alcuni esempi:
- Nella ripetizione classica del Kata, nel caso di allievi avanzati, alcune scuole prevedevano che Uke/Aite/Ukedachi potesse rispondere a sua volta al contrattacco di Tori/Tsukaite/Kirikomi;
- I due partner assumevano in modo libero e non sequenziato le guardie di partenza contenute nei Kata, il ruolo di Uke poteva essere fisso o continuamente scambiato tra i due, gli attacchi e le risposte avvenivano secondo tutte le combinazioni possibili presenti nei Kata, in modo esplicito o, nei più avanzati, implicito;
- Ulteriori passi potevano essere la variazione – logica – del primitivo angolo d’attacco, per esempio da Shōmen a Yokomen o Kesa, oppure, più avanti ancora, fintare la tecnica canonica per effettuare un altro attacco.
Nello studio corretto si arriva al Randori attraverso il perfezionamento di Kihon e Kata, e lo stesso Randori ha uno sviluppo progressivo di esercizi, prima di arrivare alla forma più libera.
Vediamo di creare uno schema per fasi:
- Nella prima fase l’allievo studia la tecnica, fino ad arrivare ad una buona esecuzione;
- Poi inizia a praticarla secondo il Kata. Non necessariamente studiando prima tutta la forma, ma piuttosto con degli “estratti” della forma stessa, che la contestualizzano. È necessario che Uke sia un buon Uke [2];
- Adesso iniziano le fasi del Randori. Nel primo giro Uke “fa entrare” la tecnica del suo partner, finché la sua esecuzione “contestualizzata” non è corretta;
- A questo punto Uke, secondo le caratteristiche della tecnica e della scuola, inizia a far verificare al suo partner gli errori. Deve evitare la resistenza di “forza”, si limiterà a spostarsi, non cadere se non è sbilanciato, fargli notare le imperfezioni. Insomma, a guidarlo a correggere i punti insufficienti;
- Ora la tecnica è sufficiente, sia come biomeccanica che come tempo. Uke proverà a fare la contro tecnica, a tagliare delle linee, a variare il suo movimento. Il Partner deve adattarsi e modificare la sua tecnica alla variazione proposta dal suo Uke, o concatenare in base alla sua resistenza. A questo punto, questa progressione è completa.

Ma, per arrivare al Randori ancora occorrono alcuni passaggi. Ogni tecnica va testata in una progressione e questa progressione varia secondo la disciplina. Va raggiunta la maturità attraverso questa progressione in un certo numero di tecniche e scenari tattici prima di impegnarsi nel Randori stesso;
Per esempio, ipotizzando una tecnica di leva (Kansetsu Waza) o di proiezione:
- Si inizia rispondendo ad un singolo attacco di presa dichiarata, poi su varie prese [3]. Uke farà solo la presa e si comporterà secondo la scaletta di cui sopra;
- Dalla presa si passerà ad un attacco di Atemi, poi ad uno con un’arma;
- Si torna alle prese, ma attaccano più avversari, uno alla volta, in successione, prima ognuno con una presa dichiarata, poi libera. Fondamentalmente l’esercizio è una ricerca di pressione e Tori/Tsukaite/Kirikomi deve mantenere controllo, tecnica e… fiato;
- Stesso sistema, ma con attacchi di colpi e/o armi;
- Ora attacchi misti, prima dichiarati, poi più o meno liberi. È fondamentale che l’attacco successivo avvenga solo dopo che Tori ha risolto l’Uke precedente. All’inizio si lascia un certo lasso d’intervallo, poi il l’Uke successivo attacca immediatamente;
Secondo disciplina e tecnica possono essere proposti numerosi scenari, e si deve cercare di uscire progressivamente – sempre tenendo i Kata come riferimento – da costrutti rigidi. Per esempio, tornando al nostro Tori e ponendo che pratica una disciplina basata fondamentalmente su leve e proiezioni, tipo Jūdō o Aikidō, si proporranno dei giri di esercizi basati su risposta con colpi agli attacchi di vario tipo, pratica che non può che fare bene.

A questo proposito va suggerito un tipo di Kihon Randori simile al Kirikaeshi del Kendō. Uke indossa degli adeguati colpitori, Tori magari indossa delle protezioni adatte al lavoro anche quantitativo, poi attacca alternativamente i colpitori destro e sinistro retti da Uke, secondo la logica della tecnica o combinazioni di tecniche che si esercitano al momento. Questo per un certo numero di ripetizioni, che sia anche fisicamente impegnativo. Uke effettua degli spostamenti e può intervenire per correggere eventuali scoperture, errori di spostamento o cadute di intensità.
Andiamo avanti.
Esercizi di pre-Randori successivi possono insistere sul Kaeshi Waza (contro tecnica) o sul Renraku Waza (combinazioni di tecniche o tecniche e finte). Quest’ultime possono, per esempio, variare di settore (Atemi, Kansetsu, Nage, etc. a mani nude, oppure passare dalle armi alle tecniche di corpo e poi di nuovo alle armi in caso di allenamento armato).
Certo non è imperativo seguire tutta questa trafila per ogni tecnica fino ad arrivare al Randori completo non collaborativo. Ma queste esercitazioni di “Randori parzializzato” sono estremamente utili, impegnative e anche coinvolgenti. Al Randori non collaborativo possono essere inserite delle parzializzazioni: usare una sola categoria di Atemi, per esempio, o proiezioni contro Atemi, e via dicendo. Alcune di queste esercitazioni possono essere realizzate per migliorare le caratteristiche migliori o peggiori di un praticante.
Il Randori è essenzialmente un esercizio di studio dove, comunque, i partner cercano di migliorarsi e di far migliorare il compagno. Le azioni devono essere condotte nel senso del realismo e non ci sono “punti” in palio.

Prendiamo il Randori del Jūdō così come era stato strutturato da Jigorō Kanō sensei. I Partner dovevano affrontare l’esercizio nella guardia naturale, “Shizen Tai” [4], immaginando che l’avversario potesse tirare attacchi di colpo, pugno, calcio, testa. Erano ammesse le leve e gli strangolamenti in piedi e per portare a terra. Negli esercizi al Kōdōkan potevano essere ammessi anche gli attacchi di Atemi, che allora venivano studiati in apposite sedute ed erano una delle materie di approfondimento del Kobudō Kenkyukai [5].
Lo scopo del Randori è imparare la tecnica nella sua applicazione, e migliorare.
Altro punto, nel Randori andrebbe applicata quella triplice distinzione che era tipica delle scuole classiche e ancora oggi è uno dei punti nodali del Ji-geiko, il Randori del Kendō. Si tratta di un comportamento diverso da usare si pratica con un compagno più anziano, Senpai, uno più giovane, o Kohai, o un partner della stessa anzianità di pratica, Dōhai [6].
Il combattimento competitivo arbitrato è un sistema particolare di Randori, ma non ne è assolutamente né il fine, né l’esercizio da praticare di più. Anzi, si può ben dire il contrario, perché tende ad inaridire la tecnica.
È piuttosto un passaggio dove vanno verificate alcune cose prima di rimettersi a studiarle ripercorrendo la linea Kihon, Kata, Randori.
E questo tipo di esercizio al combattimento va interpretato sempre seguendo le raccomandazioni di Kanō sensei, come se fosse idealmente e praticamente un vero Shinken Shobu, un combattimento per la vita. Le regole disciplinano la tecnica da usare e il modo di usarla, ma non vanno interpretate in modo di cercare il modo di ottenere il punto della vittoria, ma piuttosto nel modo in cui si deve trovare l’Ippon, o tecnica vincente, pensando come si fosse in un contesto reale e senza limiti, vincendo prima di colpire.
Kanō sensei, come anche i suoi colleghi istruttori, vedevano il Randori come un campo di studio dove era importante porre l’accento sulla volontà di riprodurre un vero combattimento, ma insisteva sul fatto che gli allievi concentrassero l’attenzione su cosa era in studio quel giorno per quell’esercizio. Lo Shiai è diverso dal Randori solo nel punto che non viene data all’altro nessuna indulgenza. Però l’atteggiamento mentale doveva essere simile e i due in confronto dovevano adottare comportamenti, posizioni e tecniche “come se” fosse effettivamente così, non “attaccandosi” al regolamento per ottenere anche uno striminzito “vantaggio” atto a fargli conseguire la vittoria [7].
Un ultimo punto: Ueshiba Morihei sensei ripeteva che praticare con Minoru Mochizuki sensei era per lui un grande incitamento a progredire, perché doveva sempre migliorare la sua tecnica per avere di giorno in giorno la meglio su di lui nel Randori. Questo significa che nell’Aikidō del Kobukan esisteva una forma di Randori che non era il semplice “uno attacca – spesso senza tecnica – l’altro proietta”, con Uke molto assertivo, come avviene oggi.
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Note
[1] “…lo scopo principale del Randori si ispira al Bujutsu e alla ginnastica; questo ha scopo di insegnare a proteggere sé stesso uscendo vincitore da un combattimento vero e proprio (Shinken Shobu), e quello di potenziare lo sviluppo fisico e la salute al fine di rendersi utili al prossimo e alla società…”
(Il corso speciale di Randori – pubblicato su Jūdō nel Giugno 1936 – J. Kanō, Fondamenti del Jūdō, ed. Luni, pag. 107)
“…specialmente nel Randori, il valore consiste nell’agilità, nella varietà di elementi in ogni direzione…la preoccupazione di non perdere ad ogni costo vi induce all’irrigidimento fisico… non temere le cadute, anzi fatevi proiettare di proposito…è cedendo all’attaccp che si impara anche il modo di tornare in piedi…”
(Prefiggersi l’obiettivo più alto – pubblicato su Yuko-no_Katsudo nell’Aprile 1920 – J. Kanō, Fondamenti del Jūdō, ed. Luni, pag. 183/184)
[2] Ukeru (受ける) – “ricevere”, nelle Arti Marziali si trova spesso nelle forme Uke (受け – colui che riceve/subisce oppure “parata”) e Ukemi (受身 – corpo che riceve o caduta). Il ruolo di Uke è estremamente importante, non passivo, perché deve fare in modo, sia se deve attaccare, sia se deve difendersi o subire la tecnica, adoperarsi al miglio perché la sua azione sia spontanea e sincera, senza creare ostacoli o equivoci al partner.
Un interessantissimo articolo su questo argomento è contenuto nel blog di Peter Boylan “The Budo Bum”, articolo del 28/01/2016 (in inglese).
[3] La presa offre l’indicazione di una linea di attacco, e propone delle minacce. Il Te Hodoki (liberarsi da una presa), oltre che a mostrare come evadere dalla presa dell’avversario comprende anche l’ucsita dalle sue possibili linee d’attacco. Usando movimenti con le stesse direzioni e matrici fisiche, è possibile neutralizzare anche un colpo e porsi sull’angolo morto dell’avversario.
[4] “…la posizione o postura del corpo. Molti hanno adottato una posizione scorretta. Tralasciando coloro che mostravano un perfetto Shizen Tai, mi ha particolarmente colpito l’esempio di un allievo che si presentò al momento della presa con il bacino arretrato e le braccia protese in avanti….questa è una posizione tutta difensiva…prendere invece la postura di sfida vuol dire né più, né meno che mantenere la propria incolumità…allenatevi il più possibile prendendo a modello la posizione Shizen Tai (posizione naturale)… Jigo-Tai (posizione difensiva)…è tanto efficace se si tratta di contrastare un attacco specifico, ma inutile quando viene usata come prevenzione o come abitudine…”
(Koaku-shiai autunno 1916 – pubblicato su Yuko-no_Katsudo nel Novembre 1919 – J. Kanō, Fondamenti del Jūdō, ed. Luni, pag, 64)
“…più volte ho notato in palestra praticanti che, sentendosi sicuri del divieto dell’uso di Atemi e delle armi, affrontano la disputa con le gambe allargate, il bacino abbassato e il capo proteso in avanti, posizione così precaria da non permettere di evitare un attacco improvviso…
(Il corso speciale di Randori – pubblicato su Jūdō nel Giugno 1936 – J. Kanō, Fondamenti del Jūdō, ed. Luni, pag, 107)
“…nell’allenamento Randori è vietato l’uso dell’Atemi e di qualunque altro Waza dannoso al corpo, ma questo non significa che ai contendenti sia permesso un comportamento o una posizione vulnerabile all’attacco dei medesimi…”
(Sul corso di Randori – pubblicato su Jūdō nel Luglio 1936 – J. Kanō, Fondamenti del Jūdō, ed. Luni, pag, 109)
[5] Vedere gli articoli usciti su Aikido Italia Network:
https://atomic-temporary-18820446.wpcomstaging.com/2020/10/06/dal-kodokan-judo-al-kobudo-kenkyukai-evoluzioni-nel-pensiero-di-jigoro-kano-sensei/
https://atomic-temporary-18820446.wpcomstaging.com/2020/11/30/dal-kodokan-judo-al-kobudo-kenkyukai-ii-kano-sensei-e-la-sensazione-dellincompletezza-del-judo/
https://atomic-temporary-18820446.wpcomstaging.com/2020/12/28/kobudo-kenkyukai-iii-per-la-completezza-del-judo-e-oltre/
https://atomic-temporary-18820446.wpcomstaging.com/2021/01/19/kobudo-kenkyukai-iv-leredita/
[6] Nel Ji-geiko/Randori del Kendō, come nelle altre Arti Marziali, normalmente uno dei partner dei due è più anziano nella pratica, l’altro ovviamente più giovane.
Il più anziano, deve tenere un comportamento chiaro, il suo scopo è far progredire il più giovane. Questo farà migliorare notevolmente anche lui. Alcuni maestri di alto grado consigliano di iniziare il Ji-geiko/Randori effettuando una azione (Shodachi cioè “la prima azione”), dove l’anziano fa una tecnica in attacco al suo meglio, secondo il tema dell’esercizio, dopodiché si passa alla modalità “aiuto”.
“Aiuto” significa guidarlo a migliorare la sua tecnica ed essere un esempio in azione, guardia e Zanshin. Cerca di fornirgli degli spunti, delle aperture in linea con la maturità tecnica del più giovane, contemporaneamente gli suggerisce quali siano le carenze in difesa, senza schiacciarlo, né bloccarlo continuamente.
Il più giovane, a sua volta, cerca di studiare, di eseguire i temi proposti nello stesso allenamento o in quelli precedenti, usare tecniche impegnative, “ascoltare” i suggerimenti del’ “anziano” e imparare, cercare di avere uno Zanshin all’altezza del più esperto compagno.
Nel Ji-geiko con un partner della stessa anzianità, si ceca semplicemente di cercare di fare il proprio meglio, senza curarsi di prevalere o soccombere, perché non è una gara e, nell’alternarsi della crescita e della stasi, capiterà all’uno o all’altro di prevalere.
[7] “…criterio di arbitraggio…occorre ammonire costantemente la posizione che tradisce il combattimento reale…”
(Il corso speciale di Randori – pubblicato su Jūdō nel Giugno 1936 – J. Kanō, Fondamenti del Jūdō, ed. Luni, pag. 108)
[…] [3] Una mia trattazione su Aikido Italia Network: https://simonechierchini.com/2021/05/17/randori-o-lo-studio-del-combattimento/ […]