
Nello sviluppo dell’Aikido contemporaneo “vedo lo specchio della società odierna in cui la violenza deve essere bandita, scacciata ovunque, sia verbalmente (attraverso il politicamente corretto) sia attraverso i comportamenti. Distorciamo persino i testi in modo che i nostri cari bambini non imparino la violenza. Per mancanza di coraggio, ci indulgiamo in questa ‘harmony-light’ che, inserita in seno all’aikidō, lo fa presentare come un’arte marziale pacifica. In questo modo si è convinti di praticare un budō non violento. Così però si dimentica che l’Uomo è violento per natura, e che anche la cosiddetta ‘non violenza’ è, nei fatti, violenta essa stessa”
di LUIGI CARNIEL
“L’aikidō ieri e oggi: lei è un osservatore privilegiato dello sviluppo dell’Aikido dalla fine degli anni 1960. Da dove viene, dove ha trovato un terreno così fertile per crescere e dove pensa si stia dirigendo in un prossimo futuro?” [Simone Chierchini]
[Luigi Carniel] “Quando iniziai io le arti marziali nel 1962, c’era praticamente solo il jūdō. Nel modo delle arti marziali si parlava di karate senza sapere veramente cosa fosse e dell’aikidō si pensava fosse uno stile di jūdō o qualcosa di simile. Ad essere onesti, infatti, non avevamo, ai tempi, le idee molto chiare. Nel 1964, quando per la prima volta scoprii l’aikidō, fu con Mochizuki Hiroo sensei a Besançon, in Francia, dove ero andato con altri studenti per un corso di karate che lui dirigeva. In questa occasione dispensava, parallelamente lezioni di karate e simultaneamente di aikidō.
“Non dimentichiamo che la sfumatura tra i termini aikidō e aikijūjutsu semplicemente non esisteva all’epoca. Fu molto più tardi, con l’arrivo di altri insegnanti di aikidō giapponesi inviati dall’Aikikai, che iniziarono le controversie sui nomi, paradossalmente, create proprio da noi europei. Dovremmo comprendere che in Giappone i praticanti non si preoccupano della denominazione, ma è risaputo che dobbiamo sempre essere più realisti del re e pensare di conseguenza tutti la vedano come noi. Va inoltre ricordato che il creatore dell’aikidō, Ueshiba Morihei Sensei, fu lui stesso uno dei tanti maestri di Mochizuki Minoru Sensei.
“Penso che l’aikidō abbia potuto realmente svilupparsi grazie ad una visione più morbida veicolata negli anni ’60 e ’70 sull’onda del movimento pacifista promosso dal movimento Hippie americano, che condizionò inevitabilmente tutto il mondo. Fu, secondo me, proprio in tale contesto che il concetto di armonia e pace espresso dall’Aikikai nella pratica del suo aikidō fece credere che esistesse un’arte marziale non violenta che esaltava l’idea salvifica nei confronti dell’avversario, piuttosto che accettare il classico concetto di scontro fisico. Nell’aikidō, l’avversario si trasforma in un partner che si adatta a ‘giocare’ il suo ruolo, creando così un’armonia tra attaccante e attaccato.
“Devo ammettere che quando osservo i movimenti dell’aikidō, non posso non vedervi della indubbia bellezza. Cosa che non si vede nel Daitō ryū aikijūjutsu, dove l’efficacia immediata è più importante della ‘coreografia’. Questa tendenza si è ulteriormente amplificata con l’arrivo di nuovi stili di aikidō con un marcato accento esoterico, e per capire di cosa sto parlando bisognerebbe osservare ad esempio scuole come il ki aikidō e ad altri esempi che personalmente ritengo mistificanti rispetto al messaggio dell’aiki originale. Bisogna ammettere che questo tipo di pratica ha avuto successo con le persone che volevano dimostrare di praticare anche loro un’arte marziale epurata dalla componente fisica, credendo così di marcare una presunta superiorità intellettuale nei confronti di quei ‘bruti’ che praticano la violenza nelle arti tradizionali. Una violenza che, non dimentichiamolo, alcuni utopisti moderni vorrebbero bandita, cancellata da ogni livello dalla società moderna… che illusione!
“Secondo il sottoscritto, dopo decenni di osservazione, è questo che è diventato, generalmente, l’aikidō. Certo, c’è ancora un buon aikidō, dinamico, dove si percepisce una certa efficacia. Con la nuova generazione all’hombu dōjō ed in particolare con l’arrivo del pronipote di casa Ueshiba, speriamo che l’aikidō possa tornare a ciò che era all’inizio.
“La maggior parte dei praticanti vuole dedicarsi all’aikidō, ma senza soffrire troppo fisicamente, senza fatica, ma questa non è la via delle Arti Marziali, che richiede lo sforzo della caparbietà, il sudore, per un risultato che è sempre inevitabilmente al di là da raggiungere. A rischio di ripetermi, le arti marziali, qualunque esse siano, passano esclusivamente per la fatica, l’autodisciplina, il lavoro su se stessi senza autocompiacimento ma, il moderno appiattimento sociale fa sì che l’aikidō sia diventato per molti un passatempo, uno svago che pratichiamo come se fosse ginnastica. Oltre a questo, come concausa, non va dimenticata nemmeno la facilità con cui si concedono i dan diluendo sempre di più i requisiti.”

[Simone Chierchini] “Da diversi anni ormai, ciò che ho soprannominato in modo un po’ beffardo harmony-light sta guadagnando terreno nel mainstream dell’Aikido. Cosa ne pensa di questo approccio semplicistico all’armonia nella pratica che si basa su citazioni scorrette di Ueshiba e sull’ideologia hippie postmoderna così prevalente nell’aikidō ufficiale e politicamente corretto oggi?”
[Luigi Carniel] “Dibattito enorme! Penso che l’aikidō abbia venduto la sua anima al diavolo.
“Tengo particolarmente a sottolineare che tutte le arti marziali sono state recuperate, a scopo pubblicitario, nelle palestre, nel campo della moda, nel mondo del cinema (nel bene e nel male), e ciò le ha inevitabilmente allontanate dal vero mondo del budō. Il caso dell’aikidō è emblematico, perché le persone hanno subito una forma di lavaggio del cervello tale da farle talvolta sembrare lobotomizzate nelle loro convinzioni. Oggi abbiamo praticanti che sono completamente lontano dal contatto con la realtà.

“Di chi è la colpa? Certamente non dei praticanti, che credono in buonafede a quello che gli viene detto. La ragione può essere addotta a quella sorta di ‘specchietto per le allodole’ abilmente orchestrato dalla stessa Aikikai, che per mero interesse non ha fatto nulla per impedire questa nefasta deriva. Posso sembrare cinico, ma credo che la motivazione sia riassumibile nel detto: ‘gli affari sono affari’, molto caro al dorato mondo della finanza. Tuttavia, non credo che sia l’unica causa. Vedo lo specchio della società odierna in cui la violenza deve essere bandita, scacciata ovunque, sia verbalmente (attraverso il politicamente corretto) sia attraverso i comportamenti. Distorciamo persino i testi in modo che i nostri cari bambini non imparino la violenza. Per mancanza di coraggio, ci indulgiamo in questa ‘harmony-light’ che, inserita in seno all’aikidō, lo fa presentare come un’arte marziale pacifica. In questo modo si è convinti di praticare un budō non violento. Così però si dimentica che l’Uomo (parlo dell’essere umano, sic) è violento per natura, e che anche la cosiddetta ‘non violenza’ è, nei fatti, violenta essa stessa.
“Recentemente sono stato criticato da una persona che pratica precisamente questa harmony-light. La discussione si è inevitabilmente spostata sulla violenza della disciplina che insegnavo. Durante lo scambio verbale, gli ho fatto notare le contraddizioni nel suo discorso, in particolare il fatto che chiamava ciò che stava facendo un’arte marziale. È stato allora che mi sono reso conto che l’espressione ‘arte marziale’ non aveva significato per questo mio interlocutore. Quindi, è stato necessario fargli capire l’etimologia dei termini, che significano ‘l’arte della guerra’, e gli ho consigliato, di conseguenza, di dare un’altra definizione alla sua ‘pratica non violenta’. Ne è seguita una diatriba piuttosto veemente, soprattutto nei toni, nei miei confronti. In quel momento ho avuto la finezza di dirgli: ‘Guarda! Ora sei violento con me. Predichi bene ma razzoli male’.
L’Iconoclasta
Intervista a Luigi Carniel
The Ran Network – I Dialoghi Aiki #14
di Simone Chierchini, Roberto Granati
La conoscenza profonda del bugei antico di Luigi Carniel, il suo autentico desiderio di ritrasmettere immutata l’eredita ricevuta dai suoi grandissimi Maestri, il suo vastissimo sapere marziale, che va dall’Aikijujutsu al Katori Shinto Ryu, dal Karate Wado Ryu al Gyokushin Ryu Jujutsu, e che abbraccia anche la forgia e politura della spada giapponese, non può che contagiare. Come Carniel Sensei spesso ripete, queste conoscenze antiche hanno il valore di una lunga catena iniziata secoli fa e che affonda le sue radici nella storia stessa della classe samurai. Il suo compito è quello di contribuire a formare gli anelli successivi, solidi, che permetteranno a questa eredità di essere trasmessa, immutata, alle generazioni successive.
L’Iconoclasta, titolo che Luigi Carniel si è guadagnato per la sua caratteristica di esprimere quello
che pensa senza peli sulla lingua, è un testo che informa e conquista.
“Violenza, ecco la parola orribile che taluni vorrebbero estirpare dalla mente delle persone, nell’illusione di avere tutti una vita armoniosa, senza problemi, in un mondo idilliaco dove tutti sono belli e simpatici. Credo sia abbastanza chiaro che una cosa simile è una bella utopia ed in quanto tale irrealizzabile. La vita è, in qualche modo, violenza, e se comprendiamo bene questo allora ciò può essere usato per fin di bene. Se quando dobbiamo realizzare qualcosa non ci facciamo, noi stessi violenza, ossia ci costringiamo ad andare oltre i nostri limiti, non potremo realizzarci. Grazie proprio a questa caratteristica atavica dell’essere umano, se ci imponiamo su noi stessi possiamo riuscire a realizzare ciò che ci prefiggiamo. La violenza è dentro ognuno: sta ovviamente a noi stessi saperla gestire e canalizzarla, e proprio per questo le arti marziali sono lì ad aiutarci in tale sforzo.”
[Simone Chierchini] “A proposito di quanto sopra, penso che lei abbia sentito fin troppe volte frasi come ‘Non mi piace il Daitō-ryū perché è violento. Al contrario, studiare Katori Shintō Ryū con lei mi attira’. Come avviene il cortocircuito mentale in base al quale una scuola guerriera che utilizza una serie di armi con tecniche devastanti appare come ‘non-violenta’ nell’inconscio collettivo del marziale occidentale medio?”
[Luigi Carniel] “Eccome! ‘Sì, Vorrei praticare le arti marziali, ma non devono essere violente!’… Oppure: ‘Ho paura di soffrire, di farmi male, di avere un comportamento violento e brutale”… O anche: ‘Sì, mi piacerebbe esercitarmi ma senza tutto questo. Tuttavia il Tenshin-shō den Katori Shintō-ryū mi sembra meno pericoloso e meno violento quindi posso farlo’…

“Ancora una volta, questo modo di ragionare è il riflesso della società odierna, una società del tempo libero in cui tutto sembra facile e realizzabile nel breve termine, dove lo sforzo e il dovere sono proibiti, dove bisogna essere gentili, dove il politically correct è d’obbligo e il semplice partecipare ad un confronto verbale può costarti il tribunale. Tuttavia, inevitabilmente, insita in noi sussiste una scintilla di energia ‘primitiva’, di cui la violenza, piaccia o meno, è parte integrante. L’Uomo ha confuso la violenza con la malvagità, dandole così una connotazione peggiorativa.
“Tornando al cortocircuito mentale, non credo che le persone sospettino nemmeno di cosa si tratta. Hanno assistito a una bella dimostrazione con armi di legno (quindi a priori non pericolose) dove non c’è corpo a corpo, e quindi nessun rischio di lesioni. E allora pensano: ‘Ecco un’attività dove non mi succederà nulla’, senza rendersi conto che praticheranno l’arte più letale tra quelle insegnate.
“Ecco un episodio che mi successe durante un corso di Batto-dō (tameshi giri). Prima di tagliare il makiwara, diedi alcuni consigli di sicurezza, come mia abitudine, in modo da evitare incidenti. Nelle mie osservazioni, facevo notare che il makiwara doveva essere considerato come un bersaglio umano dove, quando la spada è ancora in aria la persona è viva e che una volta che la spada si è stata abbattuta sul bersaglio, questa ipotetica persona è morta. La spiegazione era intesa a spiegare che, per la morale antica dei guerrieri giapponesi, il fatto di uccidere efficacemente era un atto di compassione che evitava sofferenze inutili all’avversario.
“Non l’avessi mai fatto! Uno studente, quando fu il suo turno di tagliare, cominciò a tremare sempre più forte. Per lui era diventato impossibile calare la katana sul bersaglio perché le mie semplici osservazioni lo avevano completamente sconvolto. Per me è stato rivelatore di uno stato d’animo che non era pronto ad affrontare le vere sfide di un’arte marziale. La settimana successiva, lo studente si dimise. Questo episodio è significativo di un certo stato d’animo: “Voglio apparire ma non essere”. Quindi scelgo un’arte marziale che mi sembra non violenta, per ‘apparire’ e rifiuto l’altra dove è necessario ‘essere’. Ecco in breve cosa sospetto costituisca questa sorta di cortocircuito mentale: una totale ignoranza del contesto marziale e l’idea che l’harmony-light marziale possa aiutarmi nella vita.
“Tutto questo ovviamente veicolato da guru di ogni risma pronti a fregare l’ingenuo di turno.”
Note Biografiche
Il Maestro Luigi Carniel inizia lo studio delle arti marziali a 17 anni, nel 1962, praticando Karate della scuola Wado Ryu.
Nel 1964 entra in contatto con l’ambito Aiki e studia dal 1967 a Bienne Aikido, cosa che lo spinge, nel 1972 ad andare in Giappone presso il famoso Yoseikan a Shizuoka di Mochizuki Minoru Sensei. Sotto la sua guida comincia lo studio del Daito Ryu Aikijujutsu, del Katori Shinto Ryu e delle forme del Gyokushin Ryu jujutsu. Nel contempo perfeziona sempre presso lo Yoseikan il Karate con Sano Teruo Sensei, 9° dan.
Durante i 25 anni di continui viaggi in Giappone chiede ed ottiene da Mochizuki Minoru Sensei il permesso di poter perfezionare il Tenshin Shoden Katori Shinto Ryu (la più antica scuola di armi tradizionali, tanto da essere considerata “bene culturale del Giappone”), direttamente presso l’hombu dojo di Sugino Yoshio Sensei a Kawasaki. Nel corso dei suoi soggiorni in Giappone inizia anche lo studio del Batto-Do della scuola Kotoken Ryu sotto la guida diretta di Kotoken Kajihara che lo inizia ai segreti del Tameshi Giri.
Proprio grazie all’intercessione del Maestro Kajihara, Carniel Sensei ottiene il permesso si studiare la forgia e la pulitura delle lame tradizionali giapponesi. Questa attività lo porterà ad essere un rinomato forgiatore e pulitore, oltre che restauratore, con la creazione di pezzi unici, preziosi e raffinati, oggetto di ammirazione in numerose mostre. Annualmente dirige anche degli stage per la realizzazione di queste lame presso la sua forgia risalente al medioevo, dono del cantone di Neuchâtel al suo illustre cittadino.
L’esperienza marziale di Carniel Sensei ha fatto da base per lo sviluppo di tecniche di difesa personale per gli operatori della sicurezza, che dal 1978 lo vedono impegnato. Attualmente il Maestro dirige i corsi di difesa personale per la polizia cantonale di Neuchatel e la formazione dei nuovi poliziotti presso l’Istituto Svizzero di polizia.
L’attività di divulgazione delle arti marziali giapponesi del Maestro Carniel comincia nel 1969 quando fonda l’Accademiè Neuchateloise des Arts Martiaux Japonais (www.anamj.ch), che nel corso degli anni ha assunto sempre più la fisionomia delle antiche scuole per la formazione della classe bushi del periodo Edo, alle quali anche il prestigioso Yoseikan si rifaceva. Oggi infatti, presso il dojo dell’Accademie a Neuchâtel, (CH), è possibile praticare in giorni ed orari diversi, sia il Karate Wado Ryu tradizionale (non agonistico), sia l’Aikijujutsu della scuola Daito Ryu Seifukai, che il Tenshin Shoden Katori Shinto Ryu. Presso l’Accademiè si svolgono regolarmente anche gli stage di Tameshi Giri scuola Kotoken Ryu sempre diretti da Carniel Sensei. Attualmente il Maestro Luigi Carniel è 7° dan di Daito Ryu Aikijujutsu Seifukai, 6° dan di Karate Wado Ryu, 5° dan di Tenshin Shoden Katori Shinto Ryu e 2° Dan di Batto-Do Kotoken Ryu. Oggi Sensei Carniel, oltre ad essere il Presidente dell’Accademiè e punto di riferimento per molti insegnanti in Europa e nel resto del mondo, è il Presidente e Direttore Tecnico della 古流武道正風会 (Traditional Schools of Budo Seifukai).
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