Il Dojo è una Dimora


Silvano D'Antonio con Hiroshi Tada

Che cosa è per voi il dojo? Mille praticanti, mille spiegazioni/sentimenti. In questo intervento – tratto da Il Dōjō, opera realizzata da Marco Aliprandini che include la visione multifocale di 23 colleghi insegnanti – sentiamo cosa rappresenta il dojo per Silvano D’Antonio, maestro di lungo corso dell’Aikikai d’Italia e pilastro dell’Aikido altoatesino

di SILVANO D’ANTONIO

Il dojo è nel mio immaginario una dimora, una casa in cui si entra rispettosamente, si tolgono le scarpe; l’istruttore, come un genitore attento, attende, dopo aver dato il benvenuto, che siano arrivati tutti gli allievi, ospiti graditi, per iniziare a trasmettere loro la chiave di lettura dello sconosciuto mondo dell’aikido. La parola giapponese dojo diventerà familiare a chi ha iniziato a frequentarlo, sia come luogo della pratica, dove si richiede educazione e si viene guidati alla conoscenza dell’etichetta, che come tempo liberato dagli impegni quotidiani.

La serenità che lì si percepisce, aiuta ad allontanare i pensieri negativi che, a volte, offuscano la mente. La pratica costante nel dojo, da parte degli allievi, favorisce l’abitudine all’ascolto, al silenzio, ad un’introspezione utile nell’accettare sé e gli altri, ad aumentare la propria autostima, smettendo di giudicarsi perché inadeguati. Nel salire sul tatami si onora il luogo dell’allenamento con un primo inchino, il successivo, quello rivolto al ritratto di O-sensei Ueshiba, assume il significato del saluto ad una persona cara, un anziano “nonno” portatore di messaggi pacifisti, idealmente il “progenitore” del proprio maestro…

Non devono esistere distinzioni fra uomini o donne nel dojo, ma fratelli e sorelle di pratica, spesso di culture e lingue diverse. A testimonianza della straordinaria possibilità di venire a contatto, in questa mia terra altoatesina, con più idiomi, ricordo divertito due episodi che hanno coinvolto dei bambini piccoli, da poco tempo venuti in contatto con l’aikido. In un caso, il bimbo di madrelingua tedesca, raccontava alla mamma, con entusiasmo, di parlare nel dojo anche l’italiano ed il giapponese! Alla domanda quali parole avesse imparato nella lingua nipponica, rispondeva soddisfatto: “Kotegaeshi, ikkyo, iriminage, ginocchio”! Un altro ancora, era stupito dal fatto che mia moglie avesse il nome di un tipo di carne: Pancetta! Il vero nome, in realtà, è Concetta, ma al piccolo altoatesino doc, quel nome di origine meridionale, era praticamente sconosciuto.

Aikikai Bolzano

Queste mescolanze di sentimenti d’appartenenza, nel mio dojo, hanno sempre arricchito, mai confuso le persone. Io stesso, affascinato da tutti i dialetti, omaggio simpaticamente chi proviene da altre regioni imitando il loro accento inconfondibile! È proprio grazie alle innumerevoli storie personali di tanti allievi, intrecciate a quella del loro insegnante che, nel corso del tempo, quel luogo fisico, è diventato “luogo dell’anima” che non intimorisce, ma accoglie e valorizza le caleidoscopiche individualità di ciascuno, stratificando ricordi preziosi.

Lì, a distanza di decenni, come in un’immaginaria galleria di ritratti, riesco (incredibilmente per me che nel quotidiano sono distratto e poco fisionomista), a visualizzare volti, gesti ed emozioni di chi è entrato nel dojo e vi ha lasciato, in svariati modi, tracce della propria umanità.

Tratto da Marco Aliprandini: Il Dojo

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Marco Aliprandini: Il Dojo
The Ran Network – I Dialoghi Aiki #15

Il dōjō, il luogo dove si pratica la via, assume in questo volume appena pubblicato da The Ran Network un’intima centralità. Diventa maestro sopra ogni personalismo, contenitore significativo della ricerca profonda di ogni praticante di arti marziali.
Il curatore, Marco Aliprandini, coadiuvato dall’editore, Simone Chierchini, accompagnano il lettore in un viaggio attraverso alcuni significativi dōjō di aikido italiani ed esteri. Un viaggio che parte da Merano e prosegue verso Bolzano, Verona, Peschiera del Garda, Padova, Venezia, Milano, per poi toccare varie realtà significative come quelle di Bologna, Roma, Latina, Pesaro, La Spezia, Bari, e arrivare fino ai dojo di Lauria e di Cagliari. I vari testi e le numerose fotografie raccolte, anche da realtà francesi, svizzere, germaniche, americane e giapponesi danno un’idea, certamente non esaustiva – come specifica il Presidente dell’Aikikai d’Italia nella sua introduzione – ma rivelatrice di cosa significa questa parola-casa che accomuna e sostiene la via di ogni artista marziale.

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