Nelle arti marziali tradizionalmente il maestro è il capo indiscusso della scuola. L’insegnamento passa direttamente da lui agli allievi attraverso istruzione impartita in modo personale, senza alcuna assistenza da parte di terzi
di SIMONE CHIERCHINI
Questo insegnamento si basa su un metodo che utilizza il minimo in termini di concetti e parole. Lo studente deve abituarsi ad un metodo di apprendimento in cui si usano gli occhi più che le orecchie. La cultura occidentale, tuttavia, utilizza un sistema differente – siamo tutti abituati ad un sistema di apprendimento e di pensiero basato sul metodo logico-razionale. Nella pratica delle arti marziali l’accento è posto non sulla razionalizzazione della teoria, ma sul risveglio di ciò che viene prima del razionale. Le arti marziali si concentrano sulla scoperta di quelle forze libere e spontanee, che talvolta si manifestano naturalmente nei nostri gesti quotidiani.
Questa forza naturale è l’unica cosa che può aiutare in caso di un attacco improvviso. Questa forza permette di trovare una risposta corretta ad alcune delle tante situazioni complicate che viviamo quotidianamente. Tale metodo pre-razionale si basa sulla osservazione diligente e silenziosa di ogni gesto del maestro, sia sul tatami che nella vita quotidiana. Lo studente deve ripetere esattamente ciò che ha imparato dal maestro.
A un certo (variabile) punto nella formazione dell’allievo, quello che una volta era solo ripetizione, diventa parte integrante del suo essere. A questo punto l’allievo è pronto a mettere in pratica autonomamente quanto appreso – sia fisicamente che moralmente e spiritualmente.
E’ ovvio quindi che in una scuola di arti marziali il maestro e solo il maestro è responsabile per la linea della didattica. Questo è il motivo per cui egli è il maestro: egli è responsabile della creazione e della gestione di quello che potremmo chiamare una sorta di transfer. La costante e diligente pratica delle arti marziali crea questo transfer fra maestro e allievo.

Quindi nessuno deve dimenticare chi ha il compito di occuparsi della correzione degli allievi durante la lezione. Questo è un punto fondamentale e deve essere tenuto presente soprattutto da parte degli studenti di medio livello che praticano già da qualche anno. Dato che essi non hanno ancora molta esperienza e la loro formazione è incompleta, tendono a sovra-correggere gli errori dei loro partners, anche se essi non richiedono il loro aiuto. Questo succede anche quando l’allievo di livello intermedio ha capito solo una parte della tecnica proposta, che può avere in realtà mille aspetti a lui a tuttora sconosciuti.
Quando si è sul tatami, la prima dote da imparare è la modestia. Voglio far presente agli ex-principianti, ad esempio III Kyu, che se un Maestro 6° Dan si allenasse con loro correggendoli con la stessa fastidiosa pignoleria con cui loro correggono i principianti, essi non potrebbero fare un solo movimento senza subire correzioni. Rispetto al livello del Maestro, infatti, la loro tecnica è del tutto imperfetta. Ognuno deve permettere tranquillamente che il proprio partner sbagli. Invece di occuparsi degli errori del compagno di allenamento, bisogna cercare di capire e correggere i propri, che sicuramente sono in gran numero.
Gli allievi devono essere consapevoli che il maestro controlla e vigila su questi errori e dà l’importo corretto e adeguato di insegnamento – al momento giusto, direttamente allo studente e non attraverso un assistente. I veri maestri non smettono mai di prendersi cura dei propri studenti e osservano i progressi quotidiani di tutti.
Se per un motivo particolare uno studente anziano deve sostituire il maestro e dirigere una lezione, è suo dovere di rimanere il più vicino possibile al metodo di insegnamento del maestro. Si potrebbe, ad esempio, ripetere quanto fatto nella lezione precedente, dando a tutti la possibilità di ripetere e perfezionare la propria tecnica.
Ciò che è inaccettabile in un dojo di arti marziali è che in una simile occasione gli studenti anziani trasformino la lezione in uno show personale. Questo è un festival di egoismo e una pura perdita di tempo. Quello che viene proposto non ha nulla a che fare con ciò che il maestro sta insegnando e i compagni di allenamento sono sul tatami per questo e non per far da spettatori a manifestazioni di egocentrismo.
Il dojo funziona senza problemi solo quando c’è il rispetto totale per il ruolo di ciascuno.
Pubblicato per la prima volta nel 1992 su Aikido Dojo Katharsis Milano Newsletter
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