
In un immenso teatro in cui ci si contende la scena del primo attore con le prodezze nel ruolo di tori, mi permetto di lanciare un acuto stonato fuori coro e affermare a gran voce che la pratica dell’aikido è tutto ciò che si fa sul talami, sia come tori che come uke. Anzi rilancio ulteriormente, il bello del praticare aikido sta proprio nell’equilibrio dei due ruoli all’interno della pratica di ognuno di noi, praticanti e insegnanti
di MASSIMILIANO GANDOSSI
Ammetto senza vergogna che in alcune forme personalmente prediligo la parte di uke, intesa come quell’insieme di movimenti sensati di attacco, assorbimento di una tecnica e conseguente autotutela sapientemente miscelata col piacere di lasciarsi andare e lasciarsi, ad un certo punto, anche guidare.
Spero di poter dire, senza far torto al pensiero femminista del quale ho pieno rispetto, che questo è una qualità naturalmente femminile, che chiaramente è presente anche negli uomini e che ha ragione di essere sviluppata.
Naturalmente se siamo affetti da machismo storceremo il naso all’idea di sviluppare la nostra componente femminile , purtuttavia ne avremmo un notevole giovamento in termini di sensibilità applicata alle relazioni interpersonali.
In natura la femmina ha il grande potere di trasformare con la sua forza accogliente e armoniosa di trasformare qualcosa di fondamentalmente “aggressivo” come la spinta riproduttiva maschile in una magia come la vita (basta guardare un qualunque documentario per constatarlo). Questa natura risiede ancora in noi individui della società moderna che ci siamo un po’ allontanati da essa, e si esprime sia in modo positivo, con un’oscillazione alternante di azioni e reazioni con le quali il maschile e il femminile (indipendentemente dal fatto che chi lo esprime sia uomo o donna) si intreccia armonizzandosi, sia in senso negativo creando una forte sensazione di inadeguatezza e difficoltà di relazione.
E’ il caso , per fare uno dei tanti esempi possibili, della coppia che non riesce ad avere figli, situazione nella quale spesso alberga, almeno in una delle sfere di interazione, una certa “sovrapposizione di ruoli” che rende ormonalmente neutri i partner, oppure delle donne che per non “piegarsi” alle richieste della loro natura sviluppano atteggiamenti smisuratamente aggressivi e isterici o degli uomini che non avendo occasione o coraggio di il maschile in sé diventano depressi (ormonalmente neutri).
Durante il keiko si sperimenta il risultato positivo di una oscillazione armonica tra l’aggressione e l’ armonizzazione con essa e il conseguente sviluppo di un energia di insieme che nutre e permea entrambi i praticanti. Inoltre ci si passa in continuazione il testimone dello sviluppo di questa energia a beneficio reciproco. Uke attacca iniziando a mettere carburante nel motore, tori, armonizzandosi con l’attacco riceve il “timone” e muove l’energia sviluppandola nel senso del movimento intrapreso poi la “scarica” nella tecnica e a questo punto il testimone ritorna ad uke che subisce la tecnica attivamente armonizzando i propri movimenti di caduta o discesa con quelli della tecnica (anche sensatamente per evitare danni al corpo) e si rialza immediatamente per mettere dell’altro carburante quando ancora quello messo in precedenza non ha finito di bruciare. Così i due praticanti entrano in risonanza e dalle due onde si sviluppa una nuova onda di coppia che ha il doppio dell’energia.
In tutto questo trovo che uke abbia l’incredibile e importantissima responsabilità di essere colui che inietta sempre più carburante, con generosità, sentendo crescere il ki tecnica dopo tecnica e sviluppando una capacità di “accettazione” attiva e di abilità al cedere nell’ultima parte della forma che ai miei occhi è espressione di grande femminilità, una femminilità di cui ogni uomo potrebbe fare sfoggio con grande orgoglio e che crea i presupposti esperienziali per prendere confidenza con nuove modalità di gestione delle relazioni e anche dei diverbi che ne nascono di tanto in tanto.
Quante volte capita che da delle stupidaggini si creino delle discussioni enormi o delle fratture nei rapporti semplicemente per l’escalation di aggressività che scaturisce dal non saper “cedere” dal non saper fare tenkan di fronte ad una spinta ma reagire spingendo più forte!
Diverse volte mi è capitato di sentire esprimere critiche forti su un certo modo di fare aikido morbido accomunandolo in modo appunto dispregiativo alla danza, mi chiedo a questo punto se l’insofferenza nasca dal fatto che la danza viene vista come qualcosa da mollaccioni (raccomanderei di notare i fisici dei ballerini prima di esprimere un giudizio del genere..) oppure dal fatto che nella danza tutto viene concesso nei limiti di uno schema predefinito e concordato nel rapporto tra i due partner mentre nelle arti marziali questo schema iniziale da (o dovrebbe dare) la capacità di controllare anche attacchi al di fuori di esso e quindi permettere di essere controllanti e dominanti rispetto ad un potenziale aggressore. Mi risulta inevitabile chiedermi se sia così importante ai fini veri della pratica aikidoistica l’identificazione di questo confine e se non sia invece una insofferenza del tutto mascolina (e non solo maschile) all’abbandono, all’idea di essere guidati, un’insofferenza alla perdita del “potere”. Credo che sia più importante meditarci sopra nel proprio intimo piuttosto che cercare di dare una risposta a questo quesito.
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