
Secondo capitolo della nuova rubrica “Fai da Te” dedicato al budoka che ama il DIY. Proviamo a realizzare uUn jitte o jutte (十手, “dieci mani”), un’arma speciale usata dalla polizia nel periodo Edo in Giappone
di CARLO CAPRINO
Nella oplologia nipponica, un posto di rilievo è occupato dal jutte, arma tanto semplice quanto efficace, la cui importanza è testimoniata – tra l’altro – dal paragrafo ricco di illustrazioni dedicatogli a Ratti e Westbrook nel loro “I segreti dei Samurai”.
Come spesso mi succede, qualche giorno fa mi è venuta d’improvviso l’ispirazione di costruirne uno, complice il prossimo seminario di Daito Ryu Aikibudo che si svolgerà a L’Aquila e che si baserà – probabilmente – sulle tecniche di impiego di bastoni corti, simili nella forma e nell’utilizzo al jutte.
Da una veloce ricerca su internet ho constatato che, come anche per altre armi bianche, le dimensioni non erano costanti e fisse, così ho deciso di provare due dimensioni diverse, ovvero 35 e 40 cm, per provare poi praticamente eventuali vantaggi e svantaggi dell’una e dell’altra.
La realizzazione, una volta dotati della attrezzatura di base, è abbastanza semplice.
Ho tagliato con un seghetto alle dimensioni volute un tondo di acciaio da 16 mm di diametro, che doveva costituire il “corpo” dell’arma.
Da una barra di acciaio con diametro di 8 mm ho invece tagliato dei pezzi da 11 cm, che opportunamente piegati dovevano poi costituire il “gancio” laterale.
Quest’ultimo, nella parte libera, è leggermente piegato ed aperto verso l’esterno, in modo da favorire l’aggancio dell’arma o dell’indumento avversario.
Come appare dalle immagini, la barra di ferro originale presentava una notevole ossidazione superficiale, che ho provveduto a rimuovere con una serie di trattamenti successivi; prima con una spazzola con setole d’acciaio per togliere il grosso, poi con ulteriori passate di carta abrasiva, sino a riportare a vista il metallo pulito.
In questa fase ho preferito non approfondire troppo la pulizia, conservando qualche traccia di ossidazione ed – in genere – un aspetto “vissuto”.
Avendo a disposizione quattro pezzi, ho deciso di sperimentare anche quattro diversi tipi di rivestimento della impugnatura, anche in questo caso per valutarne praticamente pregi e difetti.
La scelta è caduta rispettivamente su un nastro di raso, un cordoncino spesso tipo passamaneria da arredamento, uno spago di canapa ed un cordino sintetico.
Il nastro di raso offre un ottimo risultato estetico ed una rapida e completa “copertura” grazie alla sua larghezza; di contro il limitato spessore e la superficie liscia e lucida non consentono una presa sicura e affidabile, almeno come sensazione tattile.
Insomma un rivestimento esteticamente gradevole ma forse sconsigliabile nell’impiego pratico.
Il cordoncino blu da passamaneria, stante il suo diametro, consente una rapida e completa copertura dell’impugnatura ed una presa stabile, di contro il suo notevole diametro crea qualche problema nei nodi di bloccaggio.
Al contrario di questo, il sottile spago di canapa obbliga ad almeno un paio di passaggi per il rivestimento completo dell’impugnatura, il risultato finale offre però una presa stabile e quel tocco di “grezzo” che ben si sposa con il complesso dell’arma.
Infine il cordino sintetico, che ad un buon risultato estetico unisce una facile e rapida realizzazione ed una presa comoda. Il tocco finale è stato quello di aggiungere a tutti i jutte (escluso quello con il rivestimento della impugnatura con lo spago di canapa, con cui ho realizzato una specie di “coda” con le estremità degli spaghi stessi) una nappa di passamaneria, simile a quella che tradizionalmente decorava i jutte nipponici.
Ora i quattro pezzi fanno bella mostra di loro su una rastrelliera, ed a fine mese li porterò con me a L’Aquila…
Hai visto mai che Certa shihan decida di testarli sul campo?
Copyright Carlo Caprino ©2008
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