Mi Chiamo Fuori…


Arrivederci

Ci sono dei momenti nella vita in cui si ripensa alle proprie scelte, al lavoro fatto e ai risultati finora conseguiti. Alcuni sono contenti di trovarsi dove sono, altri non si pongono neppure la questione, certi sono scontenti ma cementati sul posto, pochi continuano a muoversi

di SIMONE CHIERCHINI

Tanto la mia uscita dall’Irlanda – sia come paese che come comunità aikidoistica – quanto il mio rientro in Italia nel mese di giugno 2009, sono stati per me eventi dalle profonde ripercussioni culturali e psicologiche.

Lasciando da parte i fatti personali e le turbative socio-generazionali, in Aikido, dopo quasi 15 anni in Irlanda, ho lasciato un paese cui ho dato tanto, ricevendone in cambio con il contagocce, fiero comunque del mio percorso. Una volta tornato a casa, nel Belpaese ho finito per trovarmi del tutto straniero nell’associazione che la mia famiglia ha contribuito a creare, forgiare, sviluppare e dirigere per circa tre decenni.

Quello che oggi è l’Aikikai d’Italia, il modo in cui è gestita, il sistema non-sistema di selezione della classe tecnico-dirigente, il suo metodo di insegnamento (quale?), l’arroganza miope dei vertici vecchi e nuovi, l’atmosfera generale da Ministero Bizantino dell’Aikido mi sono totalmente alieni.

Diversi amici e colleghi tra i più illuminati con cui ho condiviso queste sensazioni mi hanno guardato un po’ sorpresi e mi hanno detto che questa associazione è sempre stata così, che non ci sono stati cambiamenti significativi di alcun tipo nell’ultimo ventennio, se non l’invecchiamento di chi gestisce la struttura, con conseguente irrigidimento (tutt’altro che aikidoistico) dei suddetti e dei loro delegati. Quelle elencate sopra sono le caratteristiche da sempre in essere nella fibra che costituisce questo ente, dicono gli amici, quindi perchè mi scaldo tanto?

Già sento l’eco dei cosiddetti eminenti grigi dell’Aikikai d’Italia, dalle loro stanzette di consiglio, nelle quali hanno sviluppato una disponibilità allo scambio dialettico con chi non è d’accordo con loro inversamente proporzionale alla loro capacità di connettersi con gli insegnanti sul territorio, e riassumibile nel seguente: “Ma che vuole quel rompiscatole di Simone Chierchini? Perchè non se ne è restato in Irlanda? Crede di poter parlare solo perchè si chiama Chierchini? O tace o gli facciamo causa!”. Minaccia, questa, peraltro già pervenutami in passato, per un articolo da niente, con lettera firmata dal Presidente dell’Aikikai d’Italia Franco Zoppi.

“State tranquilli: non voglio più niente”

State tranquilli: non voglio più niente. Non è mia intenzione, né aspirazione, far perdere iscritti all’Aikikai d’Italia, “ledendone il buon nome”. Da quando ho fondato questo blog mi sono sforzato al meglio delle mie capacità di seguire una linea omnicomprensiva, al di sopra delle barricate, seguendo un’ispirazione di stampo giornalistico anglo-sassone, parlando e facendo parlare tutti di tutto, in tono pacato, armonioso, e spero competente. Ho lasciato ai siti istituzionali delle varie associazioni la propaganda sulla bontà vera o presunta delle loro scelte tecnico-didattiche. Ho volutamente evitato che Aikido Italia Network si trasformasse nell’ennesimo blog in cui il saccente di turno parla sempre male di tutti, mentre ciascuno insulta tutti quelli che non la pensano come lui; questo anche a costo di bandire taluni dalle discussioni, a prescindere dal grado, facendomi così le ennesime inimicizie.

Dubito che qualcuno mi potrà dare del fazioso, e in ogni caso io so di non esserlo e tanto mi basta.

Tornando a quel che si diceva sopra, la mia posizione è la seguente: le associazioni sono, per legge, comunioni di persone che hanno deciso di riunirsi per un fine comune. Se la gente continua a restare dentro all’Aikikai d’Italia, se essa è ancora di gran lunga la maggiore associazione di Aikido in Italia, significa che i suoi insegnanti aderenti sono felici di come vanno le cose al suo interno, e io faccio a tutti loro i miei migliori auguri per un prospero futuro nell’Aikido.

Purtroppo per me, invece, i miei di occhi sono cambiati. Da buon allievo che ha bene o male lavorato per oltre 40 anni sui tatami del Budo, la mia vista si è sviluppata, e il mio olfatto pure, e al mio ritorno dalla verde Irlanda ho sentito una clamorosa puzza di bruciato. Sono sicuro di non essere l’unico, fra gli insegnanti, ma magari la genetica mi ha dotato di un cuore più grande, non facendomi capire cosa significhi aver paura; inoltre l’omertà nella mia personale religione è peccato mortale.

E come giornalista dell’Aikido, e uomo cui non è mai dispiaciuto di essere non allineato, per amore di informazione devo farvi partecipi di alcuni fatti.

L’Aikikai d’Italia fin dalla sua fondazione – parlo con cognizione di fatto, dato che uno con il mio cognome fra i soci fondatori c’era – è nata non per diffondere e sviluppare l’Aikido in Italia, ma per salvaguardare il lavoro di una sola persona, per difendere la sua particolarissima visione dell’Aikido, che non ha MAI avuto nulla a che fare con quella dell’Aikikai Hombu Dojo in generale, né tanto meno con quella della scuola di Iwama.

Pensate che sono un eretico o che semplicemente sono impazzito?

Liberissimi di pensarlo; se vi disturba quello che dico smettete di leggere. Ricordatevi però che sapere è potere, quindi, come ho fatto io, potete informarvi. Ci sono i documenti, le testimonianze scritte e le persone cui domandare. Chiedete. Allora vedrete chi è il pazzo…

Maestro e Allievo a Iwama

In Italia noi abbiamo fatto DA SEMPRE un Aikido che è frutto degli studi e delle interpretazioni personalissime di un super Shihan, ma pur sempre le sue, ripeto, lontane, assai lontane da quello che il Fondatore ha insegnato ogni giorno a Iwama per 26 anni a chi ha voluto esserci, per scelta, rimanendo accanto al proprio maestro, ogni giorno.

Morihei Ueshiba viveva a Iwama e lì insegnava. A Tokyo ci andava se e quando poteva e di certo non vi ha mai insegnato quotidianamente dopo la fine della seconda guerra mondiale. Chiunque dica di essere un allievo diretto del Fondatore e abbia iniziato dopo il termine del conflitto non può negare che l’unico vero allievo diretto di O’Sensei, l’unico che abbia praticato con lui ogni giorno per 26 anni, zappando inoltre i suoi cavoli nell’orto e ritrovandogli gli occhiali quando li perdeva in giro per il podere è Morihiro Saito Sensei.

Questo è un fatto storico innegabile.

Gli altri “allievi diretti” hanno visto il Fondatore se, quanto e quando hanno voluto, preferendo rimanere nella capitale a “gestire” l’enorme patrimonio marziale che continuava a scaturire quasi inesauribile da Morihei Ueshiba, riciclando i suoi insegnamenti a loro uso e consumo.

Gli scatti d’ira di O’Sensei all’Hombu Dojo sono rimasti leggendari; perché si arrabbiava così tanto? L’aria della capitale gli faceva salire la pressione sanguigna? O forse il maestro non era particolarmente contento di vedere cosa venisse insegnato a casa sua in sua assenza?

Comunque sia, il risultato di questa dicotomia fra ciò che veniva insegnato dal Fondatore a Iwama e quello che di ciò ne veniva fatto a Tokyo, è stato che oggi, in giro per il mondo, pochi fanno l’Aikido del Fondatore.

Infatti gli shihan successivamente delegati alla diffusione dell’Aikido da parte dell’Hombu Dojo – peraltro degli eroici missionari che hanno portato il verbo aikidoistico in giro per il mondo quando non interessava ancora a nessuno – hanno fatto il loro mestiere a metà, e non perché non volessero fare del loro meglio, ma perché non erano ferrati o non hanno voluto utilizzare per motivi politici il metodo che O’Sensei insegnava quotidianamente nel dopo guerra. Il sistema di base per l’apprendimento dell’Aikido esisteva ed esiste, è lì, bello strutturato, a disposizione di chi vuole usarlo: è il sistema di Iwama, e lo ha progettato con cura maniacale Saito Sensei a casa e nel dojo del Fondatore, sotto il suo sguardo e con la sua approvazione. Ma nelle associazioni nazionali di derivazione Aikikai Hombu Dojo – come anche all’Hombu Dojo – non si insegna e non si è mai voluto insegnare. Il perchè chiedetelo a loro.

Cosa si insegna al suo posto? Una vaporosa marmellata di seconda o terza mano di quello che lo shihan nazionale di riferimento ha ritenuto opportuno (o è stato capace di) insegnare. Ognuno poi nel suo dojo fa più o meno come gli pare, quando gli pare e se gli pare. Che io sappia questa è l’unica arte marziale, o arte, in cui gli insegnanti non sanno esattamente cosa insegnare, né quando.

Nelle lezioni di Aikido, anche di insegnanti titolati, si vede spesso l’equivalente di una mistura mal calibrata di un po’ di algebra, un tantino di Shakespeare e poi qualche esercizio per imparare a tracciare le lettere dell’alfabeto, a seconda di come l’insegnante si alza alla mattina. Sarebbe come se ogni maestro di scuola si arrogasse l’arbitrio di decidere se, come, cosa e quando insegnare ai poveri allievi. Per fortuna per questo esistono i programmi ministeriali.

Iwama Ryu Bukiwaza Mokuroku: il catalogo-certificazione delle armi dell’Aikido secondo Iwama

Nelle arti marziali giapponesi classiche esiste un programma di allenamento preciso e rigido e a nessuno verrebbe mai in mente di insegnare fuori dallo schema dato dalla scuola. Seguendo lo schema dato, generazioni di praticanti hanno avuto la possibilità di toccare i vertici dello scibile di quel campo, aggiungendo all’impasto il loro impegno indefesso e continuo, speso nella convinzione della bontà della tradizione della scuola medesima. Nel Katori Shinto Ryu lo fanno da diversi secoli, tanto per fare un esempio. Anche a Iwama il Fondatore seguiva un suo personale schema didattico, rimanendo, almeno in questo, nel solco delle arti marziali classiche giapponesi.

A questo punto, a chi è curioso di natura raccomandiamo di dare un’occhiata al programma di una qualsiasi associazione che segua la linea di Saito Sensei per rendersi conto che, in termini di didattica, dalle nostre parti qualcosa è sempre stato assolutamente fuori posto.

Se poi si va a praticare assieme agli allievi di linea Saito, dato che non mordono e sono spesso nostri vicini di casa, amano l’Aikido come noi, e sono serissimi nella loro pratica (e inoltre tengono spesso seminari di altissimo livello dalle Alpi alla Sicilia), è anche possibile provare con mano la loro marzialità, il loro rispetto assoluto per la tradizione dell’arte, la loro precisione tecnica, la loro minuta cura dei dettagli, la loro conoscenza esatta di cosa viene prima e di cosa viene dopo, cosa è base e cosa è avanzato, e cosa è un non-necessario vaniloquio egocentrico dello shihan di turno.

Essi non trascorrono anni agitando in aria un jo nel pedissequo scimmiottamento dei movimenti “creati” dal capo, ma seguono un programma tecnico di armi sapientemente strutturato, che va da zero a un milione, contando ogni numero in mezzo e conoscendone l’esatto significato. E, guarda un po’, si tratta dell’Aikijo e Aikiken (Buki waza) derivato dal Fondatore dell’Aikido, Morihei Ueshiba, del cui nome ci riempiamo spesso a vanvera la bocca.

Io quanto racconto sopra l’ho fatto, e dopo un anno di risciacquar i panni in quel di Iwama, ho deciso che questo è l’Aikido che OGGI voglio fare e che avrei sempre voluto fare. Mi ci sono voluti 39 anni di Aikikai per scoprire che esiste un sistema, elaborato dal più diretto, autentico e fedele allievo del Fondatore Morirei Ueshiba, sotto la supervisione del Fondatore stesso, per imparare, sviluppare, comprendere e insegnare l’Aikido originale, ossia quello di chi l’ha concepito, e non quello rielaborato da qualche shihan che vide O’Sensei alla domenica per 3-4 anni.

Peggio per me. Potevo informarmi meglio.

Certo, la mia associazione madre non mi ha mai aiutato, dato che come a me, ha da sempre precluso a tutti i suoi iscritti la possibilità di praticare sotto Morihiro Saito Sensei o chiunque altro della sua linea, all’interno dell’Aikikai d’Italia.

Come? Aprite le orecchie, perché vi riferisco un altro fatto storico innegabile.

Mio padre, Danilo Chierchini, era presidente dell’Aikikai d’Italia quando nel 1984 Paolo Corallini venne a offrirgli su un piatto d’argento l’organizzazione del primo seminario italiano di Morihiro Saito, aggiungendo, come piccolo cadeaux, che lui si sarebbe sobbarcato le intere spese! Il presidente dell’Aikikai d’Italia, Danilo Chierchini, il cui reale potere decisionale era zero, dopo aver sentito chi stava nella stanza dei bottoni, tornò indietro e disse a Paolo Corallini “No, grazie. Non è possibile”.

Da lì partì un muro di ostilità verso tutto quello che proveniva da Iwama via Osimo, un’ostilità che perdura con la stessa pervicacia a tutt’oggi: un maestro, a me altrimenti carissimo, incise su marmo il punto di vista dell’Aikikai d’Italia in proposito, scrivendo sulla rivista Aikido, all’epoca diretta dal sottoscritto, che Saito veniva in Italia a “pascolare nei prati altrui”.

Masakatsu Agatsu, la vera vittoria e’ quella su sé stessi

Anche se la storia ha poi vendicato Paolo Corallini, facendone il primo e unico – per ora – italiano ad aver ricevuto il 7° Dan Aikikai dal Doshu dell’Aikido Moriteru Ueshiba (nonostante le potentissime obiezioni di quella stessa persona che siede nella stanza dei bottoni di cui sopra), 27 anni dopo, all’interno della comunità aikidoistica dell’Aikikai d’Italia i più neppure sanno che cosa sia Iwama, dove sia e cosa rappresenti il suo patrimonio per l’Aikido. Non parliamone poi di lavorare assieme, andando ad apprendere vicino alla sorgente.

Colpa loro, anche se potentemente aiutati nell’errore.

E’ sempre stato così, a tutti i livelli, con una durezza che è il contrario del messaggio dell’Aikido: direttamente o indirettamente questa associazione si è sempre liberata di chiunque non abbia voluto seguire le orme del capo e dei suoi amici. Le associazioni “concorrenti” sono dirette nella maggior parte dei casi da fuoriusciti dell’Aikikai d’Italia, colpevoli di non pensarla sempre e solo come volevano i suddetti, e ingenui abbastanza da pensare che la dialettica assembleare potesse cambiare le cose. Alla fine si sono giustamente scocciati e se ne sono andati, quando non li hanno cacciati prima. Quanti presidenti dell’Aikikai d’Italia, a parte il corrente, sono ancora all’interno dell’associazione? Risposta: zero.

Chi è rimasto, e parlo di quelli che hanno diretto l’associazione sul campo, hanno ufficialmente e politicamente professato lealtà al superiore, salvo poi – a parte rarissime eccezioni – insegnare tutto meno quello che lui proponeva come “sistema”.

Vista dall’esterno, con un occhio mediamente esperto, la situazione didattica dell’Aikikai d’Italia è un marasma assoluto in cui ognuno fa quello che gli pare e i più si barcamenano assecondando i capetti di turno.

Io non ci sarò. Mi chiamo fuori.

Sarò impegnato a studiare, e studierò, per una volta, il sistema di Aikido più vicino possibile a quello di chi l’Aikido l’ha creato. Per farlo, le circostanze mi obbligano a iscrivermi ad un’associazione diversa da quella cui quasi geneticamente mi sento legato. Pazienza. I miei amici e colleghi rimarranno tali, degli altri non mi curo.

Per rispetto alla mia coerenza intellettuale e morale, anche se dirigo e ho diretto uno stage o due in giro fin dal 1992, mi ritirerò dall’insegnamento dell’Aikido al di fuori del mio dojo di Vasto, prendendomi un anno sabbatico, perché andare a insegnare quello che uno sta imparando non è moralmente corretto, oltre che professionalmente disonesto, anche se è una tra le pratiche più diffuse tra i cosiddetti professionisti dell’Aikido di ogni grado e latitudine.

Questo è il motivo per cui io faccio Aikido, imparare e cercar di migliorare umanamente. Arroccarsi sui propri passati errori non è Aikido, ma piuttosto la sua negazione.

Copyright Simone Chierchini © 2011
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38 pensieri riguardo “Mi Chiamo Fuori…”

  1. Caro Simone, ti ho conosciuto prima per fama (assolutamente positiva peraltro, presso il dojo del Maestro Fujimoto) e poi online su FB e anelo a conoscerti di persona perchè la “frequentazione” di penna di questi mesi hanno sempre più aumentato il piacere di scambiare messaggi e il desiderio di condividere almeno in parte ciò che percorriamo a 500 km di distanza e sicuramente anche ad un’altra distanza che è quella dell’esperienza in anni di pratica. Non posso che rammaricarmi dell’amarezza che devi aver provato e che devi provare nel vedere che ciò a cui hanno lavorato i tuoi genitori sia oggi una realtà dalla quale senti di dover prendere le distanze in un modo così netto.
    Mi dispiace per te.
    Per quanto riguarda le considerazioni relative ad Iwama, noto purtroppo che spesso questa dicotomia risulta incolmabile, e personalmente se in parte sono d’accordo con le tue parole (strutturazione del programma didattico e attenzione per alcuni particolari tecnici) non posso non considerare che il risultato sia in termini di pratica e umani di chi si dedica allo studio di questo stile siano ben lontani da come almeno in apparenza era l’aikido del fondatore (filmati di repertorio e racconti di chi lo ha conosciuto di persona). Mi limito all’osservazione della realtà. Ho frequentato e frequento senza scrupolo alcuno seminari di ogni scuola senza pregiudizi, ho conosciuto belle persone dappertutto così come persone odiose dappertutto.
    Ho notato , fatta eccezione solo per Marco Rubatto che ho avuto il vero piacere di conoscere alla aiki marathon, che TUTTI gli insegnanti che praticano e insegnano Iwama ryu, sono accomunati proprio da questo spasmodico studio di aspetti tecnici strutturati che poi diventano totalizzanti in termini di tempo speso nel dojo e che quindi poi nel tempo diventano l’aikido, ma non sono l’aikido.Il kihon diventa tutto e questo comporta l’effetto di fermare il corpo, stimolando l’acquisizione di capacità tecniche, di (perdonami il termine) “trucchi” per sopraffare l’altro indipendentemente dalla sua forza, e dall’imitazione degli aspetti estetici del Maestro Saito che io non ho conosciuto personalmente perciò di cui non mi sento di parlare ne bene ne male, ma che ritengo fosse inevitabilmente condizionato dalle sue caratteristiche fisiche e psicologiche ben evidenti! E credo inoltre , da ciò che ci arriva degli scritti, dei discorsi, delle avvampanti scenate pubbliche raccontate di O sensei, quest’ultimo trovasse tremendamente limitato l’approccio tradizionale dello studio del budo nei koryu proprio perchè eccessivamente strutturato!! O sensei criticava questa attitudine dei suoi connazionali ad essere quadrati, e dimostrava in continuazione come l’aikido (almeno da quello che è visibile nei video che lo riprendono) fosse proprio quella impalpabile, non inscatolabile, e straordinariamente umana capacità di connettersi col divino che esce dagli schemi fissi. Si parte sicuramente dalla tecnica per poi uscirne attraverso il ritmo, il movimento e si ritorna alla naturalezza, al movimento puro armonioso, libero. Ripeto l’unico Insegnante (io lo chiamerei volentieri Maestro oltre che Amico) di Iwama Ryu che ho visto esprimere questo è Marco Rubatto, per il resto ho visto tanta rigidità , tanti complessi di superiorità, tanto non movimento e tanti corpi da sumotori che giustificavano le caratteristiche appena citate. Certo , sapere che tu stai intraprendendo questo studio mi accende la speranza che da te possa uscire (e in breve tempo) una interessante sintesi che mantenga ciò che di bello fa parte della tua già importante storia Aikidoistica. Spero che la nostra frequentazione futura ci consenta non solo il confronto telematico ma anche delle belle conversazioni e magari tanta pratica comune. un abbraccio. Max

  2. Simone,ammiro il tuo coraggio….
    sono senza parole!

    Andrea Campisi via Facebook
    Friday 26/08/2011 at 19:40

  3. Carissimo Simone
    Mi scuso gia dall inizio per il mio povero Italiano ma essendo di lìngua madre Tedesca attualmente non riesco in meglio.

    Da una parte ti comprendo forse meglio di chiunque altro nel mondo dell’Aikido, dall’altra parte mi scombussoli un po i miei pensieri personali.
    Nel tuo commento sull Aikikai dÌtalia dici cose che si vedono in ogni associazione, by the way or in a way anche nel Gruppo Iwama.
    Non nego che nell`Aikikai Italia ogni mestro fa un po’ la sua cosa.
    Ma alla fin dei conti anche tu nei ultimi ventanni hai fatto quello che per te sembrava di essere la miglior cosa. Alla fine dei conti l`Aikido viene praticato nei Dojo e non sulle scrivanie dei delegati di una associazione.
    Dall àltra Parte, se non ci fossero le associazioni ci sarebbe un Mare di dispersi che fanno di tutto per non annegare.

    Personalmente se a una persona piace il systema dell`Iwama lo puo praticare senza problemi. Arrivera il giorno che forse pensera nella stessa maniera dell`Iwama come tu la pensi Oggi del AIkikai Italia.

    se veramente e’ come tu dici che c’e’ la Puzza, allora si deve incominciare a pulire, con calma, astuzia e sincerita, senza pretese di ricevere qualcosa in cambio.
    Forse un giorno si riesce a raggiungere il traguardo e forse la propria Vita non e’ lunga assai per cambiare qualcosa. Ma alla fine si puo dirsi che almeno si e’ cercato di farlo senza voltare le spalle a nessuno ma dando una mano anche se questa in prima instanza viene respinta.

    Sai Simone, ho qualche Anno piu di te sulle spalle, sono uno dei “vecchi” nella nostra associazione, combatto da decenni per dei cambiamenti, qualche volta ci riesco e qualche volta devo riprendere l`azione di nuovo per arrivare al traguardo.

    Un ultima cosa, nel passato ho visto che ognuno cerca di scrivere la “storia” nel modo che fa comodo di piu’ a se stesso. Anche tu, leggendo fra le righe del tuo commento, c’e’ qualcosa che ancora non ci hai detto.

    In futuro ci farai vedere tu stesso quello che l`Aikikai Italia ti ha rifiutato e quello che nel Iwama ti hanno Promesse ed andrai incontro.

    Alla fine sono contento che tu continui ha praticare Aikido.
    Con profonda amicizia

    Renato Filippin via Facebook

    Friday 26/08/2011 at 20:09

  4. Caro Maestro,
    avendo iniziato a praticare l’Aikido dal 1980 e avendo vissuto quello che tu stai dicendo ti apprezzo come praticante e professionista alla ricerca della fonte …. senza preconcetti o individualismi esasperati anche con gli occhi a mandorla !!!

    Giovanni Intersimone via Facebook
    Saturday 27/08/2011 at 21.02

  5. Io me lo sono chiesto Simone e ho dato la mia giovinezza

    Rino Bonanno via Facebook
    Saturday 27/08/2011 at 22.56

  6. Caro Simone,
    non ci conosciamo ma penso che tu abbia preso la giusta decisione, la TAAI è un’associazione molto seria, il M° Paolo Corallini è senz’altro il tecnico italiano più preparato e considerato sia in Italia che all’estero. Concordo su quanto hai scritto e ti faccio tanti auguri per la nuova “via” intrapresa, io, come ti diranno, non sono più membro TAAI ma si tratta solo di una decisione presa in seguito ad attriti personali tra me ed il M° Corallini che mi hanno portato a pensare di non essere più utile alla TAAI…. Comunque, attualmente, considero il M° Corallini l’unico che mi può insegnare ancora qualcosa (pratico Aikido da più di 41 anni) mi spiace solo che si conceda in Italia con il contagocce…
    Avrei voluto venire ad Osimo a Settembre per assistere alle Sue lezioni ma e non me ne vogliano gli altri che insegneranno e che sono miei amici io ho bisogno solo delle Sue lezioni e basta…. Ciao e congratulazioni….

    Massimo Aviotti
    Sunday 28/08/2011 at 9.00

  7. A complemento del commento che ho scritto sul blog, vorrei solo proporre una riflessione sulla quale magari scriverò qualcosa di più approfondito, Se pensiamo di conoscere Socrate leggendo Platone ci sbagliamo, se pensiamo di conoscere Socrate leggendo Antistene ci sbagliamo, conosceremo invece i limiti di Platone e Antistene se ci rivolgeremo verso i passi di Socrate e andremo in cerca di quello che ha cercato anche lui…. buki waza…kihon…stili….tecnica….scuole…. umanità, egoismi, illusioni e l’AIKIDO?

    Max Gandossi via Facebook
    Sunday 28/08/2011 11.00

  8. Sono convinto che la ricerca non sia mai finita e a volte dopo tanti anni di pratica fedele e di tanti Maestri visti e vissuti rimane sempre la voglia e la curiosità di tornare alla fonte… di fare Mysogi depurarsi di tutto senza dimenticare il passato e cercare con cuore puro la fonte qualunque essa sia.
    Seguiro’ con interesse tutto quello che scriverai un sincero in bocca al lupo.

    Alessandro Lanzarotti via Facebook
    Sunday 28/08/2011 at 12.10

  9. Ah… caro Simone, ho letto con estrema attenzione il tuo sfogo su “Aikido Italia Network” e, fraternamente, mi sento di darti un consiglio: tieni sempre nettamente separate la pratica e l’organizzazione della pratica!
    Non c’è gratificazione aikidoistica nelle organizzazioni (a meno che essa consista nel far raccolta di diplomi e cariche associative sgomitando con il coltello fra i denti…).
    E, caro Simone, non coltivare neppure l’illusione di poter trovare l’organizzazione eletta, quella dura e pura che sia la depositaria esclusiva dell’Aikido del Fondatore, perchè altrimenti si spalancheranno per te le porte dell’inferno delle più cocenti ed amare disillusioni… 😉
    Sono solo le persone che contano, non le organizzazioni, specie in una disciplina di relazione come è quella dell’Aikido: potrai raggiungere la gratificazione aikidoistica che cerchi solo in un genuino rapporto personale “I shin den shin” (以心伝心 cioè che va al di la di parole, schemi, didattiche precostituite) basato innanzi tutto su un “idem sentire” con le persone con cui ti relazioni, condizione necessaria a raggiungere l’idem sentire del proprio Sè individuale con il Sè universale, che resta l’unico ed il solo obiettivo finale della pratica aikidoistica.
    Se quindi senti, in cuor tuo, di aver bisogno di avere maggiori certezze tecniche per la tua pratica aikidoistica, fai bene a rivolgerti alla scuola Iwama, che dispone di un bagaglio tecnico minuziosamente e rigidamente codificato e che quindi può infonderti quella maggiore sicurezza tecnica di cui forse senti il bisogno ma, se posso permettermi un secondo consiglio, proprio perchè mi è parso che le parole che hai scritto nel tuo blog esprimano un anelito ad attingere, per quanto oggi possibile, direttamente dall’insegnamento fornito dal Fondatore, ebbene rammenta allora che Morihei Ueshiba in vita fu tassativo nell’affermare che in Aikido non esiste kamae e non esiste kata, il che significa che il movimento dell’Aikido non può essere cristallizzato in sequenze e posture rigidamente codificate, neppure se tratte dalla pratica del Fondatore stesso… 😉
    Praticare Aikido significa esprimersi liberamente secondo l’impulso interiore che scaturisce sul momento dall’unione del proprio KI individuale che ciascun praticante realizza in armonia con il KI dell’universo…
    Evita quindi ri riporre le tue aspettative nella Scuola Iwama in quanto tale, ma riponile nelle persone con cui scegli di relazionarti: personalmente posso dirti che Paolo Corallini, con il quale mi sono recentemente incontrato sul tatami in occasione di uno stage, oltre che essere un valente insegnante è una persona squisita, così come ho incontrato in Torino altri validi insegnanti della stessa scuola con cui sono in relazione e con cui ho frequenti incontri, ma sono tutte persone il cui valore sta in loro stessi più che per merito della loro scuola di provenienza, così come penso si possa dire anche di te, caro Simone, a prescindere di quale organizzazione aikidoistica sia la tessera che ti porti in tasca.
    Buon keiko, Simone, e guardati dalle organizzazioni… ;-))

    Claudio Pipitone via Facebook
    Sunday 28/08/2011 at 13.18

  10. Ti ringrazio per questo bellissimo articolo, ho iniziato 11 anni fa con l’Aikikai a Roma (nell’allora “Scuola Centrale”) e senza farne un resoconto non ne ho ricevuto un riscontro favorevole, prima di tutto per il quotidiano cambio di maestri, che di conseguenza insegnavano le stesse tecniche in maniera diversa, quindi, non si avvalevano di uno schema codificato unico. Mi resta comunque la sincera cortesia e disponibilità di tutto il corpo insegnante e di tutti gli allievi. Ho scelto in seguito di seguire l’Iwama Ryu.
    Non è per fare differenze che scrivo queste righe, ma per una mia umilissima precisazione (protesta?), in quanto ancora oggi si continua ad ignorare un personaggio come il maestro Giorgio Oscari VII° dan ATAGO, allievo diretto di Morihiro Saito sensei, sucessore del fondatore Morihei Ueshiba alla scuola di Iwama.
    Il maestro Oscari ha affrontato numerosi soggiorni in Giappone (sempre come Uchideshi), per studiare direttamente con Saito Sensei e i suoi sforzi sono stati riconosciuti con il conferimento del V° Mokuroku e il V° dan Aikikai.
    Il maestro Saito fece la sua scelta concedendo il VI° dan al M° Corallini ed il maestro, onore al merito, sta dando anima e corpo per la divulgazione dell’Iwama Ryu.
    Il maestro Oscari è prima di tutto una persona semplice, solare ed onesta, insegna il Takemusu Aiki così come trasmessogli dal M° Saito, senza un minimo di arroganza, anzi mai ho incontrato un maestro di questa levatura mettersi al pari degli allievi più inesperti. Ha sempre lodi per tutti e incoraggia gli allievi continuamente. Durante i suoi stage controlla OGNI allievo, dandogli consigli con la sua consueta gentilezza.
    Vorrei che gli fosse riconosciuto quel che gli si deve.
    Questo è tutto

  11. Si, nel mio vagabondare aikidoistico mi è capitato di praticare un paio d’anni in un dojo di Iwama ryu, entrato con la cintura bianca [per rispetto visto che non sapevo quali fossero le differenze], dopo un mese l’insegnante mi mise al posto di sempai…il che vuol dire che probabilmente le singole persone sono assai più aperte e disponibili ad interagire tra loro, piuttosto che le organizzazioni. Del resto, per quello che penso, Saito sensei ha conservato gelosamente la sttruttura di alcune tecniche, tuttavia non ha fatto altrettanto per ciò che non rientrava nel suo modo di pensare, come alcune forme di aikitaiso e respirazione, che possono essere rinvenute peresso altri Maestri ancora. [penso alla scuola di Hikitsuchi o in Kanshu Sunadomari]. Di fatto diversi maestri di Iwama, come Alessandro Tittarelli, svolgono attiva ricerca in questi campi, testimoniando che la Via non si conclude con la tecnica in se. Infine, se si osserva con occhio attento gli embukai degli allievi di Saito sensei, si osserva che c’è una postura ed un modo di impostare le relazioni interne al corpo [diversamente non saprei esprimermi] che è significativamente distinguibile da quello di O-sensei, il che è naturale, in quanto i rapporti interni ad ogni singolo corpo variano; il problema sorge con gli studenti che copiano pedissequamente. Insomma: per quanto mi rigurda l’Iwama ryu è una validissima sorgente ma, come per qualunque altro ryu, l’Aiki è qualcosa di infinitamente più grande, che trascende la stessa tecnica, anzi, dalla mia esperienza l’Aiki inizia dove la tecnica sparisce completamente. Ed in questo c’è anche la mia personale ctitica, che vale tanto per l’Aikikai che per l’Iwama ryu: non è possibile studiare le tecniche di Aikido come se si trattasse di “trappole in cui far cadere un attaccante”, visto e considerato che Osensei ha fatto di tutto per renderle “inefficaci” da questo punto di vista [come ben sappiamo basterebbe aggiungere qualche spazzata per renderle ben più pratiche, come nel Daito]. Nel mio stadio attuale di pratica vedo ogni tecnica come un katà a coppie di ken, che comprende precise reazioni di uke. Ritengo tuttora inconcepibile come, nello spiegare la serie ikkio – nikkyo – sankyo – yonkyo, non abbia ancora incontrato un insegnante che chiarificasse come le reazioni di uké cambiano in ognuna di queste forme, ed è da questo che “si determina” la forma. Insomma, per finire si, nella didattica c’è un lavoro enorme da fare, e lo svantaggio dell’Aikikai è tuttavia anche una potenzialità, proprio perché permette di sperimentare moduli di didattica completamente nuovi [non variazioni tecniche, ma metodi diversi per insegnare le stesse tecniche]. Un campo di studio eccitantissimo, direi!

    Valentino Traversa via Facebook
    Sunday 28/08/2011 at 18.18

  12. @Valentino. Sai ho studiato Aikido con l’Aikikai e e Iwama e Daito. Ciò che proponi io lo conosco da tempo, ma è difficile nell’aikikai renderlo a tutti. Solo negi miei stages riesco e ai miei allievi. Salutami Federico . Rino Bonanno. Simone farà le sue scelte. E’ un uomo. Fra poco non ci sarano più i nostri vecchi maestri. Allora ci sarà da decidere per sempre. Non federazioni ma maestri. Per me è difficile ho 60 anni di cui 40 passati a praticare aikido. Ci vorrebbe un’altro tada, dato che ne so di più degli altri. Il dramma è il nostro.

    Rino Bonanno via Facebook
    Sunday 28/08/2011 at 19.15

  13. Non ho titolo per commentare a livello tecnico storico la questione, ma sono felice di poter stringere la mano di persona al M° Simone Chierchini, se riusciremo ad incontrarci ad Osimo.

    Carlo Caprino

  14. Complimenti! non mollare mai e sii forte della tua decisione, considerandone le motivazioni che hai spiegato. in bocca al lupo!

    Aikido Italia via Facebook
    Monday 29/08/2011 at 13.15

  15. Caro Simone hai tragicamente ragione!

    Stefano Romagnoli via Facebook
    Monday 29/08/2011 at 15.05

  16. Caro Simone,
    sono un giovane Aikidoka che viveva di sogni ma che si e’ subito accorto di quanto sia un incubo; vedo gente che lecca, che paga, che compra solo per avere un titolo e dopo qualche grado o nomina in piu’ si permettono di fare sermoni dall’alto del loro piedistallo.
    Io credo solo che bisogna praticare con lo sguardo fisso avanti senza cercare nulla da varie federazioni o associazioni anche perche cio’ solleva una domanda: cosa andavi cercando?

    Davide Mela Ghezzi via Facebook
    31/08/2011 at 13.16

  17. Ciao Simon,
    come io la penso tu lo sai benissimo, ed è pure raro che mi esprima nei blog, per alcune “pubblicizzate” personali idiosincrasie, ma poiché mi piace stupire innanzitutto la mia parte idiosincratica, dirò pure io qualcosa.
    Condivido lo spirito e l’interiorità che fa dire a Claudio Pipitone certe cose, e le mie osservazioni non vogliono certo contraddirlo.
    Pure l’appartenenza a qualche organizzazione è necessaria, a patto di non dimenticare mai il male insito, l’aspetto ombra di qualsiasi consociazione umana. Io che vorrei in certi momenti dimettermi da italiano, mi accorgo che bisogna non sfuggire gli aspetti ombra, anzi conviverci necessariamente a lungo (non in eterno e a tutti i costi), perché ci insegnino a fondo com’è che stanno veramente le cose, innanzitutto in noi stessi.
    Tu che sai quanto io ami soffermarmi sulle parole di Osensei, non mi è sfuggita una sua frase che ho tenuto a mente per un bel pò, e che è stata una, forse la motivazione sostanziale di certe mie “appartenenze”.
    “IL MIGLIOR POSTO DOVE ALLENARSI? ALL’INFERNO!”.
    Più vado avanti più provo gioia nei sempre differenti posti dove pratico Aikido, tranne che in uno, in quella organizzazione a cui tu hai detto ciao.
    Poiché tutti i vissuti sono soggettivi ben potrebbe appartenere a quelle sopra mentovate personali idiosincrasie, poco onorevoli come tutte le idiosincrasie, la scaturigine dei miei vissuti. Così per eliminare qualche dubbio, avendo di recente preso gusto alla narrativa, renderò nota una storiella.
    Devi sapere che da insegnante di Aikido io non ho mai esaminato un mio allievo; semmai ho esaminato allievi altrui, anche per gradi dan, venendomi affettuosamente imposto da chi su di me ha autorevolezza, prima ancora che formale autorità di maestro. Mi riferisco a Paolo Corallini shihan.
    Un giorno di qualche anno fa, ricevo una telefonata sul mio portatile da parte della segreteria di quella su menzionata organizzazione, con la quale mi si dava notizia che mi veniva revocata la qualifica di esaminatore, perché mi mancava qualche giorno di frequenza obbligatoria, a quei seminari sui quali ti sei diffuso abbondantemente in passato, e in questo tuo “mi chiamo fuori!”. Mi limitavo a far presente da subito che della qualifica di esaminatore non mi ero mai servito, e che potevano quindi levarmela tranquillamente.
    ‘Pochi sanno che la mia qualifica di esaminatore per l’Aikikai d’Italia era quella riservata ai terzi dan, per cui a un certo punto ritenevo opportuno comunicare formalmente le mie “credenziali” Honbu Dojo a detta organizzazione ( a cui tutt’ora appartengo), ovvero il 4° e 5° DAN con tanto di autografo di Ueshiba Moriteru doshu, e fare formale richiesta delle qualifiche connesse. La richiesta era solo al fine di stanare quale posizione intendesse assumere l’Aikikai d’Italia rispetto a qualifiche rilasciate dall’organizzazione madre, e dalla quale la stessa deriva il suo potere di rilasciare gradi, riconosciuti appunto dall’Aikikai di Tokio. Anzi per il quinto dan, si legge nel regolamento della suddetta associazione italiana che lo stesso “viene rilasciato direttamente dallo ZAIDAN Hoshin, su segnalazione del Direttore Didattico…”
    Dopo un bel pò di tempo, ricevo una mail da parte dell’Aikikai d’Italia in cui -udite, udite!- è riportato un parere legale con il quale mi si dice che a norma di regolamento, la qualifica di esaminatore e di fuku shidoin è rilasciata dal Direttore Didattico…
    Non credo che un’associazione necessiti di un parere legale (che può eventualmente assumere ad uso interno) per quelli che sono i suoi atti decisionali. Bastava dire “Non debemus, non possumus, non volumus” come Paolo Stoppa nelle vesti di Papa, ne “IL MARCHESE DEL GRILLO”,
    o per colmo di gentilezza spiegare il perché a me che ai loro occhi mi intestardisco a dire “Dobbiamo stare vicini vicini…” e loro a significarmi pur senza espressamente proferirlo: “No, mi fai schifo…”.
    Comunque, per non rimanere a “Paperissima”, mi limitavo a rispondere
    che la questione delle qualifiche non era fondamentale, anzi…ma che una risposta dall’ORGANO COMPETENTE era indispensabile, su quale fosse la posizione dell’Aikikai d’Italia sui gradi non quelli rilasciati da organizzazione concorrente, bensì dall’Aikikai di Tokio.
    SILENZIO…tutt’ora perdurante silenzio,
    tranne la generosa recente offerta, a circa due anni di distanza, di rioffrirmi la qualifica di esaminatore 3°dan, a cui rispondevo chiedendo espressamente di essere depennato dall’ Albo esaminatori”.
    Va bene all’inferno, ma non da masochista, e quel che è troppo è troppo!
    Così credo che sia giunto il tempo di farli finalmente contenti, di attuare quella che con ragione tu Simon definisci essere la loro politica, di fare in modo che i non allineati se ne vadano…
    Sembra passato un secolo quando valorosi esponenti dell’Aikikai d’Italia, tutt’ora in servizio, dicevano in pubblica assemblea o personalmente a me che le cose dovevano cambiare, che non ci si poteva fare vecchi, e che i maestri giapponesi facevano con gli allievi come si fa con la birra: la schiuma si butta via!
    Oggi quegli stessi non parlano proprio più, anzi alcuni quando parlano, parlano “giapponese”, e apprendono e praticano bene come “tenere a distanza gli allievi”… Sui mali del professionismo, metafora basilare dell’Aikikai d’Italia, mi sono già espresso.
    Allora tornando al quesito iniziale, non importa a quale organizzazione appartenere, se a una, a due a tre e chi più ne ha più ne metta, come per un esponente della Direzione Didattica sempre della su menzionata organizzazione (basta che non dia fastidio). Dovendo scegliere, io starò sempre e solo con tutti coloro dove non mi sia impedito di sentirmi collega rispettato e fare esperienze con chi stimo.
    Angelo Armano

  18. Il mio nome è Cardoni Mauro, da quando ho letto questa lettera “a cuore aperto” sono tornati alla mente ricordi che in parte vorrei cancellare ma per fortuna c’è il lieto fine. Ho iniziato la mia esperienza nell’Aikido nel 1988 in una cittadina dell’Alto Lazio di circa 14000 abitanti. All’epoca avevo un gruppo di 25 allievi. Un successo, considerando che gli sport predominanti erano: Pallavolo, pallacanestro, calcio come da copione viste le direttive dominanti dei prof. di educazione fisica che insegnavano nelle scuole medie.
    In questo contesto avere 25 aikidoka era un successone.
    Peccato che il mio maestro (all’epoca seguivo l’AKI-Kai Italia) nei tanti disastri è riuscito anche a sfasciare il suddetto gruppo.
    Dopo circa 4 anni di Aikido da osteria (così lo definisco con il senno di poi) tramite alcuni ragazzi che conoscevo ho partecipato ad un seminario tenuto dal M° Oscari Giorgio (all’epoca D.T. Aikido Fesik).
    Quando ho conosciuto il M° Oscari ero 1° Dan AIKI-Kai e non sapevo nemmeno come si teneva il Jo e il Ken in mano, dopo 4 ore seguendo le direttive del M° Oscari ero riuscito a eseguire il programma 4° Dan di armi dell’IWAMA RYU, questo perché come dice Mauro Garofolo, è un Maestro eccezionale che ti segue nei minimi particolari con tanta dedizione.
    Quando sono uscito da quel seminario non ricordavo più niente, perché è quello che succede quando le basi non ci sono, ma avevo capito che quella era la via che volevo seguire.
    È ciò che ho fatto mi sono messo in discussione ed ho cominciato da capo, ora sono arrivato ad essere un 3° Dan e da questa esperienza sono felice di poter dire: -1) di essere riuscito a portare l’Aikido qui nell’alta Tuscia -2) di aver seguito la formazione di tre 3° Dan, due 2° Dan e una decina di 1° Dan, -3) di aver organizzato 3 seminari a livello regionale e due stage nazionali rispettivamente a Montefiascone e a Viterbo ai quali hanno presenziato nell’ordine il M° Visentin Renano e il M° Oscari Giorgio.
    Questa è la mia esperienza raccontata in breve, in questo mio percorso ho incontrato persone che asseriscono che TAKEMUSU IWAMA RYU si pratica soltanto in determinate Federazioni, niente di più sbagliato e volutamente menzognero, infatti anche in ATAGO, associazione istituita dal M° Giorgio Oscari, si pratica il suddetto stile. Nel salutarla mi auguro di incontrarla al più presto, perché persone con il coraggio che lei ha dimostrato meritano di essere conosciute.

  19. Caro Maestro Chierchini….

    Secondo le regole di questo blog, chiaramente elencate nell’apposito spazio, non pubblichiamo commenti non firmati, a prescindere dal loro contenuto. Si prega quindi il signor Pasquale di formare il proprio scritto per esteso, dopo di che lo spazio è il suo.

    Simone Chierchini
    Co-ordinatore AIN

  20. Avrei capito se fosse stato un intervento polemico e senza vene costruttive. Eppure la censura ha colpito.Name vuol dire nome.Non c èscritto nè surname nè last name.

    cmq…>>>

    Caro Maestro Chierchini.
    Ben svegliato. Si, l’ Aikikai d’Italia è sempre stata così. Strano che non se ne sia accorto.

    Meglio tardi che mai direbbe qualcuno.

    … Quel qualcuno però non sono io.

    In realtà anche se vado a leggere il contenuto del suo discorso, le cose potrebbero essere cmq fatte meglio.

    Poco importa che ci siano un Saito o un Moriteru Ueshiba dietro. Il punto è come vengono fatte le cose. Le arti marziali (so che questo termine occidentale è parzialmente improprio), e l aikido non dovrebbe fare eccezione, dovrebbero evitare tanto i discorsi politici quanto il credere che le arti marziali si apprendano solamente attraverso programmini più o meno strutturati e/o puri. E purtroppo non credo che la vecchia guardia sia in grado di poterlo fare. Consideriamo che quello che vediamo in Italia è proprio il risultato della azioni della cosiddetta vecchia guardia

    Spero di sbagliarmi naturalmente.

    Imparare un aikido decente non ha niente a che fare con il maggiore o minore purismo di un Saito o un Moriteru. O di una qualsiasi aichicaiditalia.

    Credo che però difficilmente si arriverà alla maturità di capirlo, anche perchè significherebbe per molti senseis il ricominciare da zero.

    E questo non conviene mai a nessuno dei senseis.

    Salvo eccezioni.

    Qundi basta per piacere parlare di programmi puri, di didattica, di esami, e in sostanza di politica.

    Si parli di aikido, e soprattutto, si faccia aikido.

    Pasquale Mazzotta

  21. I contenuti non sono così vaghi.

    E’ inutile puntare il dito quando poi l unica differenza è che si pensa di poter referenziare culturalmente ciò che si fa attraverso immagini di Ueshiba o Saito.
    Non è che se sulla locandina si mette Saito invece di Tada, l aikido che si fa poi è necessariamente diverso.

    Era solo questo che volevo dire..

    Oltre al fatto che se la nuova guardia è questa ,la vecchia ha le sue responsabilità.

    E’ inutile poi fare il Ponzio Pilato tirandosene fuori come se poi chi si tira fuori non c’entrasse nulla.

    Mia opinione naturalmente.

  22. Ciao Simone.
    Sono molto felice di leggere determinati articoli vergati da persone che parlano a ragion veduta e non per sentito dire o per esperienze superficiali.
    Anche dalla mia piccola personale esperienza la realtà associativa risulta purtroppo profondamente ed inevitabilmente legata a doppio filo con la natura delle persone che la compongono, ed il bisogno innato dell’uomo di prevalere sull’altro in qualsiasi maniera riesce ad inquinare anche un’arte che nel pensiero del Fondatore doveva sconfiggere proprio tali ostilità e creare un uomo migliore.
    Ciò che sin dall’inizio della mia pratica mi risultò fortemente discordante con le notizie e la storia dell’arte che leggevo e ricercavo con passione fu proprio questa inspiegabile (per me, sia ben chiaro) distanza tra le varie associazioni ed enti per la diffusione dell’aikido, allontanandosi in modo eclatante e paradossale dalle parole stesse di O Sensei che invece dell’armonia faceva il punto fondamentale e la meta di qualsiasi aikidoka che praticasse con sincerità e percorresse con fiducia la via dell’arte. Tuttavia nel tempo, sono riuscito a sviluppare una mia visione personale della pratica, che non esclude le direttive dei vari maestri, ma nel contempo cerca di non rimanervi invischiata. Se non sbaglio Morihei Ueshiba ebbe modo di affermare: “imparate e dimenticate”, oltre a definire il suo aikido come “takemusu aiki”, termini ed affermazioni che riflettono una certa distanza dagli schemi predefiniti creati dalle varie scuole tradizionali di budo giapponesi.
    Ciò non significa che un novello aikidoka debba seguire sin dall’inizio diverse scuole e “stili” di aikido, in quanto ciò lo porterebbe a confusioni inevitabili nella pratica, ma che dopo essersi formato una buona base, “debba” inevitabilmente uscire fuori dal suo dojo, città, associazione, nazione, per ricercare un confronto inevitabile per la propria crescita personale. Per questo sono daccordo con te nella necessità di prevedere dei programmi didattici ben definiti, ma solo allo scopo di costruire una solida base da cui partire successivamente per una crescita individuale.
    In questo l’Iwama Ryu (per la mia personale esperienza) è sicuramente la scuola più indicata, per l’importanza data al kihon, allo studio delle armi (fondamentale per intuire le dinamiche del combattimento, delle distanze, del tempismo nell’azione), alla marzialità, ecc., a fornire tale base.
    Tuttavia, come notava Valentino Traversa nel suo commento, anche qui è possibile incontrare delle lacune enormi per quanto riguarda tutti quegli aspetti dell’arte non direttamente tecnici, come ad esempio misogi, tecniche di respirazione, determinate forme di aiki taiso, che si intravedono solo a volte nei seminari di alcuni sensei e non in altri, fatto questo che se da un lato mi porta a seguire ancora con passione i miei insegnanti di riferimento, dall’altro mi porta inevitabilmente a cercare esperienze e fonti diverse a cui dissetarmi.
    Fin qui tutto bene. I problemi nascono appunto nel momento in cui, come facevi notare nel tuo articolo, le direttive degli shihan di turno “impediscono” e “suggeriscono” più o meno direttamente ai propri allievi di non frequentare i seminari di maestri diversi da quelli interni alla propria associazione, a prescindere se pratichino un altro stile o il medesimo dell’associazione stessa, pena l’essere classificati come “non allineati”, con tutto ciò che ne consegue. Per il momento sono felice che nel mio caso si sia parlato solo ed esclusivamente di pareri personali e non associativi, non avendo al momento ricevuto divieti formali alla mia libertà di movimento.
    Sono comunque molto fiducioso nel futuro dell’aikido nel nostro paese, proprio in virtù di articoli come questo che hai coraggiosamente pubblicato e alle sempre più numerose iniziative di “armonizzazione” portate avanti da tanti bravi maestri come, per citarne alcune, l’aikimarathon, gli incontri di aikido multistile o la prossima Settimana Nazionale dell’Aikido nel 2012, e penso soprattutto che l’aikido lo facciano le persone e non le associazioni, e non solo per l’arte, ma soprattutto per le sensazioni inpagabili che si ricevono nel frequentare seminari ed eventi in cui si ha la grande possibilità di conoscere gente e nuovi amici provenienti da ogni parte d’Italia e del mondo con cui discorrere attraverso un linguaggio comune a tutti, quello dell’aikido appunto e dell’armonia, che in fondo è il regalo più grande che O Sensei ha voluto lasciarci.

    Un abbraccio e spero di rincontrarci presto sul tatami!

    Walter Ippoliti

  23. ciao Simone,
    arrivo tardi a questa discussione che mi era sfuggita, provabilmente ad agosto ero “lontano” dall’aikido.
    pratico aikido da quando avevo 10 anni (ora ne ho 46) sempre all’interno dell’aikikai d’italia, ma da una decina di anni ho iniziato a partecipare a lezioni di maestri di altre associazioni.
    ho conosciuto validi maestri all’interno dell’aikikai d’italia e ne ho trovati di altrettanto validi anche in altre associazioni.
    ho amici “aikikai” e ne ho altri “fuori”
    organizzo stage aikikai e organizzo stage di altre associazioni.
    negli anni mi sono reso conto che non è importante a quale associazione appartieni, l’importante è fare aikido, , stare sul tatami, sudare, divertirsi.
    non credo ci sia un aikido migliore di un altro, io credo ci sia l’aikido e tante persone che lo praticano seriamente i.
    poi ci sono anche tanti ciarlatani, spero che il tempo renda giustizia ai tanti bravi praticanti a qualsiasi federazione essi appartengano.
    io sono iscritto all’aikikai d’italia, alla fijlkam, alla uisp, all’ansa, se qualcuno sa consigliarne altre sarò lieto di iscrivermi.
    l’unica cosa che posso affermare con certezza è che può fare come me solo chi non è interessato ai gradi o alle “medaglie”, perchè se sali e scendi continuamente dai “carri” nessuno ti porta alla “meta”, se al contarrio stai sempre sullo stesso carro, dai da mangiare al cavallo, lospazzoli e lo curi sicuramente fai “carriera” ma a me interessa l’aikido e alla carriera penso quando lavoro.
    l’aikdo è la mia passione e non il mio lavoro.

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