Aikido, Seminari e il Risiko


Risiko

Ci vuole poco a salire su un tatami gremito da un paio di centinaia di aikidoka, tutto lucido e scintillante grazie al lavoro di altri, e fare il proprio show per qualche ora, prendere il proprio stipendio e passare al prossimo seminario. Questo modello di maestro di Aikido va superato, perché ormai tutti gli insegnanti sono più o meno sullo stesso livello, e non abbiamo più bisogno di alcun guru. Forse è ora di spostare l’attenzione su quello che realmente conta nel mondo dell’Aikido: questo non sono i benedetti, osannati, desiderati stage o seminari, ma la pratica quotidiana di dojo

di SIMONE CHIERCHINI

Alla fine degli anni ottanta, in un periodo in cui avevo la fortuna di essere uno degli allievi italiani più vicini a Fujimoto Yoji, il maestro mi raccomandava di curare il mio dojo e di tralasciare l’organizzazione dei seminari. Lui stesso, all’epoca, si rifiutava di viaggiare all’estero per tenere stage, con l’eccezione dei seminari tedeschi organizzati con l’amico-collega-mentore Asai Katsuaki.

Chiaramente non gli diedi retta, perchè, come tutti gli altri, ero contagiato dalla mania internazionale di andare a tenere seminari a destra e sinistra, piazzando bandierine a nord e sud come si trattasse del gioco del Risiko. Come è tipico in una certa fase di crescita umana e tecnica, volevo fare, volevo costruire, volevo farmi vedere e farmi valere.

Il trasferimento in Irlanda, inoltre, mi apriva le porte al perfetto scenario per dare forma ai miei progetti in tutta libertà, e il riconoscimento ricevuto dall’Aikikai Hombu Dojo vi aggiungeva anche il carisma dell’ufficialità e il prestigio del grande casato alle spalle.

Sono passati due decenni da quando ho iniziato a insegnare a livello professionistico a Milano, e la mia prospettiva è nel frattempo mutata profondamente. I miei desideri di allora mi fanno quasi sorridere…

Così tante cose sono cambiate nella mia vita e nella mia pratica, che non saprei da dove iniziare, se dovessi tentare di fare un racconto coerente. Tuttavia, un momento centrale nella mia evoluzione di marzialista è stato il mio abbandono del professionismo dell’Aikido a partire dal 2009.

L’abbandono del professionismo dell’Aikido ha liberato la mia pratica da assilli economici di qualunque natura, e almeno in questo ho iniziato – meglio tardi che mai – a seguire un altro insegnamento di Fujimoto Sensei, che mi aveva avvertito di NON intraprendere la carriera di professionista dell’Aikido, ma non perché i soldi deturpino l’Arte: semplicemente perché nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di una scelta professionale che porta a poche soddisfazioni e pochissimi soldi. Questi due fattori portano conseguenze che spesso finiscono – volenti o nolenti – per inquinare la serenità della pratica e della ricerca personale. Senza parlare poi dei lacci e laccioli che un professionista è costretto a sopportare attorno al collo, se vuole fare il proprio lavoro senza morire di fame: che libertà ci può essere se si deve sempre e comunque andare d’accordo con presidenti di associazione, insegnanti di riferimento, colleghi, e allievi di ogni sorta?

Fujimoto Sensei mi aveva avvertito di NON intraprendere la carriera di professionista dell’Aikido!

 

Meglio un taglio netto. E senza soldi di mezzo non ci sono problemi nello scegliere veramente con quale compagnia si vuole trascorrere il proprio tempo.

Questo ci riporta alla questione degli stage. E’ un fatto incontestabile che, in Aikido, la mancanza di competizioni, classifiche e medaglie è abbondantemente compensata da gradi e seminari. I quadri intermedi fanno a cazzotti per organizzare seminari e farsi invitare da Tizio, Caio e Sempronio; alcuni si autoinvitano e altri tramano alle nostre spalle appena mettono piede nelle palestre da noi dirette per portarle nella loro sfera di influenza, come bambini che giochino al Monopoli.

Personalmente io questo non l’ho mai fatto, come possono testimoniare gli insegnanti con cui ho collaborato per anni, mentre l’ho subito da gente che conoscevo da diversi lustri e che chiamavo amico o fratello. E per cosa?

Oggi non me ne curo più. Non mi interessa particolarmente tenere seminari, almeno che non mi ci trascinino o che non siano per fini caritatevoli, o per lo sviluppo della pratica nella mia zona. Vado in Egitto, finché mi ci vogliono, non per insegnare, ma per imparare da gente di una cultura per tanti versi superiore alla nostra. Faccio scambi con colleghi che sembrano onesti e aperti ad un nuovo modo di vivere la pratica, ma che non sono interessati ai miei imperi, dato che li ho ceduti o persi tutti e non ho intenzione di rimettermi a costruirli di nuovo.

Adesso il mio Aikido è diventato più intimo. Mi piace farlo con mio figlio Luke, con i miei quattro gatti di Vasto e Termoli, senza riflettori, senza numeri, senza soldi. Se in passato ho guadagnato con l’Aikido, ora i soldi li sto rimettendo indietro in benzina e servizio, in un armonico ciclo che mi fa star bene, anche se mi svuota il portafoglio.

Ho comprato una piccola masseria in campagna, e una volta che avrò due lire in più, tirerò su con le mie mani un micro dojo in mezzo alle colline molisane, ove farò forse Aikido con un allievo o due, o da solo, ma almeno, io, sarò in pace con me stesso.

Copyright Simone Chierchini ©2012
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2 pensieri riguardo “Aikido, Seminari e il Risiko”

  1. La condivisone di quanto scritto è alquanto positiva, visto e considerato che gli sforzi eseguiti in Italia e all’Estero, servono a divulgare le proprie esperienze maturate con Esperienza Professionale proveniente sia dall’ambito Familiare che strettamente personale.
    Rimane sempre l’orgoglio di aver fatto sempre qualcosa per gli altri che ricorderanno in ogni evenienza, l’apprendimento per uno stile di vita e Aikido, da un Maestro a 360°.-

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