Morto un papa se ne fa un altro, ma un papa, ci insegna Benedetto XVI, può persino dimettersi. Sebbene malato terminale di cancro e con una fisicità in ballo superiore nella prestazione competente, O Sensei non ci ha mai pensato; anche nella sua ultima dimostrazione pubblica, la gente cadeva come birilli in un’atmosfera ovattata, direi magica
di ANGELO ARMANO
Compiacenza e rispetto per il vecchio maestro? Non penso, altrimenti dovremmo coerentemente abbassare di molto il tiro sui significati e il valore dell’Aikido. Comunque sono certo di no e non per fede. Se dovessi definire a quale categoria di yogi io appartenga, non ho esitazione a rispondere: jnani yogi: Yoga della conoscenza e non dei dogmi.
Un po’ tutto il valore e l’unicità dell’Aikido risiede nella parte finale della vita di Morihei Ueshiba, l’incomprensibile unione di prestazioni marziali e saggezza spirituale, dove le une condizionano l’altra e viceversa. Quello che ci ha lasciato detto non ha nulla di marzialmente tecnico, se non un uno per cento, solo allusivo. Il resto sono pressanti, entusiastiche indicazioni spirituali.
Non parla di henka, non parla di ojo waza, e le allusioni simboliche nascono in un perenne qui ed ora, che produce immagini momento per momento, che crea. Questa e non altra è per me la vera accezione di Takemusu, uno sgorgare continuo, poieutico, direttamente dall’inconscio con il quale era felicemente in connubio, senza attingere ad archivi, limitandosi ad alludere -ed alludere soltanto- alle forme (tra l’altro in perenne evoluzione) che aveva mostrato prima.
Per porgersi in tale maniera O Sensei aveva realizzato, come afferma lui stesso, l’unione di conosciuto e Sconosciuto, al quale ultimo si era aperto e pienamente affidato.
E’ del tutto evidente che il tecnicismo marziale è posto sullo sfondo, per far posto ad un senso del Budo rivoluzionario e dirompente, che si nutre, si allatta di altre cose.
Queste cose, generalmente, non sono piaciute ai successori e due sono state le maniere, pur nel formale ossequio, di materializzare quel dissenso: una unofficial, un’altra più esplicitata.
Riguardo a quest’ultima anche Ikeda Masatomi sensei, che ho incontrato nel mio recente viaggio in Giappone (trovandolo così bene da rimanere del tutto perplesso rispetto all’entità vera o presunta di sue vicissitudini di salute, e ai rimedi prescrittigli, vero mistero orientale), mi ha ripetuto letteralmente l’abusata versione che O Sensei era un kami, qualcosa di inarrivabile.

Il nostro vecchio problema di cattolici: la scissione insanabile tra l’umanità di Cristo e il suo essere Dio, a pretesto di parlare di Lui, di farci belli con Lui, ma di non poter assolutamente seguirlo perché oltreumano.
Scusate se parlo in termini religiosi, ma non sono io ad aver detto che il vecchietto era un kami, in quanto non sono interessato ad alcunché di “meramente” sovrumano, e men che mai di far parte di una ennesima compagine confessionale. Mi interessa e mi appassiona il personaggio Ueshiba, e il suo Aikido, visto che quello degli altri generalmente se ne discosta e non di poco!
La versione unofficial, al contrario, quella propagata attraverso i rumors, le confidenze di qualche eminente shihan, era che facendosi vecchio… cominciava a dar di matto.
Da qui l’organizzazione curiale, che erige statue, divinizza il ricordo, mitizza i contenuti e… cambia la pratica riducendola ad un qualcosa di troppo umano, con tutto il moderno e democratico vociare polemico, dove la naturale soggettività di ognuno di noi con le differenti attitudini, diventano integralismi l’un contro l’altro armati. Tutto o quasi contenuto in un’organizzazione che come una chiesa amministra persino il dissenso, perpetuando se stessa.
Dov’è il bubbone? L’ho detto in altra occasione, provocando un putiferio e lo ribadisco ora, più convinto di prima: nel fare dell’Aikido un mestiere.
Non c’è bisogno di una confessione religiosa organizzata, per mantenere la distinzione tra la dimensione del sacro e del profano. Appartiene al sacro la parola di Ueshiba, il suo porgersi nella maturità e vecchiaia, lo stile della sua pratica, gli effetti che produceva e in particolare l’affermazione: “L’Aikido è la religione della non religione ed io coopero con tutti gli 8 milioni di dei…”.
Essendo affascinato dai valori dell’Aikido, che avverto laicamente sacri, il mio interesse va sempre più verso il Fondatore e il suo Bannen Aikido.
Che cos’è questo Bannen Aikido? L’ennesimo vessillo sotto il quale adunarsi? La più recente compagine politica che presentandosi alle prossime elezioni risolverà bellamente i problemi dell’Italia (pardon, dell’Aikido?). La furbata di quest’avvocato chiacchierone che vuole, come tutti, tirare acqua al suo mulino?
Riguardo a quest’ultimo quesito tengo a ribadire, e in maniera sprezzante, che non abbiamo bisogno di schiere di falliti nel mondo sociale della vita e del lavoro, che vengano a proporsi come maestri di Aikido, finendo per essere maestri di non si sa cosa, a vendere un prodotto non meglio identificato. Non ci sono interessi economici in ballo. La passione, quella si!
Allora Bannen riguardo all’Aikido non è un nome proprio, come i diversi aikido personalistici storicamente accreditati, ma come la grammatica ricorda un aggettivo qualificativo, stando per quello degli ultimi anni del Fondatore. E’ un contenuto -non una bandiera- sul quale interrogarsi, lavorare, coerenti con lo scopo che ci siamo proposti, con il fascino che abbiamo provato e che mai ci ha abbandonato.
Per studiare l’Aikido degli ultimi anni occorre un capovolgimento l’impostazione, che sposti il focus dell’attenzione dalle tecniche e dai loro dettagli, ad un qualcosa che pure tecnico è, di cui non si parla mai sui tatami di Aikido. Ho alluso a questo dato in un mio piccolo saggio pubblicato da Aikido Italia Network ed intitolato: “Zanshin ed Aiki”.
Proprio nella parola Aiki è contenuto il nutriente latte dell’Aikido, quello che come il latte alchemico mette insieme il senex e il puer, il vecchio e il principiante, ricucendo gli opposti.

E’ un’operazione da aikidoisti maturi, ma che non vediamo intrapresa neanche dai maestri, per lo meno dalla stragrande maggioranza degli stessi. Se ne hanno un barlume di conoscenza, se la tengono per se, come “arma segreta” per perpetuare se stessi, allo stesso modo dell’organizzazione…
Questo latte è un obbiettivo a cui alludere costantemente, anche quando il viatico degli studenti, quelli giovani, debba essere prevalentemente una buona impostazione e una buona tecnica.
Altrimenti l’Aikido, quello vero, quello per il quale abbiamo cominciato e siamo durati, nonostante tutto, non apparirà mai all’orizzonte.
Con la meschina contentezza di tanti che praticano da decenni, allineati a perpetuare il sistema, paghi di ufficiali silenzi e polemicucce di bottega, normalmente alle spalle… Per salvare la pagnotta.
Voglio concludere con Swami Vivekananda, principale allievo di Ramakrishna, dal cui nome stesso capiamo che “discriminava” bene. In una lettera a Mahendra Nath Gupta, che si era posto l’immane compito di trascrivere quanto il comune maestro Ramakrishna aveva proferito a voce, congratulandosi per la pubblicazione, diceva:
“Molte grazie per la vostra pubblicazione…adeguata o no che veda lo splendore della luce del giorno. Avrete molte benedizioni su di voi e molte più maledizioni – ma questa è sempre la via del mondo!”.
Copyright Angelo Armano© 2012
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