
C’è una grossa confusione in giro rispetto alla pedagogia di base del rapporto interattivo fra tori e uke nella pratica dell’Aikido. Premettendo che ognuno nel suo dojo insegna e pratica come desidera, troviamo però fuorviante una cosa: l’andare a giustificare le proprie scelte didattiche con le parole del Fondatore e dei suoi discepoli diretti, specialmente quando parrebbe che nessuno di loro le abbia mai dette…
di SIMONE CHIERCHINI

Ho appena riletto un’intervista ad uno degli shihan più famosi della nouvelle vague dell’Aikikai Hombu Dojo, Yoshiaki Yokota, che il maestro ha rilasciato nel corso di un suo recentissimo seminario svoltosi a Roma e organizzato dall’Associazione Aiko. Nell’intervista vi sono numerose cose interessanti e pienamente condivisibili, ma alla fine il mio occhio si è incastrato su un’affermazione che non mi quadra. Leggetela anche voi:
“L’Aikido è il Budo dell’amore, non è vero che solo chi proietta è bravo oppure bello, anche chi viene proiettato può essere molto bello ed elegante. Armonia. Per iniziare è importante l’impostazione, la posizione, il movimento, la base della tecnica, ma ancora più importante è far capire cosa c’è dietro questa pratica: pace, amore, armonia che fanno sì che non sembri un combattimento. Infatti l’Aikido non è combattimento ma è Budo. Budo dell’amore. Uke e Tori si aiutano entrambi altrimenti non c’è armonia.” (1)
Questa affermazione mi ha riportato alla memoria più o meno le stesse parole che ho sentito pronunciare tante volte dal vivo da uno dei miei maestri, una persona cui ho voluto molto bene – Yoji Fujimoto sensei – durante i miei cinque anni trascorsi al suo fianco presso l’Aikikai Milano. Il maestro le ha lasciate ai posteri, fissate in una sua videointervista concessa durante il Winter Course 2009 dell’ACSA a Neuchatel (Svizzera). Tra i minuti 1’19 e 2’20 dell’intervista, sollecitato dall’intervistatrice a spiegare quale sia secondo lui l’essenza dell’Aikido, il maestro risponde:
“O’Sensei ha lasciato un sistema di Aikido in cui ci sono sempre tori e uke. Questo è un fatto pieno di significato, prima di tutto perché tramite uke ci consente di imparare a fare le tecniche, e poi perché facendo uke bisogna accettare quello che fa chi fa la tecnica. O’Sensei ha lasciato questo sistema di Aikido per togliere del tutto l’egoismo, cosa questa molto difficile: per eliminare l’Io. Secondo me questa è la cosa più importante e più difficile dell’Aikido, togliere l’egoismo; accettare il partner“.
Tutto è questione di obiettivi e ovviamente ognuno è liberissimo di insegnare e praticare nel modo che preferisce. Nel proprio dojo l’insegnante è re, e gli allievi scelgono con altrettanta libertà e responsabilità il proprio maestro, per cui quello che si pratica durante le lezioni e come lo si pratica rimane esclusivamente parte del contratto non scritto fra maestro e allievo. Tuttavia, scegliere di seguire una certa pedagogia e farlo in virtù di un’aderenza ad una certa idea didattica, e poi attribuire quell’idea didattica a terzi è per me fonte di sospetto, specie quando il tutto non è corroborato dalle fonti. E l’attribuzione dell’equazione tori/uke a O’Sensei è quanto meno fuorviante, se non falsa del tutto.

Andiamo a leggere le fonti, come si fa in qualsiasi ricerca storica, altrimenti possiamo discutere di tutto e del suo contrario senza neppure sapere di cosa stiamo parlando. Per quanto io mi sia dato da fare, né studiando il materiale cartaceo a mia disposizione, né a seguito di esaustiva ricerca delle informazioni presenti sul web, sono riuscito a trovare una sola citazione che autorizzi a dire che O’Sensei ci ha lasciato un Aikido in cui tori e uke collaborano per combattere l’egoismo, e che l’armonia si raggiunge attraverso l’accettazione da parte di uke di quello che fa tori. Sono ovviamente prontissimo a correggere il tiro e fare ammenda se mi verranno offerte fonti che provano il contrario, ma – allo stato dei fatti – a me pare che non ci sia dubbio alcuno che né Morihei Ueshiba, né i suoi più autorevoli allievi ci abbiano davvero lasciato l’insegnamento scritto secondo il quale l’Aikido è una forma di collaborazione fra tori e uke, nella quale il secondo accetta ciò che fa il primo.
Alcuni significativi esempi del contrario.
“L’Aiki è di per se stesso espressione di verità. E’ la Via per unire gli esseri umani e riconciliare a noi con l’amore coloro che volessero attaccarci. Chi aggredisce in preda all’ira può essere placato con un sorriso. Questa è la vera via dell’Aiki”.
Morihei Ueshiba (2)
L’armonia e la riconciliazione, a sentire il Fondatore, vanno trovate con chi vuole attaccarci, aggredendoci in preda all’ira. A loro si deve rispondere con amore e sorridendo, non sono loro che ci amano e sorridono! Così funziona il mondo delle relazioni umane, la natura, ciò che ci circonda e sperimentiamo quotidianamente. E’ un mondo difficile, ostile, ove se si vuole il sorriso, bisogna conquistarlo sorridendo per primi, sempre che funzioni.
Cosa dice il secondo Doshu, spesso tacciato di avere annacquato le radici dell’Aikido? Più o meno le stesse cose del padre:
“É necessario essere forti: qualunque male arrivi, dobbiamo essere sufficientemente forti da spazzarlo via e proteggere la giustizia”.
Kisshomaru Ueshiba (3)
A prescindere da cosa ci succeda, non fa niente quanto male ci arrivi addosso, dobbiamo non solo sopportarlo, ma eliminarlo. Sembra difficile poter imparare a sopportare qualsiasi livello di fastidio, anche il minore, utilizzando una disciplina in cui l’altro ci lascia fare quello che vogliamo, collaborando attivamente con la nostra proposta, sforzandosi anzi di accettarla. In che modo l’Aikido dovrebbe rafforzare il carattere e darci la forza di reggere davanti alle sventure della vita e spazzarle via?
Un altro punto di osservazione:
“Io pratico il Soto Zen (…). Il Soto Zen non persegue l’obiettivo del Satori, dell’illuminazione… è semplicemente sedersi (…). Essere chiaro e limpido come uno specchio che riflette tutti gli aspetti del mondo senza cercare di trattenere niente né tentare di vederli differenti da quello che sono. Più lo specchio è puro, meno esiste attaccamento (…). Quando lo specchio non è perfettamente limpido, trasforma il mondo che riflette. Allo stesso modo nel nostro spirito, la minima traccia di Ego si attacca al mondo e cerca di impadronirsene e fissarlo. Io cerco di praticare Aikido senza attaccamento, come uno specchio (…). Naturalmente se esiste uno specchio da pulire, noi dobbiamo praticare l’Aikido in questo senso, aiutandoci l’un l’altro con questo obiettivo.”
Kisaburo Osawa (4)
Quando attacco, come quando ricevo, non collaboro né ostacolo, semplicemente sono: in questo senso in Aikido ci aiutiamo l’uno l’altro con un comune obiettivo, attaccando sinceramente in funzione di uke, e agendo sinceramente in relazione a quell’attacco puro in funzione di tori. Pensare di dover accettare quello che fa un altro e sforzarsi di amalgamarsi sono forme di attaccamento e, aggiungiamo noi, della peggiore specie: quando praticate abbastanza a lungo, causano guasti interiori più gravi di egoismo e individualismo, perché producono fenomeni caratterizzati da palese complesso di inferiorità e sudditanza psicologica. Producono, pertanto, un terreno di coltura fertilissimo per la formazione e lo sviluppo di organizzazioni piramidali, basate sull’acritica accettazione del dettato dell’anziano (che nella pratica ricopre sempre e solo il ruolo di tori).

Qualche idea da Saito sensei, che visse e praticò per 26 anni con il fondatore.
“Molte scuole di aikido insegnano per prima cosa il kinonagare, o le tecniche praticate con il flusso del ki. In questo tipo di allenamento, le tecniche sono insegnate da una partenza in movimento, evitando del tutto la pratica base in cui si permette all’avversario di afferrarci con forza. Questo tipo di pratica pre-confezionata è accompagnata da successo solo quando entrambi i partner collaborano pienamente. I problemi cominciano a sorgere, tuttavia, quando gli allievi abituati solo a questo tipo di pratica vengono confrontati da qualcuno che si oppone loro con forza e senza collaborare. Allenarsi solo in kinonagare lascia una persona del tutto impreparata davanti alla potenza e alla ferocia di un vero attacco”.
Morihiro Saito (5)
Se questo non fosse un problema – e magari per alcuni non lo è, perché è sufficiente allenarsi sempre e solo in un ambiente in cui tutti seguono lo stesso sistema di Aikido in kinonagare con uke collaborativo – come la mettiamo con il supposto utilizzo della nostra arte per creare armonia? Il buco logico è clamoroso: armonizzarsi con chi si sta già sforzando di armonizzarsi con noi, non sembra proprio essere una particolarmente gloriosa conquista. Se questa è la pietra filosofale dell’Aikido, si capisce benissimo perché nei suoi pochi decenni di esistenza la disciplina ha prodotto tonnellate di piombo e ben poco oro: se l’Aikido è la via dell’armonia, infatti, dovrebbe esserlo insegnando ad armonizzarsi con chi è disarmonico, con quelli a cui dell’armonia non interessa nulla, gente di cui il mondo è pieno. Oppure il messaggio dell’Aikido va interpretato nel senso che dobbiamo diffondere l’Aikido e farlo fare per forza a tutti gli abitanti del mondo, che piaccia loro o meno, per far diventare armonici tutti i “cattivi” grazie alla pratica collaborativa tori/uke? Non credo che il Fondatore si riferisse a questo quando parlava di trasformare il mondo in una grande famiglia… Inoltre, che cosa ce ne facciamo di chi non volesse “convertirsi” e prendere parte a questo mondo di pace universale basato sul fare Aikido? Li sterminiamo perché non sono armonici?
Andiamo avanti con altri spunti di riflessione.
“In ogni arte, marziale o culturale, la libera espressione dell’individuo è bloccata dal proprio io. Nella Via della Spada la padronanza da parte dell’allievo della posizione e della forma deve essere così completa da non lasciare aperture (suki) che permettano all’avversario di entrare. Se si crea un’apertura, questa è creata dal proprio ego. Si diventa vulnerabili quando ci si ferma a pensare alla vittoria, alla sconfitta, alla tattica, quando si tenta di impressionare un avversario o lo si disprezza. Quando la mente si ferma, anche solo per un istante, il corpo si gela ed il movimento libero e fluido diviene impossibile”.
Taitetsu Unno (6)
Come si fa ad arrivare alla perfetta padronanza della forma senza il contraddittorio del padre/uke che mostra dove sono i suki nei movimenti del figlio/tori? Quando si arriverà mai ad avvicinarsi ad uno stato di controllo delle emozioni e libertà di espressione dell’io se si pratica in un ambiente controllato, con partner cieco e benevolente? Che cosa ne sarà mai di quella supposta fluida imperturbabilità, frutto di una pratica basata su movimenti telecomandati di andata e ritorno, una volta che il partner ci vede bene ma non ci vuole bene? L’Aikido in cui si diventa esperti in una serie di movenze pseudo-marziali, in cui l’avversario ci risponde sempre “Yes, Sir!” qualsiasi cosa facciamo, è la perfetta illusione e crea relative psicosi, delirio di onnipotenza, perdita di senso della realtà e spesso anche atteggiamenti sadici verso l’imbelle compagno di pratica.

Cosa dice “aquila dell’Aikido”, Tamura sensei, l’uke preferito del fondatore?
“È ovvio che la trasmissione diretta da maestro a discepolo – che è la relazione tradizionale, identica nella sua essenza a quella dei genitori con i propri figli – è la migliore. Nel mondo moderno tale rapporto è disgraziatamente diventato praticamente impossibile. (…) Non si deve dimenticare che il vero insegnamento avviene per trasmissione diretta, e che ci si deve sforzare di non minare questo legame e di rispettarne lo spirito”.
“Bisogna correggere i difetti tecnici e spirituali degli allievi come se fossero vostri figli, come se loro fossero voi stessi, aiutarli ad avanzare nella direzione giusta consacrando corpo e anima”.
Nobuyoshi Tamura (7)
In un’era in cui il rapporto genitori/figli è diventato simile a quello che si instaura fra coetanei, con tutte le devastanti conseguenze del caso, probabilmente è questo il motivo per cui il “padre sul tatami“, cioè uke, sente la necessità di dover vezzeggiare suo figlio, facendogli fare quello che vuole, senza dire NO! quando sbaglia. D’altronde in una società come la nostra, in cui i confini tra il bene e il male, il giusto e lo sbagliato si sono talmente appannati che esiste una visione etica totalmente individuale di cosa sia morale e cosa non lo sia, chi vuole prendersi la responsabilità di educare i propri figli naturali? Figuriamoci poi quelli di tatami… Il postulato di questo atteggiamento, ovviamente, è che nessuno deve poi osare correggere noi, e tanti saluti al percorso ascetico di miglioramento individuale e alla vera ricerca dell’armonia universale, basata sul lavoro interiore di ciascuno. Tutto finisce per diventare totalmente relativo a quello che ci fa comodo, ossia l’antitesi del processo alchemico di purificazione che dovrebbe essere lo scopo dell’Aikido. L’Aikido è alla fine diventato Zumba senza musica e con meccaniche pseudomarziali, solo che la Zumba è più divertente, perché si balla a tempo di musica e ci si muove liberamente, senza qualcuno che rompe le scatole ai praticanti con propositi filosofeggianti di bassa lega: prova è che lo Zumba ha migliaia di praticanti, mentre l’Aikido lo fanno solamente quattro gatti.
Quello che dicono Morihei Ueshiba e i suoi più diretti allievi potrebbe anche non contare assolutamente niente, su questo siamo d’accordo. Ognuno è libero di usare quello che trova nel modo che crede, è il postulato scientifico della sperimentazione e scoperta, utilizzato in prima persona da Morihei Ueshiba medesimo nei confronti di quello che ha imparato nel Daito Ryu e scoperto nella religione Omoto Kyo. Tuttavia, non c’è una citazione del Daito Ryu o di Omoto Kyo, o del nome di Takeda Sokaku, o di Deguchi Onisaburo nei discorsi filosofici o tecnici del Fondatore. Quello che lui dice di fare, lo dice a suo nome, se lo ascrive a suo titolo, senza coprirsi con il nome dei suoi predecessori, anche se sono personaggi di altissima levatura nel loro campo.
Una volta che si decide di fare Aikido allontanandosi dai postulati fondamentali dei suoi creatori – cosa, ripeto, accettabilissima – forse sarebbe più coerente evitare di citarli a vanvera, abitudine diffusissima. La vogliamo piantare di usare il gonnellone della hakama di Morihei per dare manto di ufficialità e prestigio a quello di cui eventualmente dovremmo personalmente menar vanto o assumerci le nostre responsabilità?
Si vuole trasformare l’Aikido in un’arte relazionale, in una psicomotricità psudo-marziale? Benissimo, fate pure, ma lasciate perdere il Fondatore, perché è stato suo figlio Kisshomaru a dire che:
“L’Aikido aspira a mantenere l’integrità del Budo e a trasmettere lo spirito delle arti marziali tradizionali, rimanendo fedele al primo principio del Budo, come enunciato dal Maestro Ueshiba: il costante allenamento della mente e del corpo come disciplina di base per coloro che intendono seguire un cammino spirituale. Nella tradizione del Budo, la stretta aderenza agli ideali del Fondatore e l’impegno sulla Via hanno la precedenza su ogni altra considerazione”.
Note
[1] Yoshiaki Yokota, in Intervista con con Yokota Yoshiaki Sensei 7th Dan Aikikai, realizzata nel corso del suo seminario romano del 2013 e pubblicata sul sito web dell’Associazione Aiko.
[2] Morihei Ueshiba, in Kisshomaru Ueshiba, Aikido, Edizioni Mediterranee, pag. 15
[3] Kisshomaru Ueshiba, Aikido, Edizioni Mediterranee, pag. 15
[4] Kisaburo Osawa, in Nobuyoshi Tamura, Aikido – Etichetta e Disciplina, Edizioni Mediterranee, pag. 7
[5] Morihiro Saito, in Takemusu Aikido Vol. I, Aiki News, pag. 71
[6] Taitetsu Unno, in Kisshomaru Ueshiba, Lo Spirito dell’Aikido, Edizioni Mediterranee, pag. 10
[7] Nobuyoshi Tamura, Aikido – Etichetta e Disciplina, Edizioni Mediterranee, pag. 24/25 & pag.14
[8] Kisshomaru Ueshiba, in Lo Spirito dell’Aikido, Edizioni Mediterranee, pag 19
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