Dal Kōdōkan Jūdō al Kobudō Kenkyukai I: Evoluzioni nel Pensiero di Jigorō Kanō Sensei


Dopo la Restaurazione Meiji, la società giapponese per la più parte aveva preso a rifiutare le arti militari tradizionali. Questa situazione peggiorò nel periodo Taisho con l’aumento del commercio con l’Occidente e l’assimilazione dei suoi costumi. Jigorō Kanō si rese conto della necessità di mantenere e preservare i koryu. Per questo fine Kanō creò il Kobudō Kenkyukai, un istituto all’interno del Kodokan, i cui scopi, assolutamente rivoluzionari e ignorati dai più, dovevano cambiare tutto il mondo del Budo. Vi presentiamo il primo di un trittico di articoli sul tema

di ADRIANO AMARI

Jigorō Kanō sensei e la formazione del nuovo Budō

La ricerca sulla persona, la vita e le opere di Jigorō Kanō sensei, è un campo di studio molto interessante, molto importante per capire la trasformazione del Bujutsu e del Budō classico nel Budō moderno. Trasformazione che non è mai stata concepita da Kanō sensei e dagli altri maestri che la attuarono come totale, ma bensì un aggiungere dei nuovi obbiettivi e principi alla ricchezza di quelli storici. Lo studio rende evidenti diversi equivoci teorici e tecnici, anche se, purtroppo, è ancora difficile reperire sufficienti fonti in linguaggi accessibili.

La testimonianza di Kanō sensei contenuta nei suoi primi scritti e quanto osservabile nella sua opera iniziale, dà conferma che, con l’avvento della apertura all’Occidente si sviluppò l’opinione nella massa della gente che molte cose tradizionali fossero “vecchie” e “perdibili”.

Poco tempo prima, la fine dello “status” dei Samurai e l’editto Haitōrei [1] avevano provocato seri problemi alla esistenza delle scuole di Bujutsu armato. Poco tempo prima, nell’ultima parte del periodo Edo (1600/1868) si erano diffuse molte scuole di Jū Jutsu a mani nude (o quasi) molte delle quali aperte, o interamente dedicate, ai “chunin”, cioè a borghesi, contadini e popolani, dove si poteva trovare anche una certa decadenza nell’etica e nella disciplina. Sempre in quel periodo si disputavano numerose competizioni ed esibizioni pubbliche, a pagamento, con armi o mani nude. In questo scenario le discipline subivano degli adattamenti per soddisfare le aspettative degli spettatori e, di conseguenza, si piegava la tecnica alla gara, si cercava il miglior uso degli equipaggiamenti necessari per ottenere la ben pagata vittoria. La Restaurazione aveva causato la caduta della ferrea disciplina civile imposta dal regime shōgunale e una ulteriore confusione dei costumi, dove numerosi adepti di Jū Jutsu cercavano di sbarcare il lunario esercitando le loro conoscenze con violenza nel pubblico. La sfiducia nei costumi del passato e i molti fatti di violenza causati da questi jūjutsuka, secondo la testimonianza di Kanō sensei, avevano fatto cadere ogni considerazione per le discipline marziali nella popolazione media e in alcune élite progressiste.

Katayama-ryu, antica scuola di Ju-Jutsu

Studiando altre fonti, però, possiamo dare questo scenario per certo in grandi città come Tōkyō, dove andavano trasferendosi moltissime persone dalle zone circostanti o anche da lontano, mentre è da mettere in dubbio in altri ambienti come la campagna o i centri più piccoli, dove le scuole di Arti Marziali continuarono comunque una esistenza normale.

Infatti, sebbene mortificato nei suoi fini militari dal nuovo dominio delle armi da fuoco, il Kenjutsu continuò ad avere una certa fama e attirare proseliti. Nonostante le nuove armi, la scherma di spada insieme al Jū Jutsu continuavano ad essere ricercati dalle forze militari e dalla polizia civile per la preparazione fisica e mentale del personale.

Kanō sensei ricorda nei suoi scritti che aveva maturato l’idea di rinnovare la struttura del Jū Jutsu per formare una nuova disciplina che fosse adatta ai tempi. Riteneva necessario distanziarsi dal Jū Jutsu nei nomi e nei fini, e dare l’impressione di rispondere alle novità sociali. Da persona di grande cultura e lungimiranza, Kanō sensei comunque mantenne i principi delle scuole antiche tra cui la visione taoista delle energie opposte e complementari, dandone risalto. Nell’impatto culturale che voleva ottenere sui cittadini decise comunque di continuare a adottare l’ideogramma e il concetto “Jū” (Cedevolezza – 柔), proprio per il maggior valore che Taoismo e Confucianesimo davano all’aspetto “Cedevolezza/Morbidezza”.

L’approccio scientifico e la struttura formata esclusivamente da attività disarmata rientravano ambedue nella immagine che Kanō sensei si era fatto come più adatta ai tempi nuovi. Questa immagine aggiornata era l’elemento che Kanō riteneva importante comunicare al pubblico, considerando anche che non vi era più una categoria di persone che era autorizzata a girare armata, e questo status era riservato alle forze di polizia.

Jigorō Kanō Sensei

Kanō sensei deteneva il Menkyo (“diploma di laurea”) in due scuole tradizionali, il Tenshin Shin’yō Ryū e il Kitō Ryū, inoltre aveva studiato numerose altre scuole antiche, mantenendo contatti con i maestri caposcuola. Riconosceva senza esitazioni il valore tradizionale educativo delle discipline ma, in quel momento della sua vita, probabilmente riteneva che la potenzialità formativa fosse stata trascurata nel Jutsu fino ad allora, a vantaggio del raggiungimento della capacità dello studente di usare efficacemente la tecnica. Gli avvenimenti del suo tempo, lo portavano fermamente a sostenere una nuova disciplina a mani nude [2]. Il Kōdōkan Jūdō fu formato così.

IN/YŌ

Sia Kanō sensei con il Jūdō che Ueshiba sensei con l’Aikidō svilupparono due Arti Marziali con modalità “nuove”, mettendo (per scelta o per caso) come elemento bandiera simbolico l’aspetto “Yin” (“In” in giapponese), cioè la forza cedevole, che normalmente nelle discipline storiche è l’ “Ura” o lato nascosto. Ambedue i maestri portavano in evidenza “il celato”.

Nel caso del Jūdō di Kanō sensei, l’opposto di “Jū” (柔) è “Gō” (Forza – 剛), nel caso dell’Aikidō di Ueshiba sensei l’opposto di Aiki (合氣) è Kiai (氣合). Come si sa dalla filosofia taoista l’uno non può esistere senza l’altro, né esistono stati di purezza assoluta di uno dei due elementi perché nell’uno c’è sempre qualcosa dell’altro, dal minimo fino al massimo possibile. Inoltre, costantemente, l’uno si trasforma nell’altro e viceversa.

I due maestri “innovatori” conoscevano bene questa teoria e la ritenevano una verità (come dice Ōtake sensei del Katori Shintō Ryū, non importa se non vi sono prove scientifiche, l’evidenza insegna che questo sistema esiste, funziona, opera, che continuerà ad operare e funzionare per sempre), di conseguenza allo studioso sembra difficile che abbiano sottovalutato l’aspetto “opposto” di Jū/Aiki, cioè Gō/Kiai, ed infatti è così.

Esaminiamo il caso di Jigorō Kanō sensei: esiste un Kata, il Gō no Kata, che è il Kata dello sviluppo e dell’uso della forza. È uno dei più antichi, ma venne accantonato perché il Maestro voleva strutturarlo meglio. Un simile destino accadde all’altro Kata taoista, l’Itsutsu [3], che il Maestro voleva ancora sottoporre ad una attenta revisione e accompagnarlo con un’altra serie di simile soggetto, ma sia il Gō no Kata che lo sviluppo dell’Itsutsu rimasero non compiuti per la morte del Maestro. Che il Maestro ritenesse importante l’uso del Gō e lo sviluppo della personale forza fisica, lo ripeté più volte nei suoi scritti, sottolineando che la sola cedevolezza non basta, e ci sono diverse occasioni in cui l’uso sapiente della forza attiva è indispensabile [4].

L’immagine della morbidezza che supera la forza era un aspetto indispensabile da mettere in evidenza per i due maestri, sia per il maggior pregio attribuitole dalla filosofia taoista e da quella confuciana, sia per attirare la massa di studenti, impiegati, donne, che formava la nuova società. L’effetto a lungo andare, però, è stato che la complementarità e l’interazione dei due aspetti sono stati persi nel Jūdō, anche per l’invadenza delle competizioni e con l’introduzione in esse delle categorie di peso; nell’Aikidō con la schematizzazione e semplificazione fatta dall’Aikikai allo scopo di diffondere con più velocità la disciplina nel Mondo.

Il fatto logico e paradossale è che, nell’ignorare l’altro aspetto, le discipline si “smarriscono” per la mancanza che di fatto avviene dell’elemento equilibrante, di conseguenza inizia funzionare male anche quello che viene esaltato e dovrebbe contraddistinguerle: la “giusta cedevolezza”.

Le trasformazioni

Sostengo da sempre che gli studiosi devono condurre indagini più approfondite sui cambiamenti che hanno attraversato Bujutsu e Budō prima con il lungo periodo di “pace” dello shōgunato Tokugawa, poi con la restaurazione Meiji, l’apertura all’Occidente e le nuove condizioni sociali.

È vero che la nostra conoscenza culturale e tecnica del Bujutsu e del Budō si è ampliata solo da poco tempo. C’erano, e ci sono molte credenze erronee, piuttosto radicate, spesso sostenute con un impegno talebano: occorre analizzarle e smontarle [5].

Tre punti di studio da accennare, in questa sede:

  • L’impatto tra il Giappone bloccato dallo shōgunato Tokugawa e la cultura “moderna”, i nuovi modelli occidentali, il periodo di stordimento e di conflitto con i modelli tradizionali che ne seguì;
  • Le “gare” armate tipo Gekken o le sfide tra scuole così apprezzate nell’ultimo periodo dello shōgunato. Erano competizioni spesso “violente” con incidenti anche gravi. La nuova società non poteva più appoggiare avvenimenti così sopra le righe. Soluzione era l’incontro “sportivo” all’occidentale. Per cui ecco l’importanza attribuita al confronto “sportivo” e, per inserirsi nei tempi, alla sicurezza. La gente e i giovani volevano confronti, il programma di gare “sportive” richiedeva la partecipazione più vasta possibile, così si realizzò progressivamente un accesso più facile dei giovani alla competizione, con la conseguenza dell’abbassamento del livello tecnico. Da qui norme di sicurezza più stringenti, la restrizione delle tecniche, dei bersagli – nel Jūdō si vietarono i colpi, nel Kendō si scelsero le aree o le azioni più simboliche [6];
  • Di fatto, le Koryū continuarono a sopravvivere in parallelo alle nuove discipline e, passato il periodo iconoclasta, furono fortemente appoggiate dal rinascente Butokukai [7]. Va segnalato al lettore che, per i maestri contemporanei di discipline Koryū, i termini “Budō” e “Bujutsu” sono per loro intercambiabili, e li usano indistintamente riferendosi alla propria o altrui disciplina.
Gli inizi del Judo

L’opera di Kanō sensei per la conservazione della Tradizione

Kanō sensei sottolinea nei suoi scritti, più volte, come il Jūdō sia una “disciplina nuova”, formata con numerose modifiche educazionali e biomeccaniche da lui apportate per adattare la tecnica delle Koryū alla nuova situazione sociale e politica, e per renderla meno pericolosa e accettabile al cittadino giapponese dell’epoca Meiji. Allo stesso tempo, però, lo stesso Kanō accolse con entusiasmo nelle file del Jūdō personalità tecniche già formate con alti gradi in altre scuole Koryū, come Saigō Shirō, Yokoyama Sakujirō, Nagaoka Shuichi. Inoltre conferì di sua mano alti gradi a eccellenti maestri di Jū Jutsu e Kenjutsu come Totsuka Eibi e Hoshino Kumon.

Nei suoi scritti il Maestro riconosce – anche per la sua esperienza personale come allievo di Koryū – sia il valore educativo delle discipline storiche sia l’eccellente insegnamento di molti maestri della tradizione, ma ipotizza che la necessità, l’uso dell’abilità sul campo, faceva passare in seconda fila lo sviluppo mentale e spirituale dell’adepto. In realtà la visione educativa è già presente negli scritti dei maestri fondatori delle varie scuole storiche sin da quelle più antiche e questa tendenza si evidenzia maggiormente durante la prima trasformazione da Bujutsu a Budō avvenuta nello shōgunato Tokugawa.

Uno studio del periodo storico del primo Meiji dimostra un altro aspetto che causò la sfiducia del giapponese Meiji verso le scuole classiche: il fatto che la gente attribuiva la capitolazione del Giappone alle richieste delle potenze occidentali, e la conseguente apertura, alla incapacità dimostrata dalla classe guerriera di difendere il paese, oltre, nel caso delle metropoli, quella decadenza nei costumi e nella morale avvenuta in diverse scuole di cui abbiamo parlato. Da non sottovalutare il fatto che borghesi e contadini erano stati esclusi, dal XVI secolo, dal possesso e maneggio delle armi, per cui erano per la maggior parte estranei ai metodi di lotta e, di conseguenza, culturalmente avversi a queste discipline.

Dopo un periodo di “distanziamento propagandistico” dalle Scuole Tradizionali, terminato il lavoro primario di composizione e sviluppo del Jūdō, Kanō sensei, correttamente e ufficialmente, incluse nella sua disciplina gli elementi provenienti dalle scuole che aveva studiato: così ecco il Koshiki no Kata legato al Kitō Ryū, mentre il Katame no Kata e il Kime no Kata furono formati in parte da tecniche e principi del Tenshin Shin’yō Ryū e in parte dai suggerimenti di un gruppo di autorevoli maestri del Butokukai. Questo venne fatto ed ufficializzato in una storica riunione a Kyōto presso il Butokuden nel 1906.

Posizioni del Judo: a) Shizen Tai

Decadenza del Kōdōkan Jūdō e corruzione del discorso educativo

Poco tempo dopo questa riunione, Jigorō Kanō sensei si accorse dei problemi che sorgevano nel Jūdō, problemi che allontanavano la sua disciplina dagli obiettivi da lui prefissati.

Primo ostacolo era, allora come è ora, l’eccessiva importanza attribuita alla competizione e al successo in essa.

Prima osservazione il fatto che i combattenti ormai trascurassero la posizione fondamentale “Shizen-Tai” per la difensiva “Jigo-Tai”, se non abusavano di quella posizione a braccia tese e bacino arretrato che tante volte abbiamo visto anche nelle competizioni moderne. Il Maestro, nei suoi scritti, ricorda che, anche se i colpi erano e sono proibiti nelle competizioni occorre fare come se invece fossero ammessi. L’idea di permettere solo le tecniche di lotta era stata regolarizzata per evitare infortuni, ma, secondo il Maestro, occorreva usare una tattica che considerasse come possibile quella eventualità. Inoltre, adottare continuamente una posizione difensiva, a suo giudizio impediva di sviluppare il corretto Jūdō e di fare della competizione un sistema di crescita personale.

Questa eccessiva attenzione rivolta alla competizione infatti faceva (e fa) trascurare lo studio globale dei fondamentali e quello del Kata, con il risultato che si formavano degli jūdōka con fisici asimmetrici ed abilità parziali, che usavano nella pratica del combattimento tattiche prettamente utilitaristiche, poco dignitose, non formative, miranti al punto vincente e non ad un’idea globale del combattimento. Così le tecniche erano millantate e i risultati anche “brutti” alla vista. Così scrisse il Maestro: “…la disciplina Jūdō invece di insegnare a coltivare la virtù, ottiene di infierire sulla medesima, seppure non per colpa del Jūdō, ma di chi ne ha frainteso lo spirito…” [8]. Kanō sensei più volte si rammaricava, e segnalava con i suoi articoli, che la formazione degli insegnati di Jūdō era diventata troppo frettolosa, spesso incompleta, senza una adeguata analisi delle capacità didattiche del soggetto. Da questo derivavano molti corsi con insegnamenti settoriali, varie incomprensioni nello svolgimento dei programmi, col conseguente sviluppo della disciplina secondo direzioni erronee e contrarie ai suoi principi formativi.

Posizioni del Judo: b) Jigo Tai (Jigoro Kano e Kyuzo Mifune)

Possiamo vedere oggi come e quanto si sia deformato questo insegnamento, come sia stato modificato, e non in meglio, da innesti non riusciti di teorie sportive o didattiche occidentali. Ma questo è un discorso che attraversa purtroppo tutte le Arti Marziali dove l’aspetto materiale prevale su quello educativo.

Da notare anche che è stato violato l’importante ordine stabilito da Kanō sensei per l’apprendimento dei Kata, che sono stati ideati per sorreggere la pratica e indirizzarla, fornendone il corretto supporto motivazionale e educativo. L’ordine stabilito dal Maestro prevedeva subito l’insegnamento del Seiryoku-Zen’yo-Kokumin-Taiiku-no-Kata, il Kata formativo per il l’ “Ittai-Furi”, il “Corpo (specifico) della Disciplina”. Un Kata che oggi quasi nessuno conosce. Seguiva il Jū no Kata, la forma della flessibilità e cedevolezza che deve insegnare i principi e modi per usarla. Da questa esperienza, l’allievo modellato sulla pratica del “Jū” affrontava Nage e Katame no Kata (quest’ultimo particolarmente elaborato per lo studio dell’energia), quindi il Kime no Kata. Il Koshiki no Kata doveva mostrare la “nobiltà” e tradizione del Jūdō, l’Itsutsu no Kata doveva indirizzare ad una visione più evoluta del Go-kyō, nella comprensione delle Leggi dei Cinque Elementi. Quanti, allora ed ora, consideravano o considerano questi temi e questi aspetti?

Nuove Idee

Negli stessi anni in cui Kanō sensei scorgeva questi problemi e se ne lamentava, lui stesso aveva visto una possibile soluzione che avrebbe dovuto integrare il Jūdō finora fatto, rivoluzionarlo, destare nuovi interessi e riportare alla ribalta le Koryū con gli aspetti dell’insegnamento tradizionale.

Così istituì il Kobudō Kenkyukai, l’Istituto di Ricerca sul Budō Antico. È il tema del prossimo articolo: “Kobudō Kenkyukai: Kanō sensei e la sensazione dell’incompletezza del Jūdō”.

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Note

[1] 28/03/1876 – proibizione di portare spade in pubblico.

[2] “…anche nel periodo antico esistevano maestri che impartivano nozioni di tipo etico oltre che tecnico: si trattava di esempi illuminati ma che, tenendo fede al loro impegno di maestri, dovevano necessariamente privilegiare la tecnica. Nel Jūdō invece gli insegnanti devono percepire la disciplina soprattutto come educazione, fisica e mentale…” Jigorō Kanō, Yuko no Katsudo, Tokyo, 1925.

[3] Kata che affronta le “Cinque Mutazioni” (Go-Kyō) dei Cinque Elementi taoisti.

[4] Della dicotomia tra Aiki e Kiai nell’Aikidō di Ō Sensei ne parliamo nell’articolo “Kiai e Aiki”.

[5] Vedere l’articolo dedicato alla parabola del “Gatto della Meditazione”: https://simonechierchini.wordpress.com/2020/09/12/il-fenomeno-dei-gatti-della-meditazione-e-i-vicoli-ciechi-nelle-arti-marziali/

[6] Vedere sempre l’articolo sul “Gatto della Meditazione”

[7] Dai Nippon Butoku Kai (DNBK)  “Suprema Società Giapponese di Virtù Guerriere”, organizzazione di Arti Marziali con sede a Kyoto, in Giappone, presso la Butokuden (Sala delle Virtù Guerriere). Fondata nel 1895 sotto l’autorità del Ministero dell’Educazione e patrocinata dall’Imperatore Meiji.

[8] “L’apporto culturale e spirituale del Kōdōkan Jūdō” su “Yuko-no-Katsudo”, Febbraio 1922


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