
Quando si considera che è in realtà solo un corto bastone rotondo di legno, è ancora più intrigante riflettere su che spazio enorme il jo abbia riempito nella storia e nell’evoluzione delle discipline marziali del Giappone
di DAVID LOWRY
La spada lunga o katana, era l’arma principale del guerriero giapponese durante la maggior parte del suo regno, ed è senza dubbio la più sviluppata nella sua applicazione. La lancia, immersa, secondo la mitologia giapponese, nel nebuloso vuoto dello spazio da un dio primordiale e tirata fuori a gocciolare dalla sua punta le goccioline di firmamento che divennero le isole del Giappone, ha quasi una connotazione religiosa. E il bo, il bastone lungo, è il più arcaico delle armi giapponesi.
In confronto, il jo sembra un plebeo abbastanza umile. E tuttavia, il jo possiede molte delle caratteristiche di tutti e tre di queste armi: il terribile fendente della katana, il lungo affondo della lancia, e la sorprendente potenza, la versatilità, e l’indistruttibilità del bo. Poco sorprende che, per quanto semplice, una volta che è iniziato il suo sviluppo, una foresta di scuole e maestri ben presto sia sorta per approfondire e perfezionare il jo come arma formidabile.
Tracciare la storia del bastone corto in Giappone, sarebbe un compito impossibile, visto che risale al momento in cui un uomo preistorico prese in mano un pezzo di legno secco. In Giappone, con le sue molte foreste di querce e cedri, l’occasione deve essere venuta presto e spesso. Non ci sono prove, tuttavia, di un metodo sistematizzato di combattimento con il bastone corto fino al periodo Muromachi (1336-1600), quando il rapido sviluppo della casta dei samurai ha cominciato a incorporarlo nel primo dei ryu tradizionali.
Quando il samurai ha deciso di impugnare un’asta di legno, però, ha scelto quasi esclusivamente il bo, arma compresa tra i 152 ed i 213 cm di lunghezza, praticamente ignorando qualsiasi tipo di bastone più corto. Capire perché sia stato trascurato il jo è un mistero, anche se si possono fare alcune ipotesi. In primo luogo, la lunghezza del bo lo reso un’arma lunga estremamente efficace nei confronti delle altre armi in asta, come la lancia e il naginata, entrambi molto popolari in quel periodo. Infatti, in molte scuole di bujutsu classico il bo viene impugnato e maneggiato in modo molto simile alle tecniche di queste due armi.
Tra i Ryu antichi che hanno mantenuto il bojutsu nel loro curriculum troviamo il Katori Shinto, il Kashima-Shinto ed il Takenouchi-ryu. I loro waza sottolinearono la lunghezza del bo, colpendo da una distanza lunga o usando il bo come fulcro, facendolo roteare a una velocità formidabile in grado di frantumare le ossa e persino la più robusta spada d’acciaio. Entro la fine dell’era feudale si stima che più di 300 ryu avessero fatto del bojutsu una parte della loro formazione, e anche quei bugeisha provenienti da stili che non approfondivano il bo avevano familiarità con il suo uso ed i modi migliori per difendersi da esso.
Il bo tipico, di solito denominato rokushakubo, misura circa 182,88 cm di lunghezza, cosa che deve essere confrontata con l’altezza media del maschio giapponese in quel momento, che era più di 30 cm più bassa. “Rokushaku” indica una misura: un shaku è pari a circa ad un piede americano (30,48 cm), e Roku è “sei”. L’arma aveva un diametro di poco più di tre centimetri e mezzo. La maggior parte erano maru-bo, a sezione circolare. Il hakaku-bo, invece, era a sezione ottagonale, ed i suoi spigoli lo rendevano brutalmente efficace quando veniva scatenato contro un bersaglio non protetto, in quanto essi oltre a colpire, tagliavano. A volte, inoltre, l’intero corpo del bo era intarsiato o coperto di strisce di ferro o altro metallo. Questo aumentava considerevolmente la sua robustezza. La maggior parte delle tecniche per contrastare il bo da parte di uno spadaccino ben addestrato implicavano l’uso della spada per tagliare il bo di legno con un angolo che lo recidesse accorciandolo e riducendone in modo significativo l’efficacia. Con le fasce di protezione o le placche di metallo, l’arma era molto più difficile da spezzare o tagliare e colui che usava il bojutsu era in forte vantaggio in uno scontro.
Forse il bastone corto sarebbe rimasto solo un bugei fuzoku, un’arma ausiliaria dell’arsenale del guerriero, dato il riconoscimento di altre armi più finemente realizzate, se non fosse stato per la bruciante ambizione di un singolo uomo.
Lo Shindo Muso-Ryu di Gonnosuke
Muso Gonnosuke Katsuyoshi nacque nel 16° secolo in Giappone. Era il periodo in cui lo shogun Tokugawa Ieyasu stava unificando l’intera nazione sotto il suo dominio, un tempo in cui i signori feudali combattevano ferocemente tra di loro, un momento storico in cui le arti marziali stavano subendo una trasformazione che comportò un affinamento di tecnica e metodi di addestramento senza precedenti. Sorsero numerosi Ryu, basati principalmente sul miglioramento dei concetti di scuole più antiche, e altri furono codificati in maniera più approfondita. Non è un caso, considerando la violenza dell’epoca e le occasioni di combattere, che la maggior parte dei grandi maestri di arti marziali del Giappone sia vissuta in questo periodo.
Katsuyoshi e Gonnosuke sono entrambi nomi popolari presso le famiglie samurai di quel tempo, si può quindi supporre che che fosse di tale discendenza. Inoltre, Le cronache riportano che Gonnosuke entrò nel Katori Shinto-ryu e più tardi, nel Kashima Shinto-ryu. Fu istruito nell’intera gamma degli insegnamenti di entrambi questi ryu. Non sarebbe stato ammesso a nessuno dei due ryu se non avesse avuto il background familiare necessario.
Gonnosuke ebbe un interesse particolare per il bojutsu del Katori e Kashima-ryu, eccellendo negli insegnamenti di entrambi gli stili. Si recò poi a Edo (l’odierna Tokyo), dove si dedicò al diffuso rito del Musha shugyo. La parola si riferisce alla pratica di visitare numerosi dojo e maestri di diverse scuole, chiedendo di essere istruito o sfidando apertamente la scuola. Il Musha-shugyo poteva rivelarsi pericoloso, naturalmente, e anche il miglior combattente avrebbe raccolto la sua quota di infortuni nell’intraprenderlo, ma era un ottimo modo per testare la propria abilità ed imparare il più possibile sulle strategie degli altri stili.
Gonnosuke deve essere stato straordinariamente abile con il bo, visto che affrontò un numero cospicuo di esponenti di ryu assortiti e non venne mai sconfitto. Egli colse anche l’occasione per allenarsi in molti dei loro dojo, continuando a raffinare la sua arte. Fu durante questo periodo di Musha-shugyo che Gonnosuke incontrò lo spadaccino Miyamoto Musashi.
Muso Gonnosuke Katsuyoshi visse nel XVI secolo in Giappone. Era il periodo in cui lo shogun Tokugawa Ieyasu stava attuando un processo di unificazione dell’intera nazione sotto il suo dominio, un tempo in cui i signori feudali combattevano ferocemente tra di loro, un momento storico in cui le arti marziali stavano subendo una trasformazione che comportò un affinamento di tecnica e metodi di addestramento senza precedenti. Sorsero numerosi Ryu, basati principalmente sul miglioramento dei concetti di scuole più antiche, e altri furono codificati in maniera più approfondita. Non è un caso, considerando la violenza dell’epoca e le occasioni di combattere, che la maggior parte dei maestri di arti marziali del Giappone sia vissuta in questo periodo.

Sono una dozzina o anche di più i racconti sugli epici combattimenti fra Musashi e Muso Gonnosuke, la maggior parte dei quali basati su un’immaginazione altrettanto vivida di quella degli scrittori di fantascienza. A parte i kodan (fiabe orali), ci sono scarse informazioni circa questi duelli. Una fonte è il Niten-Ki, una biografia di Musashi che menziona il primo incontro con Muso Gonnosuke. Il Niten-Ki è una raccolta di aneddoti su Musashi raccontati dai suoi seguaci e conoscenti. Non è stato compilato in forma di libro fino a molti anni dopo la morte di Musashi. La sua rappresentazione di questo combattimento deve quindi essere presa “cum grano salis”.
Secondo il Niten-Ki, il primo confronto tra Muso Gonnosuke e Musashi avvenne mentre Musashi soggiornava presso Kofu, appena fuori Edo. Musashi era seduto in un giardino a lavorare su un arco che stava ricavando da un pezzo di legno di gelso. Senza preavviso, Gonnosuke si avvicinò e gridò una sfida a Musashi, roteando roteando il suo bo (bastone lungo) in un attacco potenzialmente letale. Senza nemmeno alzarsi dalla sedia, Musashi parò elegantemente l’attacco di Gonnosuke con il pezzo grezzo di legno che aveva in mano. Il libro colloca questo incontro dopo le famose battaglie di Musashi con la famigliaYoshioka e prima di diventare un membro della kawa Hoso clan, intorno al 1610. Musashi avrebbe avuto dunque circa 20 anni, Gonnosuke circa la stessa età.
Per il giovane guerriero Gonnosuke, la sconfitta ignominiosa deve essere stata schiacciante. Non era stato ferito, ma la sua fede nella sua abilità con il bo senza dubbio era andata in frantumi. Mortificato, si ritirò a Kyushu, l’isola più meridionale dell’arcipelago giapponese che, durante il tempo di Gonnosuke, era un luogo selvaggio. Gonnosuke si nascose sull’ Homan-zan, una montagna nella parte settentrionale di Kyushu, circondata da fitte foreste, rocce, sorgenti di acqua calda, burroni e gole. Riempì i suoi giorni con la meditazione e una pratica estenuante con il bo, alternata ad austeri riti religiosi. Dopo un periodo di questa esistenza monastica, Gonnosuke venne visitato da un sogno.
Gonnosuke attribuì il suo sogno una manifestazione divina. Tali visioni celesti erano tutt’altro che sconosciute nelle arti marziali del Giappone antico. Un certo numero di ryu erano stati fondati, secondo le loro pergamene e le tradizioni orali, da maestri che avevano ricevuto l’illuminazione dagli dei. Si tratta di un fenomeno che viene da lontano nella storia, come nel caso del generale Minamoto Yoshitsune, istruito nel mestiere della guerra da tengu (folletti alati di montagna) che rivelarono i principi di combattimento al signore della guerra quando era ancora un bambino. Di solito, questo tipo di ispirazione divina viene ricordato nel nome dello stile marziale, dall’ apposizione Tenshin sho o Tenshin Shoden. Queste parole indicano che i fondamenti della tecnica sono il risultato di Tenshin, una “presenza divina”.
I dettagli del sogno di Gonnosuke sono stati tramandati, anche se chiunque si aspetta un’illuminazione, al momento della sua rivelazione è suscettibile di essere deluso. “Wo motte Maruki, Suigetsu wo shirei” (prendere un registro e prendere il controllo degli elementi vitali) è il modo in cui Gonnosuke stesso descrisse questa rivelazione.
Benché così astratto, questo comando divino fu l’ispirazione che incoraggiò Gonnosuke a ripensare la sua arma. Egli prontamente tagliò diversi centimetri dalla sua lunghezza e cominciò a intraprendere un approccio del tutto innovativo al suo utilizzo. Questo evento segnò la nascita dello Shindo Muso-ryu, e gli inizi del jo.
Gonnosuke formò da solo la sua arte conosciuta come Shindo Muso, o la Via del Pensiero Divino e raccolse una serie di strategie con il bastone così accorciato , appositamente studiate per contrastare i punti di forza delle altre armi del bugeisha (in particolare la spada) e sfruttare i loro punti deboli.
Con questa conoscenza, Gonnosuke lasciò il suo eremo di montagna in cerca dell’ uomo che lo aveva sconfitto con tanta facilità. Non aveva bisogno di andare lontano, poiché Musashi erano venuto sull’isola di Kyushu, dove era stato impiegato al servizio del signore Hosokawa. Ancora una volta, Gonnosuke sfidò a duello Musashi. Non c’è modo di conoscere quale tecnica utilizzo per sconfiggerlo ma Musashi, lo spadaccino più famoso del Giappone, venne battuto da un semplice bastone.
Se Gonnosuke fosse stato un uomo di qualità inferiore, che avrebbe senza dubbio pubblicizzato la sua vittoria e accumulato una fortuna con l’insegnamento della sua arte. Gli anni di esilio volontario, però, aveva cambiato la sua personalità in qualche modo. Una volta che aveva dimostrato l’efficacia della sua nuova arte, era contento di andare in pensione tranquillamente. Accettò una posizione come insegnante di arti marziali con il clan Kuroda di Kyushu. Rivelò l’arte del suo jo a un numero selezionato e molto limitato di studenti, ma lo stile Shindo Muso rimase una questione di okuden (insegnamenti segreti).
Per molti secoli, i segreti del jojutsu sono stati tramandati con cura e tenuti nascosti al resto del mondo. Lungo il cammino, un certo numero di bugeisha esperti aggiunse il proprio contributo agli insegnamenti originali e lo stile Shindo Muso del jo è stato ampliato con le tecniche della scuola scintoista di spada, così come da ryu che hanno a che fare con il kurisagama (falce e catena) e le tecniche di neutralizzazione di un avversario con un breve tratto di corda (hojojutsu).
Altre scuole
L’ulteriore evoluzione del jo, tuttavia, non si è verificata solo attraverso lo Shindo Muso-ryu. Studiosi marziali stimano che quasi 350 altri bugei-ryu classici hanno successivamente adottato varie tecniche di jo nelle loro scuole. I metodi di jojutsu classico, contenuto all’interno del kata di questi ryu, sono incredibilmente diversi e si occupano di tutte le possibili situazioni in cui ci si possa trovare. Come per qualsiasi tradizionale Koryu, la maggior parte delle tecniche di jo sono volte a contrastare l’attacco di una katana. Ma all’interno di questi kata c’è anche una moltitudine di tecniche da utilizzare in spazi ristretti, contro più avversari o indossando un’ingombrante armatura.
Dopo che Gonnosuke ebbe dimostrato l’efficienza del bastone più corto in combattimento, i suoi metodi vennero sottoposti a sperimentazioni e modifiche.

Un notevole interesse venne dimostrato da alcuni bugeisha per approfondire le possibilità di questa arma. Da questo nacque una moltitudine di arti che impiegano bastoni corti di varie dimensioni. In particolare, quelli che sono sopravvissuti nel nostro secolo in una forma riconoscibile includono l’han-bo e il tanjo. Entrambi sono più corti, anche rispetto al jo e possono essere manipolati in modo da intrappolare un avversario facendo leva su un arto o su un’arma, oppure somministrare un insieme di leve articolari dolorose e invalidanti. Naturalmente, possono anche essere usati per colpire o proiettare, come il jo. Per le loro dimensioni ridotte, sono state adottate in varie forme dai dipartimenti di polizia in Giappone e utilizzate insieme al jo in operazioni antisommossa o altre situazioni in cui le armi da fuoco sarebbero inutili o ingiustificate. La trasmissione dell’arte del jo comunque continuò fino all’inizio del nostro secolo. Sotto la guida di Hanjiro Shirata, il 24° caposcuola dello Shindo Muso-ryu, un bugeisha di nome Takaji Shimizu iniziò lo studio del jojutsu nel 1907. Nel 1914, gli venne rilasciata una menkyo (licenza) per insegnare. Shimizu, che era anche un esperto in una varietà di altre arti di combattimento classiche del Giappone, studiò le tecniche di jojutsu in profondità. Nel 1927, su richiesta dell’ Agenzia nazionale di polizia di Tokyo, lui e Ken’ichi Takayama, un altro maestro del ryu, fecero una dimostrazione del jojutsu come possibile ausilio per le forze dell’ordine. I loro metodi furono approvati e Shimzu venne nominato istruttore di un’unità di polizia appositamente selezionata per imparare l’arte. Questo specialità del jojutsu è chiamata keijojutsu – arte del bastone della polizia.
Fu solo a partire dal 1950 che il jojutsu venne insegnato al pubblico dei non specialisti, e anche in questo caso, le qualifiche per l’ingresso al suo dojo erano severe e selettive. Nei primi anni ‘60, dopo un attento studio e considerazione, Takaji Shimizu decise di cambiare il nome della sua arte da jojutsu a Jodo. Il nome riflette una serie di alterazioni che Shimizu aveva fatto nella tecnica. Aveva eliminato dalla pratica regolare (ma non dal curriculum del tutto) una serie di tecniche che avrebbero potuto essere pericolose, a meno di non essere qualificati professionisti. Inoltre nel percorso didattico furono istituiti dei movimenti di base per perfezionare ulteriormente gli insegnamenti e soprattutto, l’arte del jo divenne una Via, un budo, intesa non principalmente come un mezzo di combattimento, ma come una disciplina di cui tendere per il miglioramento di sé.
Oggi il jo è praticato in quasi tutto il mondo. Si tratta di un nobile esempio di come i valori del budo classico, possano beneficiare di una società moderna, mantenendo i punti di forza e la profondità di un’altra epoca.
Ueshiba Aiki-jo
La terza grande influenza sull’arte del jo è venuta con gli insegnamenti di Morihei Ueshiba, il fondatore dell’Aikido. In molti modi, l’aiki-jo di Ueshiba è l’applicazione più eclettica dell’arte del bastone corto. E ‘anche la forma più comunemente insegnata del jo, praticata da migliaia di aikidoka in tutto il mondo.
Ueshiba nacque nel 15 ° anno dell’ era Meiji (1883), abbastanza indietro nel tempo perché la sua formazione nelle arti marziali, avvenisse sotto la guida di bugeisha che avevano avuto occasione di mettere in pratica le loro competenze. Malaticcio da bambino, ben presto sviluppò una passione per le arti marziali classiche. Durante i suoi primi anni, fu allievo presso un certo numero di maestri di jujutsu e maestri di scherma, e venne addestrato in maniera informale nelle arti della lancia e dell’alabarda.
Uomo con profonde convinzioni religiose, Ueshiba unì le dottrine del buddismo e dello shintoismo giapponese per spiegare la strategia e la filosofia di una nuova forma di budo, creato durante la prima parte del XX secolo. Insieme con una spiegazione delle motivazioni del suo budo, fondato su una morale basata sulla mistica, incluse un approccio al combattimento (o all’evitare il combattimento), che sottolinea come una concentrazione fisica e mentale possa essere indirizzato a controllare sè stessi o gli altri. La natura del suo Aikido non è, come comunemente si pensa, finalizzato a eludere un attacco, ma piuttosto è entrare direttamente nei suoi confronti e contrastarlo con diverse proiezioni circolari.
Una delle caratteristiche salienti della filosofia marziale di Ueshiba è che i principi del suo Aikido sono verità universali. Potrebbero essere applicati alla fisica, alla legittima difesa, nei rapporti con gli altri, oppure per creare una società più armoniosa. Allo stesso modo, egli pensava che neutralizzare un singolo avversario non era diverso da superare una decina di nemici. Inoltre, Ueshiba sosteneva che quelle tecniche che possono essere eseguite con un’arma, potrebbero essere condotte anche a mani nude. I principi erano esattamente lo stesso con una spada o un bastone, opure senza. Per migliorare le competenze dei suoi allievi, Ueshiba richiese una pratica rigorosa con la spada di legno, o bokken, e esercizi con il jo.
L’aiki-jo, come il metodo di Ueshiba Sensei può essere chiamato, è una forma eclettica. Come gli esercizi che introdusse con il bokken, non appartengono specificamente ad un singolo ryu. Le tecniche di jo, che vengono insegnate nella maggior parte dei dojo di Aikido sono un amalgama, non intendono rappresentare uno stile o preservare una singola tradizione marziale, ma bensì illustrano come i principi di aikido possano essere applicati con un’arma d’asta. Spesso, lo studente è istruito a considerare il jo come un’estensione delle braccia e del corpo, e così egli lo tratta non come un’entità separata, ma come un’estensione del normale movimento del suo corpo. Non c’è quasi un solo precetto di aikido che non possa essere dimostrato con il jo e attraverso la sua attuazione, molti principi possono essere espressi o studiati in modo più adeguato. Era una massima di Ueshiba che quando un aikidoka ha difficoltà con il suo taijutsu (forme a mani nude), dovrebbe rivolgersi all’uso del bokken o il jo per ottenere una prospettiva diversa.
Il fondatore dell’Aikido si ispirò alla sua esperienza nel sojutsu (arte della lancia) per formulare il proprio aiki-jo, ma insistette sul fatto che la lunghezza effettiva o il particolare tipo di armi d’asta non era importante. Per questo motivo, ci sono le fotografie che lo mostrano mentre svolge le stesse tecniche con un jo, mentre brandisce una lancia, oppure un picchetto simile a un palo utilizzato nella caccia al cinghiale. Per l’aikido di Ueshiba, i principi del movimento e la stabilità del centro erano quello che contava.
Oggi, nel jodo dello Shindo Muso-ryu, nel jojutsu dei vari Koryu in Giappone, e nell’aiki-jo di Ueshiba, l’arte del jo viene mantenuta e coltivata. È sopravvissuta a notevoli cambiamenti sociali e di vasta portata in Giappone ed è stata anche esportata in altri paesi. Inoltre, è l’unica arma che viene tuttora praticata, senza alterazione nelle sue forme tecniche o nell’aspetto, in tutte e tre le versioni delle vie la marziali: il Bojutsu, il budo classico e il moderno shin budo. Non è, a ben pensare, un risultato trascurabile per un semplice bastone di legno.

Copyright David Lowry ©1987
Fonte: Lowry David, The Evolution of Classical Jojutsu, Koryu, 1987
https://www.koryu.com/library/dlowry11.html Consultato 12/10/2020
Traduzione italiana di Gabriele di Camillo qui riprodotta con il permesso dell’autore
http://higashinoyume.altervista.org/joomla/altre-vie-marziali/16-l-evoluzione-del-jo
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