
Hiroo Mochizuki sensei è una presenza eccellente e luminosa nella nascita e crescita delle Arti Marziali giapponesi sul suolo d’Europa. Dalla fine degli anni ’50 in poi ha diffuso nel Vecchio Continente Jūdō, Karate, Aikidō, Kobudō di Okinawa e il Bujutsu antico. La sua opera riprende quella del padre Minoru Mochizuki sensei e stabilizza la continuità della prestigiosa scuola Yōseikan. Negli anni ’70 realizza la nuova scuola, lo Yōseikan Budō, che attua l’eredità del Kobudō Kenkyukai di Jigorō Kanō sensei e le idee paterne.
di ADRIANO AMARI
Uno dei frutti precedenti dell’opera tecnica e didattica di Hiroo Mochizuki sensei in Europa è la realizzazione di un tipo di Karate assai vario, mobile, ricco di proiezioni e tecniche di gambe, che hanno dato una vigorosa sferzata al modo di combattere, oltrepassando gli schemi giapponesi del Gyaku Tsuki e delle tecniche soltanto lineari. Per i suoi meriti pionieristici nello sviluppo del Karate è stato insignito del Decimo Dan da parte della federazione francese, unico grado di tal livello ufficiale del Karate in Europa e uno tra i pochissimi delle Arti Marziali moderne. Ma lui è semplicemente il creatore dello Yōseikan Budō [1].
L’Erede
Intervista a Hiroo Mochizuki
I Dialoghi Aiki #9
di Adriano Amari, Hiroo Mochizuki, Michihito Mochizuki
Hiroo Mochizuki è l’erede di una famiglia di samurai.
Creatore dello Yoseikan Budo, è un esperto di fama mondiale nelle arti marziali giapponesi.
Figlio del famoso maestro Minoru Mochizuki, considerato un tesoro nazionale giapponese e allievo diretto di Jigoro Kano e Morihei Ueshiba, successore di una linea di samurai, Hiroo Mochizuki si è ispirato allo spirito combattivo dei suoi avi per creare lo Yoseikan Budo.
Ha adattato la filosofia, la pedagogia e la pratica tradizionale delle arti marziali a un nuovo ambiente moderno, così come alle tecniche di combattimento contemporanee.
Oltre a praticare le Arti Marziali Miste prima che la gente sapesse cosa fossero le MMA, Hiroo Mochizuki ha uno dei record più impressionanti nel mondo marziale.
Prima Parte: Ricordi di storia e personaggi
Conosco il Maestro Mochizuki da più di quarant’anni e seguo il suo insegnamento da allora, adoperandomi per l’insegnamento e la diffusione dello Yōseikan Budō e dei principi della scuola Yōseikan come Arte Marziale – Budō, appunto – e fonte di educazione. In questa intervista ho avuto la possibilità di affrontare numerosi argomenti con il Maestro, affiancato da suo figlio, cercando sia di riportare alcune testimonianze sia di tracciare i perché del suo sistema e la sua visione personale e, allo stesso tempo globale degli aspetti delle Arti Marziali.
Hiroo Mochizuki sensei è un erede, un prezioso testimone delle opere di grandi maestri della precedente generazione, come Morihei Ueshiba Ō Sensei, suo padre Minoru, Shinji Michihara sensei e altri, reclama come “legato testamentario” la concezione educativa ed universale di Kanō sensei, la sua ricerca finale di andare oltre il Jūdō con una altra Arte Marziale che affiancasse alla sua primogenita le tecniche armate e no delle scuole antiche, che costituisse un’analisi globale delle discipline da combattimento. Questa eredità è un preciso compito del Maestro Kanō, affidata al padre Minoru e raccolta dal figlio Hiroo.
In questa intervista il Maestro è affiancato dal figlio maggiore, waka sensei Michihito Mochizuki (Mitchi), che da lungo tempo affianca il padre e costituisce, insieme al fratello Kyoshi, la “scuola Mochizuki” di Arti Marziali [2].
L’intervista è divisa in due parti: la prima riporta molti ricordi del Maestro e il suo incontro con Ō Sensei Morihei Ueshiba, la seconda parla più approfonditamente della sua scuola, lo Yōseikan Budō, e dei problemi delle Arti Marziali nei tempi moderni.
Amari – Se si guarda la storia della scuola Yōseikan, sin dalla fondazione del primo Dōjō a Shizuoka (Novembre 1931) c’è un forte legame con il Kobudō Kenkyukai, fondato da Jigorō Kanō sensei come “istituto di ricerca e studio sulle Arti Marziali giapponesi e mondiali”.
Hiroo Mochizuki sensei – Il Kobudō Kenkyukai è una istituzione ideata dal Maestro Kanō [3].
Per i maestri di Arti Marziali antiche, i Koryū, e anche per loro i metodi, ha stabilito un sistema. Nel caso del Katori Shintō Ryū, questa scuola aveva un Dōjō molto decentrato, tutti i maestri di Katori Shintō Ryū erano di fatto degli agricoltori e vivevano del frutto della terra. Si può dire che erano dei “campagnoli”. Il Maestro Kanō ha invitato quattro dei maestri più importanti (“Shihan”) del Katori Shintō Ryū presso il Kōdōkan, a fare lezione nel Kobudō Kenkyukai. I maestri venivano a turno, spiegavano, osservavano gli allievi, facevano dei corsi. Ciascuno a suo turno faceva il corso con lo stesso programma per presentare la tecnica del Katori Shintō Ryū. Ma ognuno di loro mostrava ogni Kata in un modo diverso. Mio padre (Minoru Mochizuki sensei) era molto imbarazzato: quale era il Kata ufficiale da prendere come modello? I maestri dicevano: “Si, il Kata, ma il Kata ognuno lo sente nel proprio modo, non si può spiegare, non “è così”, ma per ciascuno è differente”.

Foto di un gruppo del Kobudō Kenkyukai: in prima fila, a sinistra, un giovane Shimizu Takaji sensei, col Kusari Gama; al centro Jigorō Kanō sensei, ai suoi lati i maestri della scuola Katori Shintō Ryū (mia valutazione: secondo da sinistra Kuboki Sozaemon sensei, poi Tamai Kisaburo sensei, Kanō sensei, dopo di lui Itō Tanekichi sensei e Shiina Ichizo sensei, nella seconda fila, dietro Kanō sensei, un giovane Mochizuki Minoru.
Così, mio padre ha imparato, ogni volta adattandosi. Poi si è presentato al Maestro Kanō, gli ha parlato e ha detto: “Quel maestro lo mostra così, dopo quell’altro dice cosà”. Lui raccontava che faceva delle domande ai vari maestri, e uno rispondeva in un modo e l’altro in un altro. Il Maestro Kanō lo ha ascoltato e ha detto: “Questo non è affatto male, va bene! Devi adattarti!”. Gli ha risposto proprio così.
E un giorno il Maestro Kanō è andato a trovare il Maestro Ueshiba, che era già un maestro famoso per il suo sistema di Arti Marziali tradizionali, che qualcuno chiamava Takeda Ryū. Il Maestro Ueshiba era un allievo di Takeda, che era conosciuto per la sua forza. Ueshiba sensei allora era un maestro “giovane” mentre Takeda sensei era un Gran Maestro.
Il Maestro Kanō era molto imbarazzato, non lo poteva invitare al suo Dōjō, perché ci sarebbe stata la sensazione che lui, Kanō sensei, ritenesse il maestro Ueshiba di un rango più basso. Così, per correttezza, il Maestro Kanō chiese al Maestro Morihei Ueshiba se potesse inviare presso di lui due giovani allievi molto seri dal Kōdōkan, se era possibile, per presentare e trasmettere l’Aikidō. Il maestro Ueshiba rispose: “Certamente! Con piacere!” e così mio padre andò ad allenarsi presso il Dōjō di Ueshiba sensei. In seguito, tutto quello che apprendeva ogni volta allenandosi con il Maestro Ueshiba poi lo presentava al Maestro Kanō, sia le tecniche, sia tutto quello che diceva il Maestro Ueshiba.
Un giorno il Maestro Ueshiba disse a mio padre che voleva nominarlo “Capo degli Assistenti” [5] e gli ha chiesto se accettava la carica. Ma lui si è schermito, perché erano appena due anni che praticava presso Ueshiba sensei e gli espresse i suoi dubbi. Lo stesso Maestro insistette: “Si, si, ma è importante, io voglio che tu divenga il capo degli assistenti”. C’erano altri allievi molto più anziani di lui nella pratica con Ueshiba sensei, per questo era fortemente imbarazzato, per cui propose che occorreva parlarne e spiegarsi col Maestro Kanō, e se questi avesse accettato lo avrebbe fatto anche lui [6]. Così Ueshiba lo chiese al Maestro Kanō, e alla federazione di Jūdō, perché desse il permesso a Minoru Mochizuki di diventare direttore degli Uchi Deshi. Il Maestro Kanō acconsentì, per lui non vi erano problemi, ma Minoru Mochizuki doveva continuare a frequentare il Kōdōkan. Così mio padre abitava al Dōjō del Maestro Ueshiba e poi si recava al Kōdōkan per continuare la sua pratica lì.
Il Kobudō Kenkyukai era una sezione all’interno del Jūdō, una specie di “studio sulle discipline storiche”. Questa era una idea, una istituzione molto interessante, ma, purtroppo, dopo la II Guerra Mondiale, questa sezione è scomparsa.
In seguito, mio padre si trasferì a Shizuoka per altri fatti, e non è più ritornato a frequentare. Il Maestro Kanō morì qualche anno prima della guerra (1938). Così finì il progetto del Maestro Kanō, che voleva formare giovani jūdōka, quelli che dovevano diventare i migliori professionisti, gli inviati del Kōdōkan nel Mondo, coloro dovevano conservare e tramandare tutti i metodi classici delle Arti Marziali giapponesi. È stata un’idea del Maestro Kanō, ma è stata cancellata dalla II Guerra Mondiale.
Amari – Vorrei chiedere al Maestro Hiroo Mochizuki qualche approfondimento, notizie sul rapporto dello Yōseikan con Morihei Ueshiba sensei.
Hiroo Mochizuki sensei – Mio padre, dopo l’assenso del Maestro Kanō, diventò primo assistente di Ueshiba sensei. In seguito, si è ammalato [una forma di polmonite] e il Maestro Kanō gli ha procurato un posto in ospedale a Tōkyō. Sia il Maestro Ueshiba che il Maestro Kanō abitavano a Tōkyō, e il Maestro Kanō gli fece pagare attraverso il Kōdōkan il migliore ospedale di Tōkyō, in modo che non ci fossero problemi. Mio padre era molto turbato dal fatto che il Maestro Kanō si occupasse di lui e non gli sembrava giusto perché c’erano molti jūdōka importanti, suoi superiori di pratica e di grado, e così sembrava che il Maestro Kanō lo considerasse una persona eccezionale. Così si è scusato con Maestro Kanō, è partito per Shizuoka dove si trova l’antica casa di famiglia, e si è ricoverato nell’ospedale di Shizuoka. Malgrado questo, il Maestro Ueshiba gli ha conservato per due anni il posto di capo degli assistenti del suo Dōjō.
In seguito, guarito, mio padre era partito nel 1938 per la Mongolia interna, nel quadro delle azioni politiche giapponesi secondo le ragioni del tempo. Questa partenza dipese sia dal suo attivismo politico col fratello maggiore Shinpachi, a cui era molto legato, sia da esortazioni del Maestro Ueshiba.
La Manciuria era un paese definito già prima che si formasse la Cina. Ci sono dei legami antichi con il Giappone, era considerato un paese dove sviluppare la teoria della “Grande Sfera di Prosperità”. Così vari gruppi politici e sociali, anche il Maestro Ueshiba [7], partirono per organizzare i sostenitori sul luogo, per aiutare per l’indipendenza e lo sviluppo della Manciuria [8].
Così, a questo punto, si erano separati, mio padre in Cina e il Maestro Ueshiba è rimasto in Giappone, ha continuato ad insegnare nel suo Dōjō, ma si è recato altre volte in Manciuria.
Dopo la guerra, avevamo perduto il primo Dōjō Yōseikan a causa dei bombardamenti, mentre il Maestro Ueshiba stava ancora a Tōkyō. Mio padre andava spesso a Tōkyō e si incontrava lì con il maestro Ueshiba. D’altra parte, il Maestro Ueshiba veniva spesso al nostro Dōjō di Shizuoka, prima della guerra. Dopo la guerra il Dōjō non c’era più, così lo invitavamo a Mochimune [9], allora un piccolo villaggio di metà coltivatori e metà pescatori a Sud-Ovest di Shizuoka, dove aveva aperto uno studio medico come kinesiologo [10].
Mio padre rimase là un po’ di tempo, a Mochimune, a fare il kiniesologo. Poi decise di costruire un altro Dōjō a Shizuoka con i soldi che aveva guadagnato, così nacque il secondo Dōjō, e allo stesso tempo continuò a fare il kinesiologo. Ma, con questa costruzione, tutti i pazienti venivano adesso visitati e curati al Dōjō, lui dormiva lì in quel periodo. Il Maestro Ueshiba veniva spesso a questo nuovo Dōjō, mio padre gli faceva i massaggi e si allenavano insieme. Non c’era una cucina, così si mettevano all’esterno, facevano fuoco di carbone per cuocere e mangiavano lì del riso e altre pietanze, seduti al lato del fuoco. Si coricavano entrambi sulla materassina.
Poi, dopo un anno, mio padre costruì uno studio separato davanti al Dōjō.
Amari – Ci sono delle storie interessanti sulla “nascita del “Primo Dōjō Yōseikan”!
Hiroo Mochizuki sensei – Il primo Dōjō, quello distrutto dai bombardamenti americani, era nel quartiere di Hitoyado-chō, a Shizuoka. Il secondo, costruito dopo la Seconda Guerra Mondiale, si trovava a Daiku-chō. Non era nello stesso posto, ma non troppo lontano, la distanza a piedi era circa quindici minuti.
Il primo Dōjō fu costruito da quel fratello maggiore, Shinpachi, che poi lo accompagnò in Mongolia. Era un dentista [11] e aveva guadagnato molti soldi. In questo modo voleva assicurarsi che suo fratello rimanesse a Shizuoka e stesse tranquillo. Ma mio padre era come un pazzo per il Jūdō. Mentre era in convalescenza per la polmonite era scappato più volte dall’ospedale per andarsi ad allenare al Dōjō della polizia di Shizuoka. Un giorno Shinpachi lo scoprì e lo rimproverò dicendogli: “Ma che fai? Se continui così potresti morire!”.
Mio padre era troppo preso dal Jūdō, così questo fratello maggiore voleva assolutamente sorvegliarlo ed evitare che tornasse a Tōkyō e continuasse ad eccedere negli allenamenti.
Così costruì questo primo Dōjō per bloccarlo a Shizuoka. All’inaugurazione venne il Maestro Ueshiba con tutti i suoi allievi che erano personalità di spicco nella politica e nelle forze armate, generali e ammiragli, politici militari molto importanti a quei tempi.
Sono venuti perché il Maestro Ueshiba considerava molto mio padre, lo vedeva come un figlio [12], e voleva valorizzarlo portando tutte queste persone importanti alla inaugurazione ed è una cosa che il Maestro ha fatto solo per mio padre.

Mitchi Mochizuki – Mi hai raccontato che Ueshiba sensei veniva al Dōjō di Shizuoka, e che il nonno gli organizzava dei seminari.
Hiroo Mochizuki sensei – Già prima della guerra Ueshiba sensei veniva e mio padre gli organizzava dei seminari al suo Dōjō e in quello municipale.
Dopo, al tempo del secondo Dōjō, lui andava a Tōkyō dal Maestro Ueshiba e quest’ultimo veniva a Shizuoka a trovarlo. Mio padre era molto impegnato nel suo mestiere di kinesiologo; invece il Maestro Ueshiba era molto libero, veniva spesso a vederlo. Lo voleva sempre come assistente, ma col tempo comprese che questo non era possibile a causa dei suoi impegni di lavoro e di famiglia.
Così il Maestro Ueshiba stava a Tōkyō e mio padre quando vi andava e si recava al suo Dōjō, il Kobukan, a trovarlo. Di contro Ō Sensei veniva a Shizuoka dove mio padre organizzava dei seminari. Così presentava il Maestro Ueshiba non a giovani allievi, ma a gente importante della città di Shizuoka, a questo scopo invitava un gran numero di persone alla sala annessa al principale Santuario Shintō cittadino. Il Maestro Ueshiba parlava molto e allo stesso tempo presentava delle tecniche. La gente veniva a partecipare al seminario ma non c’erano jūdoka o aikidōka tra loro, così noi, i giovani del Dōjō, andavamo ad aiutare il Maestro Ueshiba, che mostrava delle tecniche adatte ai principianti. Alcune volte è venuto col maestro Saitō e col maestro Yamaguchi, e in questo caso noi ne approfittavamo per lavorare con il maestro Saitō e col maestro Yamaguchi, ma non era proprio un seminario col Maestro Ueshiba, piuttosto faceva lavorare il maestro Saitō e mostrava di tanto in tanto delle cose, non molto impegnative per i giovani, che erano tutti competitori di Jūdō o che facevano Aikidō da più anni. Noi cadevamo bene, non avevamo problemi a fare Aikidō, per noi jūdōka era abbastanza facile.
L’ultima visita del Maestro Ueshiba a Shizuoka – io presente in Giappone – fu nel 1962. Ero tornato dalla Francia – il mio primo viaggio – nel 1959 e poi sarei ripartito nel 1963. Nel 1962 facemmo una festa per il Dōjō Yōseikan, che la organizzò in un teatro dove potevano prendere posto duemila persone. Il teatro fu riempito, come altre volte mio padre aveva invitato le personalità più importanti di Shizuoka delle Arti Marziali (tutte le discipline, Jūdō, Kendō e altre), i politici, i religiosi Shintō e Buddisti. Abbiamo fatto questa dimostrazione e questa fu l’ultima volta che io ho visto il Maestro Ueshiba, che era venuto per l’occasione. Lì incontrai per la prima volta il maestro Tamura, poi anche lui si è trasferito in Francia per l’Aikikai, che allora si allenava con il figlio del Maestro Ueshiba, Kisshomaru, a Tōkyō.
Il Maestro Ueshiba, dopo la II Guerra Mondiale si era spostato ad abitare ad Iwama, e ogni tanto veniva a Tōkyō. Così da Iwama è sceso a Tōkyō e ha chiesto a suo figlio di “prestargli” il maestro Tamura perché lo accompagnasse a Shizuoka.
Amari – Lei, Maestro Mochizuki, aveva già soggiornato da Ueshiba sensei, mi pare?
Hiroo Mochizuki sensei – In precedenza, prima del viaggio in Europa, mi ero recato ad allenarmi presso il Maestro Ueshiba. Accadde quando ero al secondo anno del Liceo, nel 1951 e nel 1952. In quegli stessi anni mio padre era in Europa, così io mi trovavo a non avere più il mio maestro. Così mia madre, volendo che io progredissi non solo nel Jūdō, ma anche nell’Aikidō, ha domandato al Maestro Ueshiba se potesse inviarmi presso di lui durante le vacanze estive. Il Maestro Ueshiba ne fu molto contento.
Come Uchi Deshi io aiutavo anche in mansioni domestiche, tutte le sere aiutavo sua moglie a cernere il riso, per esempio. Il Maestro Ueshiba coltivava del riso e lo vendeva. La parte destinata agli usi domestici veniva “spigato” sull’aia, sulla terra. Nel raccoglierlo, poi, una parte, quella più alta, era facile da prendere e cernere, ma la parte bassa si mischiava con sassolini e terra, così occorreva separare i chicchi di riso dal resto.
Io dormivo nel Dōjō, sul parquet. Allora non c’erano tatami per la pratica, a Iwama…
Tutto questo per me è un bel ricordo!
Le mattine, verso le cinque, prima che il Maestro si alzasse dovevo pulire tutto il terreno attorno al Dōjō, ogni giorno. C’erano molte piante, alberi, fiori, un orto. Poi arrivava il Maestro, ci davamo il buongiorno e andavamo al Dōjō, che era accanto alla sua casa, a circa settanta metri di distanza e in mezzo c’era il santuario – può essere della tradizione Shintō Ōmoto.
Quando passavamo di là il Maestro si fermava e faceva una preghiera. Io non capivo bene cosa dicesse, ma stavo dietro a lui e ne seguivo i gesti. Finita la preghiera (il Maestro fa il gesto di battere le mani) andavamo al Dōjō. Lì c’era il maestro Saitō che attendeva. Lui aveva già pulito il Dōjō e, di seguito, ci allenavamo insieme. Principalmente tutti e due facevamo da Uke al Maestro. Un gran quantitativo di cadute. Il Maestro faceva le tecniche e noi cadevamo. Lui veniva in avanti con piccoli passi, poi c’era l’attacco e noi cadevamo, a destra e a sinistra. Noi dovevamo apprendere la tecnica pensandoci su appena prima di cadere e mentre cadevamo cercavamo di acquisire cosa avesse fatto, e come. Se il Maestro fosse in guardia destra o sinistra, e così via. Era una cosa difficile.
Il Maestro Ueshiba faceva due passi nel momento che noi ne facevamo uno, a volte col sinistro, a volte con il destro e noi cadevamo riflettendo su cosa avesse fatto. Nel pomeriggio, dopo il pasto e il riposo, io e il maestro Saitō cercavamo di ricostruire quello che avevamo fatto la mattina. Il maestro Saitō era anche lui in difficoltà, a volte diceva che non aveva mai visto quella tecnica. Comunque, il maestro Saitō ha appreso la tecnica in questo modo e anch’io.
Quello che avevo appreso con mio padre era un sistema, spostamenti e tutto il resto, quello che ho fatto ad Iwama era molto differente. Mio padre ha appreso prima della II Guerra Mondiale, allora la pratica del Maestro Ueshiba era più stretta, più forma Jū Jutsu. E questo lui ha insegnato nel suo Dōjō di Shizuoka, i suoi allievi hanno imparato un sistema molto Jutsu, senza rotazioni. All’inizio fui piuttosto sorpreso, ma ero un buon sportivo, ero molto atletico, facevo corsa, salto, nuotavo e facevo gare alla scuola, così mi fu abbastanza facile adattarmi al sistema del Maestro Ueshiba, ho compreso come fare questo sistema diverso da quello di mio padre.
Amari – Nello Yōseikan Budō, l’Aiki quale ruolo ha, quali sono gli scopi didattici e tecnici?
Hiroo Mochizuki sensei – Aikidō per me è il Cerchio, è un’invenzione del Maestro Ueshiba, è lui che ha portato avanti il sistema del Cerchio, perché la versione di mio padre non usa le rotazioni e anche Takeda sensei aveva un sistema differente, che è il sistema del Jū Jutsu. Quello che ho trovato, l’idea del Cerchio, è del Maestro Ueshiba. Quando ho appreso con lui ho trovato che questa idea era fantastica, perché tutte le tecniche, quando vengono eseguite con un movimento piccolo o con una entrata diretta, è difficile vedere tutti i piccoli dettagli, le sfumature. Si finisce per fare poi “a grosso modo”, così. I piccoli dettagli, quando si osservano, sono fatti male, sciatti. Al contrario, utilizzando il metodo del Maestro Ueshiba, ingrandendo i movimenti, non ci sono bloccaggi, si è nel Cerchio, non ci sono angoli. Grazie a questo è possibile comprendere meglio la tecnica e soprattutto l’efficacia del movimento.
Così io utilizzo nello Yōseikan Budō il principio didattico e tecnico del Cerchio e per me questo metodo è molto importante per migliorare molto, perché quando si apprendono le tecniche, all’inizio, nel Cerchio diventano grandi movimenti e poi, a poco a poco, è possibile rimpicciolirli. Ma tutto rimane corretto per inviare la potenza senza interruzioni. Allora, per “potenza interrotta” intendo dire, per esempio, in una proiezione, effettuare prima il movimento di tirare e poi invertirlo per spingere. Facendo così uso due forze, una per portare l’avversario verso di me, la seconda per proiettarlo. In questo modo si perde una parte della vostra stessa forza che usate contro voi stessi, si spreca. Se girate, ruotate, c’è un’accelerazione continua, dall’inizio fino alla fine, non ci sono angoli, è più efficace.
Questo metodo del Maestro Ueshiba per apprendere una tecnica, soprattutto una tecnica nuova, pedagogicamente è più facile farla comprendere e, in seguito, arrivare all’efficacia e far progredire velocemente e bene l’allievo.
Così io ho preso questo principio del Cerchio. Ma non è solo una questione di tecnica, c’è anche il sentimento, c’è molto attaccamento da parte mia al Maestro Ueshiba, al suo ricordo. La sua elasticità di pensiero, la gentilezza, la capacità di accettare qualcosa di nuovo. Mi ha trattato come se fossi suo nipote, questa è stata la sensazione che ho avuto quando sono stato da lui.
C’è un episodio che voglio raccontare…
Una sera mi occupavo di cernere il riso con la moglie del Maestro. Lui è arrivato, si è avvicinato a me e mi ha chiesto se mi piacessero i gamberetti. Io risposi di si, che mi piacevano molto.
Il giorno dopo era introvabile. Tornò tardi, con un bel cesto pieno di gamberetti, che abbiamo gustato insieme. Aveva fatto un viaggio, doveva prendere il treno per arrivare al borgo marino dove comprarli per farmi questa sorpresa. Si comportò per tutto il mio soggiorno come un nonno affettuoso.
Anche questo rientra nel principio del Cerchio. È un Cerchio mentale, già. Questo, per me è un concetto che mi è rimasto impresso molto, ho cercato di portarlo nella didattica e nella tecnica dello Yōseikan Budō.
Non solo tecnica, è importante lo Spirito.
Pedagogicamente, tecnicamente e in più mentalmente, tutto questo per lo Yōseikan Budō.
Mitchi Mochizuki – Sul piano tecnico la parte Aiki nello Yōseikan Budō è importante e permette di sviluppare la fluidità e di comprendere i principi di assorbimento e di invio dell’energia attraverso il sistema centrifugo/centripeto. Inoltre consente di accedere in modo sperimentale ad una migliore comprensione della biomeccanica grazie l’utilizzazione delle articolazioni, e permette di comprendere i limiti e le capacità di flessione, torsione ed estensione di ciascuna articolazione. Sul piano pedagogico si riesce ad imparare per bene il sistema dell’equilibrio attraverso il movimento ingrandito, e acquisire i principi e le tecniche del Jūdō e del Jū Jutsu. Questo grazie al sistema di ingrandire la tecnica secondo il principio del Cerchio, anche esagerando, così da raggiungere la comprensione della generazione dell’energia e il suo sistema di relazione nell’azione. Infine migliora anche la stabilità su tutti i movimenti negli spostamenti circolari. Per esempio, queste sono cose che si trovano, realizzate in modo molto buono nella Boxe e anche nel Jūdō, dove ci sono molti movimenti circolari. Apprenderli attraverso la forma Aiki mi permette di poterle rispettare nel lavoro pugni-calci o di proiezioni, così l’Aiki è un punto molto importante nella pratica dello Yōseikan Budō.
Hiroo Mochizuki sensei – È così. Come nel Jūdō, come faceva il maestro Mifune: quando riguardo le sue tecniche spesso utilizzava il cerchio, anche nelle tecniche di Sutemi è ben nel cerchio. Lo utilizzava, ma il suo non era un sistema come nel Maestro Ueshiba. In generale è una cosa propria delle Arti Marziali, non solo nelle tecniche corpo a corpo, ma anche nella spada, nella Naginata o altre armi. È una parte tecnica molto interessante da utilizzare come pedagogia.
Mitchi Mochizuki – Un altro punto interessante è la tecnica di liberazione dalla presa, permette di lottare contro il proprio riflesso di contrazione, quando si viene spinti o tirati, e si oppone la forza. Grazie all’Aiki e alla tecnica di liberazione dalla presa si apprende come utilizzare la spinta o la trazione dell’altro contro di lui, a lottare contro i riflessi naturali non produttivi.
Hiroo Mochizuki sensei – Le leve sono in generale contro l’articolazione ma nell’Aikidō si va nello stesso senso dell’articolazione, per esempio un avversario che chiude il pugno, in generale si può fare una leva che va contro questo movimento (per esempio su un dito o sul polso) ma nel sistema Aiki si va nella direzione del movimento aiutando la forza dell’avversario per piazzare la tecnica, allo stesso tempo si effettua un controllo. Il controllo è difficile in genere, mentre col sistema Aiki è più facile controllare, più sicuro.
Amari – Quali sono i principi della scuola Yōseikan e come li propone in modo educativo, dato l’insegnamento di tanti grandi maestri? Vorrei chiedervi in che modo pensate che le varie parti che compongono questa completezza si organizzano tra di loro e quali risultati formativi desiderate che vengano fuori?
Hiroo Mochizuki sensei – Per quanto riguarda la filosofia, non sono molto esperto di filosofia in senso occidentale. Se parliamo del senso del pensiero nelle Arti Marziali, come esempio posso parlare di mio padre. Lui è stato enormemente influenzato dal Maestro Kanō, e il Maestro Kanō cercava sempre delle cose logiche, per cui per noi la logica è importante. Potremmo definirlo il “primo punto”.
Mio padre, all’interno dei corsi del Kobudō Kenkyukai, come ho prima raccontato circa il Katori Shintō Ryū e il Maestro Ueshiba, è stato inviato dal Maestro Funakoshi per imparare il Karate ed è rimasto da lui un mese. Però è venuto in contrasto con gli altri karateka, non gli sembrava logico il lavoro del Karate, e dopo un mese ha smesso. Nel Karate Shōtōkan quando si dava il colpo di pugno [il Maestro mima uno Tsuki] la spalla doveva rimanere ferma. Questo già mio padre era sembrato innaturale, non è logico tirare un colpo di pugno e non far avanzare la spalla. Anche per me non è logico in senso anatomico. Bisogna cercare ed esprimere la logica. Nel Jūdō si usa molto il principio del braccio di leva, e questo è logico dal punto di vista fisico. Per squilibrare l’avversario si spinge o si tira in accordo con le sue reazioni, e c’è anche un lavoro psicologico di far muovere l’avversario in un modo e, dopo, sfruttare questo spostamento per applicare la tecnica.
La successione Tsukuri (Attirare), Kuzushi (rompere l’equilibrio), Kake (applicare la tecnica), è logica, è azione. Allo stesso tempo, il Maestro Kanō ha detto di progredire mutualmente – Jitakyōei – quando si è con un avversario, nel combattimento, durante il combattimento, bisogna prendere e dare reciprocamente qualche cosa. L’avversario è differente da noi nel pensiero e nella azione. C’è un modo di attaccare, bisogna creare lo squilibrio. Ci sono molte cose, la strategia, plagiare l’avversario, farlo cadere in errore, squilibrarlo mentalmente, fisicamente, tutte e due le cose, e facendo così la tecnica è logica ed è una cosa differente per ciascuno. Questa è una cosa importante da apprendere e quando si capisce questo si progredisce. Nonostante il combattimento sia apparentemente un conflitto, occorre fare così per progredire mutualmente.
Nel combattimento dei Samurai con la spada, non c’è la continuazione della vita, non c’è progresso, c’è la morte. Il “Budō” è carico di un contenuto filosofico, da una parte l’esperienza corporale attraverso le tecniche di combattimento, dall’altra parte la ricerca mentale rivolta verso un obiettivo di pace. Chi ha conosciuto la guerra ricerca la pace, perché ha compreso nello spirito e nel corpo l’inutilità della guerra e il valore della pace. I maestri cercano un mezzo per dissuadere i giovani a cercare la guerra e a manifestare uno spirito troppo bellicoso, sanno che il giovane che non ha mai provato l’ardore del fuoco non lo comprende, né crede al pericolo che rappresenta. Allora hanno istituito il Budō come esperienza di combattimento. Se osserviamo il sistema olimpico, come concepisce e definisce lo sport, vediamo che la cosa più importante è partecipare, non vincere. Queste cose sono una filosofia adatta al mondo. Ricordiamo che il Maestro Ueshiba ha detto: “l’Aikido è Ai (愛), amore! Non c’è alcun avversario”, gli esseri umani devono andare avanti insieme.
Il mio maestro di Karate, Shinji Michihara sensei, aveva fatto lo stile Shōtōkan, lo Shitō Ryū, e poi il Wadō Ryū con il Maestro Ōtsuka. Lui portava avanti il concetto di Karate-dō: né Wadō Ryū, né Shitō Ryū, né Shōtōkan, né Gōjū Ryū. Un Karate “insieme”, per lui questo era il Karate-dō, sceglieva dalle varie scuole quello che riteneva buono, perché in tutti i metodi ci sono delle cose buone, diceva che occorre apprendere tutte queste cose da tutto il mondo, insieme. Lo diceva spesso e ci diceva di esaminare, studiare, progredire intellettualmente. Questa è la filosofia che viene dai maestri antichi, quella che mi ha trasmesso, è molto importante. Penso che si debbano rispettare tutti i nostri predecessori che hanno lasciato qualche cosa di interessante per l’avvenire dell’umanità. Bisogna mantenere l’Arte Marziale, ma l’Arte Marziale non è apprendere qualcosa per il combattimento. I Samurai avevano studiato, avevano trovato delle tecniche molto interessanti per combattere, ma avevano verificato le stesse tecniche erano molto utili per la salute.
Nel Jūdō, non si possono dare colpi di pugno-piede, solo prese e poi si lavora, ma quando Kanō sensei ha fatto questo si è perso il lavoro alle varie distanze. Gli antichi dicevano che c’erano tre distanze: Chika-Ma (corta), Ma (media) e To-Ma (lunga) e le distanze sono importanti con le armi, con la spada e con la lancia, con il tiro con l’arco, oppure quando si combatte a cavallo. C’ è la distanza da utilizzare secondo la situazione. Questo può essere messo tutto nella filosofia, per noi non è guerra, gli esseri umani sono tutti liberi di vivere sulla terra. Questo è l’avvenire. Il mondo e l’umanità devono essere liberi dappertutto. Questo corrisponde a quanto volevano esprimere tutti i maestri “anziani”, che ci hanno lasciato tecnica e filosofia. Questo è molto importante per noi, per tutti i praticanti di Arti Marziali.
Mitchi Mochizuki – Quando avete fatto la dimostrazione a teatro nel 1962, torniamoci su, c’era una competizione di Jūdō e delle tecniche di rottura. C’è stato un episodio particolare.
Hiroo Mochizuki sensei – L’ultima volta che io ho visto il Maestro Ueshiba è stato proprio allora, verso la fine del 1962, per la festa del Dōjō Yōseikan a Shizuoka fatta nel teatro con 2000 spettatori. Io ho fatto una dimostrazione di competizione di Jūdō contro tre avversari cinture nere, due secondi dan e un terzo dan. Io ero al terzo dan, avevo programmato di presentarmi per il IV dan ma avevo dovuto saltare la sessione di esami per impegni universitari. Durante la gara dimostrativa, cercavo di proiettarli e c’era una forte opposizione, più del necessario in una esibizione. Questo perché da parecchio tempo ero residente a Tōkyō per i miei studi superiori, invece i miei avversari erano di Shizuoka, di conseguenza l’evento cui veniva vissuto come l’ “onore di Shizuoka” contro il forestiero, l’estraneo di Tōkyō. Il combattimento era molto “sentito” e mi attaccavano. Malgrado questo io li proiettai tutti e tre, con delle buone tecniche da Ippon. In seguito dimostrai il Karate, feci delle tecniche di rottura. Ho fatto, insomma, una dimostrazione molto buona ed ero veramente contento di me. Però, quando sono rientrato negli spogliatoi, c’era il Maestro Ueshiba e al suo fianco il maestro Tamura, che gli aveva fatto da Uke per la sua dimostrazione. Il Maestro mi interpellò in modo duro: “Che cosa stai facendo? Non va bene!”. Io ero stupito. Continuò: “Tuo padre ti ha insegnato male!”. All’inizio non capivo il perché dei rimproveri. Ero convinto che, al contrario, il Maestro Ueshiba sarebbe stato molto contento di me, e non era così! Al contrario, mi stava rimproverando. Al momento non capivo. A quel punto, ho riflettuto, ho avuto una illuminazione: rompere le tavolette di legno era innaturale, contro l’idea di pace e la natura delle cose, di conseguenza questa mia dimostrazione di tecniche di rottura per il Maestro Ueshiba era una cosa gravissima. Così lui mi ha rimproverato aspramente davanti al maestro Tamura per farmelo capire, mi ha proprio “colpito”. Me lo sono ricordato per tutta la vita, è un principio importante, una “filosofia” importante: andare in armonia con la vita.

Mitchi Mochizuki – Mi sono chiesto come si può trasmettere al praticante di Yōseikan Budō un tipo di filosofia, soprattutto in modo orale attraverso le lezioni, i seminari, attraverso il contatto con mio padre. È attraverso degli scambi che si trasmette, posso dire che nello Yōseikan Budō questo si può trovare nel modo particolare di Randori che noi chiamiamo Kyōei Randori: questo esercizio di combattimento di studio nello Yōseikan Budō si fa nel senso di progredire mutualmente, non è tanto per vincere in sé, ma per riuscire a spingere l’altro a fare qualcosa di più, superare i suoi limiti tecnici. In questo esercizio si possono, usare anche le mani aperte, colpire anche nei punti non consentiti dai regolamenti, quelli pericolosi come la gola, i genitali, gli occhi, controllando, e anche il dorso, la nuca, è possibile usare le tecniche di leva, tutto è possibile, niente è escluso in anticipo.
È per apprendere la filosofia del Jitakyōei, andare avanti e prosperare mutualmente.
È importante insegnare con benevolenza in modo che gli allievi progrediscano in un ambiente rilassato, in cui ci si prende cura di tutti, nel buonumore. Dal principiante con cui ti interfacci, trovare il contatto con gli allievi e dagli allievi ricevere cose che poi noi insegnanti riutilizziamo nel modo di insegnare e di trasmettere ai praticanti.
Hiroo Mochizuki sensei – Quando c’è l’occasione di fare, occorre fare! Quando viene posta una domanda da parte degli allievi, è un’occasione, non si può trasmettere tutto dall’alto, non è possibile. Ci sono molti scenari, anche un’intervista come questa è interessante, perché fa venire fuori delle cose.
Ci sono delle cose a cui, dentro di me, sono contrario. Tempo fa il Maestro Ueshiba mi disse di non fare tecniche di rottura, per cui ho escogitato il sistema del Kyōei Randori, è una ricerca d’efficacia come vuole lo Yōseikan. Lo Yōseikan Budō non è come l’MMA, c’è la filosofia di Ueshiba, di Kanō e di altri maestri ancora, che ne costituisce la base, lo Yōseikan è anche una forma sportiva, ma essere gentili non corrisponde più alla nostra società, la nostra società è combattere e per vivere occorre vincere. Per cui non basta essere gentili, occorre anche essere forti. La forma competizione, a mio avviso, è necessaria nella vita, ma non bisogna rimanere nella forma della competizione e quando si arriva a un certo livello allora bisogna pensare all’avvenire dell’umanità e rispettare l’idea del Maestro Ueshiba. Ma se si dimentica questo, si diviene come nell’MMA, non è positivo per l’avvenire. Io sono contrario, ma bisogna essere forti, per questo nello Yōseikan Budō ci sono le competizioni, c’è l’efficacia, dove tutte le tecniche pericolose sono proibite e occorre controllare, ma c’è il combattimento, si può dire competizione sportiva e progredire grazie a questo, per me è indispensabile.

Sude Randori
Mitchi Mochizuki – È l’equilibrio tra Kyōei (forma di studio e collaborazione) e Sude Randori (forma combattiva e competitiva), due forme di allenamento che devono progredire insieme. Nel Kyōei Randori occorre sviluppare la creatività e la libertà di ciascuno e, allo stesso tempo, con una opposizione leggera ognuno agisce a suo turno, mentre nel Sude Randori c’è opposizione totale, contatto, comunque in uno scenario controllato. La domanda è: che formazione dare attraverso lo Yōseikan Budō, deve essere un sistema educativo per i giovani e vantaggioso per la salute.
Hiroo Mochizuki sensei – È così, hai ben compreso. Le competizioni di bastone sono pure interessanti [13].
In questi Randori sei libero, c’è un tipo di bastone che si studia come la spada ed è interessante perché la spada è molto tecnica, e un tipo di bastone in cui si è completamente liberi – l’attrezzo può colpire come un bastone, come la canna (il Maestro fa riferimento alla Canna Francese). Si può utilizzare nel combattimento, è uno scenario vasto, ci sono più possibilità e, in più non fa male all’avversario. E il materiale che ho trovato è veramente utile.
(Fine Prima Parte)
Copyright Adriano Amari ©2021
Tutti i diritti sono riservati. Ogni riproduzione non espressamente autorizzata è severamente proibita
L’Erede
Intervista a Hiroo Mochizuki
I Dialoghi Aiki #9
di Adriano Amari, Hiroo Mochizuki, Michihito Mochizuki
Hiroo Mochizuki è l’erede di una famiglia di samurai.
Creatore dello Yoseikan Budo, è un esperto di fama mondiale nelle arti marziali giapponesi.
Figlio del famoso maestro Minoru Mochizuki, considerato un tesoro nazionale giapponese e allievo diretto di Jigoro Kano e Morihei Ueshiba, successore di una linea di samurai, Hiroo Mochizuki si è ispirato allo spirito combattivo dei suoi avi per creare lo Yoseikan Budo.
Ha adattato la filosofia, la pedagogia e la pratica tradizionale delle arti marziali a un nuovo ambiente moderno, così come alle tecniche di combattimento contemporanee.
Oltre a praticare le Arti Marziali Miste prima che la gente sapesse cosa fossero le MMA, Hiroo Mochizuki ha uno dei record più impressionanti nel mondo marziale.
Note
[1] per maggiori informazioni sulla biografia del Maestro, vedere l’articolo su questo blog:
[2] Michihito (Mitchi) Mochizuki è nato il 5 Settembre del 1977, ha iniziato a praticare all’età di sette anni e, come fece suo padre nella sua gioventù a Shizuoka, ha incominciato a fare l’assistente sul tatami già alla giovane età di quindici anni. È Quinto Dan di Yōseikan Budō, è Professore con il Diploma di Stato di II livello e ha ideato diversi programmi di insegnamento, nonché la disciplina Yōseikan Circuit Training. Come agonista è stato Campione di Francia di Yōseikan Budō nel 1994 e 1997. Svolge attività didattiche e organizzative per la Federazione Francese Karate Discipline Assimilate, ha allenato la squadra nazionale francese di Yōseikan Budō dal 2004 al 2008, dirige seminari internazionali dal 1998 in tutti i paesi del mondo dove ci sono organizzazioni di Yōseikan Budō.
[3] Per approfondimenti su questo articolo, vedere i seguenti articoli dell’autore:
Articoli sul Kobudo Kenkyukai sul blog Aikido Italia Network
https://atomic-temporary-18820446.wpcomstaging.com/2021/01/19/kobudo-kenkyukai-iv-leredita/
Inoltre:
https://atomic-temporary-18820446.wpcomstaging.com/2021/04/03/yoseikan-budo-leredita-finale/
[4] In una intervista per “Samurai” del 1986, Minoru Mochizuki sensei disse che il motto “L’importante è partecipare, non vincere” era stato probabilmente ispirato dal Maestro Kanō al barone De Coubertin
[5] Il Maestro fa riferimento agli Uchi Deshi, gli allievi speciali in internato preso il Dōjō. Sono i futuri istruttori della scuola. Il ruolo di “capo degli Uchi Deshi” è una carica piuttosto importante, in pratica si è il “numero due” della scuola.
[6] Il legame maestro-allievo nella tradizione giapponese ha delle regole precise. Minoru Mochizuki sensei era un allievo di Kanō sensei “prestato” al Maestro Ueshiba, per cui era indispensabile la sua autorizzazione per poter accettare.
[7] Con l’Ōmoto- kyō nel 1924 e poi ancora, in seguito.
[8] Alla fine della Prima Guerra Mondiale la “Mongolia Esterna”, che corrisponde all’attuale stato della Mongolia, si era staccato dalla Cina ed era diventata una nazione a sé, praticamente un protettorato della Russia bolscevica. La “Mongolia Interna”, distinta dalla “esterna”, era una larga fascia di territorio che ne costeggiava i confini orientali e meridionali. Era caduta in una fase di anarchia dove spadroneggiavano bande di sbandati e nuovi “signori della guerra”. Con una parte di questa fascia e aggiungendo dei territori tra questi e la Corea, i giapponesi nel 1931 avevano creato l’impero/protettorato del Manciù-kuò.
Secondo Hiroo Mochizuki sensei: “Nella Manciuria e nella Mongolia interna c’erano contatti importanti per il Giappone e un movimento politico molto seguito voleva fare della Manciuria un paese indipendente, all’interno della “sfera di prosperità” giapponese. Questi paesi, Mongolia Interna, Mongolia Esterna e la Manciuria, erano un posto molto vago a livello internazionale. L’idea della politica giapponese era creare uno stato e ufficializzarlo a livello internazionale e così fecero un colpo di mano sulla Mongolia Interna e sulla parte cinese, la Manciuria, e misero l’ultimo imperatore cinese a capo della Manciuria. Mio padre e mio zio avevano questa idea, aiutare l’indipendenza da Cina, Russia e Mongolia ‘Esterna’, e sviluppare il paese”.
[9] A Mochimune abitava la famiglia della moglie di Minoru sensei, i Shinmura, discendenti di antichi samurai Takeda. Per questo clan, ai tempi di Shingen Takeda, custodivano il vicino castello di Mochibune, sul monte Shiroyama.
[10] Minoru Mochizuki sensei aveva ricevuto presso il Kōdōkan una formazione completa come kinesiologo-osteopata. Si trattava di un programma stabilito dal Maestro Kanō in persona, chiamato “Jūdō Seifuku-shi”, ufficializzato da un diploma di stato. Il programma aveva lo scopo di dare ai maestri di Jūdō una maggiore completezza e uno sbocco professionale parallelo all’attività marziale.
[11] I Mochizuki erano sei fratelli e sei sorelle, Minoru era il quintogenito. Il primogenito Kane-Ichi era stato campione regionale di Sumō, Sadao era un esperto di Kyudō. Il più piccolo, Sue-Hichi, era anche lui un maestro di Jūdō e Aikidō.
[12] Poco dopo l’apertura del Dōjō a Shizuoka, il Maestro Ueshiba inviò – come si usava – l’ammiraglio Takeshita a proporre a Minoru di sposare sua figlia ed essere adottato nella famiglia Ueshiba, diventando di fatto l’erede della scuola. Mochizuki sensei declinò l’invito soprattutto per il fatto che avrebbe dovuto lasciare Kanō sensei e il Jūdō.
[13] Il “Bastone di Sicurezza” è una forma moderna del Fukuro Shinai usato in molte scuole classiche, come il Kashima Shin Ryū, lo Yagyū Shinkage Ryū e il Katayama Ryū. Realizzato in PVC ed espanso, esiste in tre misure: Chōbō (Spada), Tanbō (Bastone medio-corto) e Konbō (Bastone corto o Tantō). Viene usato per forme di allenamento a contatto e in competizione.