Lo sostengo da sempre, dobbiamo farci domande radicali, altrimenti ad una disciplina senza spirito di competizione si sostituirà, come di fatto avviene, una competizione senza spirito. Rispetto all’affermazione fatta tanti anni fa dal maestro Tada: “L’Aikido è un grande piatto dove ognuno prende ciò che vuole”, io invece contrapporrei, in maniera ritengo più aderente alla pura fenomenica corrente: “L’Aikido è un grande piatto dove ognuno mette ciò che vuole”. Basta che conti…
di ANGELO ARMANO
Su questo sito in altri momenti, ho già provato a formulare alcune di quelle domande e chi ne abbia oggi eventualmente curiosità, può andarsele a cercare; sono tutt’ora stampate.
Una cosa è certa: continua a permanere nei dojo un ritratto e un ossequio; bisognerebbe chiedersi quanto formale, e se sia stato meno ipocrita quel transfuga che, al posto di quel ritratto, sostituì il kanji Ki.
Ciononostante, il più grande spot per questa disciplina rimangono filmati, documenti, e lasciti verbali, scritti o trascritti, di quel vecchietto con la barba a noi fin troppo noto. Se non ci fossero queste cose, e l’Aikido (per ammesso che sarebbe potuta esistere comunque una cosa del genere) si proponesse come mero fenomeno, senza commenti, progeniture, filosofie o parole edificanti, che cosa ne avverrebbe? Sarebbe una qualunque moda passeggera?
In cosa differirebbe dal rock and roll acrobatico, come scrivevo più di dieci anni fa in un mio articolo (La nascita, la morte…la contemplazione della Vita), ripreso e pubblicato in vari siti anche non specialistici dell’Aikido, tra cui “In quiete” di Gianfranco Bertagni?
Forse per la mancanza della musica? Non c’è problema, si stanno attrezzando.
Io penso che se ne potrebbe dire di tutto di più, ma dubito che se ne verrebbe a capo.
Non credo che senza il Fondatore, la sua storia -vera o edulcorata che sia-, quanto ha inteso tramandarci, Lui in prima persona e non altri interpreti in buona o cattiva fede, un simile fenomeno sarebbe venuto ad esistenza.
Se ne parliamo, ci accapigliamo, ci interroghiamo, allora qualcosa di vivo, originale, creativo, particolarmente significativo nell’Aikido deve pur esserci, nonostante si faccia di tutto per occultarlo. Sebbene sia una disciplina particolarmente inerente alla conoscenza dello Spirito, viene trattata come un qualcosa adatto agli “umili e poveri di spirito”, che non abbiano mai voce in capitolo.
Io dico che l’umiltà e l’onestà di confrontarsi non guasterebbero assolutamente.

Sono arcicontento della posizione che assume Simone nel suo editoriale: “La palude del tecnicismo dell’Aikido” e del suo relativo poscritto, perché mi appare un serio tentativo di uscire dalle nebbie, di chiarirci un po’ le idee tutti quanti, su quest’oscuro oggetto del desiderio che ci coinvolge tanto. Ho trovato formidabile la metafora della barca in giardino, in quanto anche io fin troppo freudianamente, vado sostenendo che dopo decenni e decenni di pratica, è innegabile che certe didattiche o pseudo-tali siano adolescenzialmente ancora ai…preliminari.
Un po’ come voler cominciare a dedicarsi al “Tantra”, avendo nel frattempo raggiunto i sessant’anni. Farsi vecchi e trovarsi fuori tempo massimo, rispetto ad una vocazione coerentemente perseguita… e mai realizzata.
So di apparire come quel deputato “cinquestelle”, che non più tardi di ieri diceva a muso duro, che le decisioni non si prendono in parlamento, ma le prendono le lobbies fuori dall’aula, beccandosi le reprimende della Boldrini, solo perché il suo linguaggio era perfettamente adeguato al nostro sconcerto, e all’indifferenza che l’istituzione parlamentare stessa prova di fronte alla suo essere assolutamente fittizia.
Delle due l’una: o i nomi noti dell’Aikido sanno qualcosa che non insegnano, perché la gerarchia, il potere e i connessi privilegi, sono le uniche cose che contano, e vanno mantenute, oppure non lo sanno, e truffano la platea con i riferimenti a Morihei Ueshiba.
Però Simone forse non sai quanto il linguaggio paritario che tu evochi, in cui non ci sono ruoli prefissati, sia professato anche con singolari coincidenze verbali, da un maestro francese che frequento da tanto tempo, ma con crescente entusiasmo. Io sento che lì, più che altrove, sto almeno lavorando ad emendare il falso budoka, sedimentato dentro di me da quella concezione dell’Aikido propinatami, che sembra produrre numeri, schiere, copie, plafond di mercato, ma non individui, unici e irripetibili, come si addice ad ogni disciplina spirituale che si rispetti.
Ovviamente sono troppo avanti negli anni per escludere di lavorare anche alle mie personali ricerche, al fine di distillare il mio con-geniale. Il fatto è che quello stesso maestro, lavora lui per primo alla rimessa in discussione di tutti i luoghi comuni, e di quelle problematiche da te evocate, che lui chiama:
“La perversione dell’Aikido”
e coerentemente con la propria metafora, in continua evoluzione, non si sente disturbato da oneste e personali ricerche. Prova ne sia che ad uno stage organizzato in Italia da un suo “braccio destro”, sul tavolo della segreteria facevano bella mostra di se depliants di un altro stage, con l’ora defunto maestro Noro, ovviamente non parte della sua parrocchia. Ve la immaginate una situazione del genere nelle altre main organisations nostrane?

Non voglio declamare un peana o scrivere panegirici sulla persona in questione (non è più il tempo); mi limito ad osservare che la fondamentale caratteristica dello spirito è l’ascensionalità: volare alto! Insegnano più queste prove di stile (evidente conseguenza di sicurezze interiori), queste mancanze di meschinità altrove così diffuse, che almanacchi di forme.
Quanto all’aiki, argomento a cui Simone allude con mio innegabile orgasmo, una maniera per evocarlo può essere anche e non esaustivamente quell’Aikido-Tai Chi, di cui egli ci parla, ma assieme a tanti altri aspetti, altre ottiche e prospettive, cui ritengo di aver fatto già alcuni accenni.
Io sono al primo gradino dell’Aikido”
diceva Osensei, con cognizione di causa e non per confondere o scoraggiare, come fanno oggi i maestri della teoria dell’imprinting, quelli che vogliono risultare come Konrad Lorenz rispetto alle oche ignare.
Quanto a me, lasciatemi almeno il gusto di aver messo piede sullo zerbino…
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