
La figura di Kuroiwa Yoshio rimane una delle più affascinanti e tragiche dell’Aikido moderno. Tratto da “A Duello con O-sensei“, di Ellis Amdur, recentemente pubblicato in lingua italiana da The Ran Network, e parte di una fantastica galleria degli shihan dell’Aikikai Honbu Dojo dei tempi d’oro, questo ritratto di Kuroiwa sensei è assieme intrigante e doloroso
di ELLIS AMDUR
Kuroiwa Yoshio fu una figura unica tra gli allievi del periodo post-bellico di Ueshiba Morihei. Sebbene fosse uno degli istruttori più anziani del dopoguerra, rifiutò di salire di grado oltre il sesto dan. Anzi, inizialmente rifiutò qualsiasi grado fino a quando Ueshiba Kisshomaru gli chiese personalmente di accettare un sesto dan, perché mandarlo ad insegnare in dōjō come quello di Sugino Yoshio, [34] senza alcun rango, stava diventando imbarazzante. Kuroiwa era provocatorio, quasi ribelle, ma rimase un membro dell’Aikikai, comportandosi a volte come un granello di sabbia posto sopra ad un mantello altrimenti liscio. Sulla materassina era originale, e aveva uno stile di movimento assolutamente unico. Se fosse stato un uomo diverso, e forse se la sua salute fosse stata migliore, avrebbe potuto creare un proprio gruppo di arti marziali, come Shioda Gozo o Tomiki Kenji. Invece, rimase all’interno dell’ovile, per un pelo.
Lo incontrai per la prima volta alla festa di Capodanno del 1977 presso il dōjō della sede centrale dell’Aikikai. Si sedette e cominciò a farmi domande sul mio allenamento. Ben presto si lanciò in quelle che, per tutto il tempo in cui l’ho frequentato, erano le stesse storie e teorie. Era rimasto prigioniero di un’epoca in cui lui, gioventù dorata, era un combattente di strada quasi invincibile, un pugile dilettante o professionista di alto livello (o entrambi, non fu mai chiaro) e un praticante di Aikidō meravigliosamente innovativo. Emaciato, con la maggior parte del suo stomaco rimosso a causa di un’ulcera, diversi decenni dopo viveva con il cuore in gran parte nel passato.
Il mio incontro con lui quel giorno mi rivelò il suo rapporto con l’Aikikai. Stavamo parlando da una decina di minuti, quando Masuda Sejiro, uno shihan e un settimo dan, che superava di grado Kuroiwa anche se era di un decennio più giovane di lui, si avvicinò e, ignorandomi, disse: “Sensei, stiamo per fare la riunione degli shihan al piano di sopra”. Kuroiwa lo allontanò con un gesto e disse: “Parlare con questo giovane straniero è più interessante. Iniziate senza di me”. Masuda glielo chiese di nuovo, in modo ingraziante, quasi supplicando. Kuroiwa gli voltò le spalle. Masuda mi guardò male, promettendomi la ricompensa alla prossima occasione: mi prese a botte durante la lezione successiva.
Il mio rapporto con Kuroiwa sensei può essere sintetizzato rapidamente. Per i due anni successivi frequentai le sue lezioni due volte alla settimana in un dōjō a Ikebukuro. Era un uomo con i piedi per terra e senza pretese: semplicemente era una persona che praticava le sue arti marziali particolarmente bene, ma non aveva nulla di cui vantarsi. Pretendeva che l’Aikidō fosse un’arte marziale pratica, e considerava la maggior parte dei suoi compatrioti piuttosto cinicamente come gente che non sapeva combattere, perché non aveva mai preso un pugno in faccia. In modo sconcertante, tuttavia, insisteva con me: “Il wrestling professionistico è una cosa realistica” e includeva nel suo repertorio il famigerato ‘cobra twist’ di Antonio Inoki.
Dopo che mi allontanai dall’Aikidō, continuai a tenermi in contatto con lui nel corso degli anni. Per il mio matrimonio preparò ravioli cinesi per trenta persone, e lui e mia madre si incantarono a vicenda, anche se non riuscivano a capire una parola di quello che l’uno diceva all’altro. Andavo a trovarlo a casa sua un paio di volte all’anno, e ogni volta, quando mi mostrava, nuovamente, le sue idee radicali sul movimento, sia a mani nude che con un bastone o una spada, mi maledicevo per non essermi allenato più a lungo con lui. Tuttavia, ero su un’altra strada.
Questo saggio, tuttavia, non è incentrato su Kuroiwa e me. Invece, per un’ultima volta, lasciamo che sia Kuroiwa sensei a raccontare le sue storie, perché esse, come l’ambra, lo racchiudono in un passato dal quale non volle mai uscire. Le racconterò in prima persona – tuttavia, ne censurerò leggermente alcune, perché alcuni dettagli sono un po’ troppo scabrosi nei confronti di questa o quella figura del suo passato.
Episodi di una Vita
Sono un Edokko, di Shitamachi, al centro. Molti di questi insegnanti di Aikidō sono ragazzi ricchi. Non hanno mai lavorato per vivere, si sono appena laureati e hanno iniziato a fare Aikidō. Ho iniziato a fare boxe alle medie. Andavo giù a Ginza – alla fine degli anni ‘40 non era il posto di alta classe che è adesso. C’erano tutti questi ragazzi delle scuole superiori e dell’università in giro. Li vedevo quasi ogni giorno, e ne sceglievo uno e lo fissavo. Mi guardavano, un ragazzino di tredici, quattordici anni e dicevano: “Che hai da guardare, ragazzino? Cerchi guai?” E io rispondevo: “Onichan (‘fratellone’), sì, li cerco. Cerco guai. Perché non vieni qui in questo vicolo dove nessuno ci disturberà?” E andavamo nel vicolo, e io lo stendevo. Gli prendevo il bottone della scuola dal cappello. Dopo un paio d’anni, ne avevo due buste della spesa piene.
Facevo anche pugilato sul ring. Non esistevano realmente le classi di peso, allora, e la divisione tra professionisti e dilettanti era alquanto approssimativa. Combattevo con chi mi dicevano. Alcuni di loro pesavano 20 chili in più di me. Ecco perché i miei occhi sono ridotti male – mi si sono staccate le retine. Non so quanti combattimenti ho fatto: ottanta, forse cento, direi.
Ad ogni modo, un giorno stavo viaggiando su un treno, credo avessi circa 21 o 22 anni, e c’era un tizio, un po’ più grande di me, appeso a una cinghia, che continuava a sorridermi come se mi conoscesse. Mi stavo scervellando, e pensavo: “Conoscevo questo tipo alle elementari? Alle medie? In qualche lavoro?”. E alla fine lui disse: “Non ti ricordi di me, vero?” E quando risposi di no, lui disse: “Mi hai lasciato incosciente su un mucchio di spazzatura in un vicolo di Ginza, qualche anno fa”. E poi il treno si fermò, e lui sorrise e disse: “Stammi bene, Onichan” e scese dal treno.
Tornai a casa e cominciai a tremare; non riuscivo a smetterla. Rimasi seduto sul pavimento per una notte intera a tremare. Potevo ricordare la faccia di ogni persona che mi aveva sconfitto – ce n’erano solo un paio. Tuttavia, in giro per Tōkyō ci saranno state diverse centinaia di tizi che avevo svergognato e picchiato senza una buona ragione. Ognuno di loro avrebbe potuto avvicinarsi e accoltellarmi, e io non mi sarei nemmeno accorto che stava per succedere.
Più o meno in quel periodo, stavo leggendo un giornale e c’era un articolo che parlava di Ueshiba sensei, di come fosse un maestro di arti marziali, eppure lui insegnava che le arti marziali erano amore. Mi sembrava un’assurdità. Per qualche ragione, però, l’avevo conservato e la mattina seguente decisi di andare al dōjō. Sapevo solamente che ero in un mare di guai e pensai che in qualche modo l’Aikidō mi avrebbe aiutato. Era il 1953-1954, ed eravamo solo in otto allora. Kato-kun (Kato Hiroshi) aveva iniziato circa sei mesi prima di me. Era un tipo forte. Mi spezzò un braccio.
Il giorno dopo, sua madre lo trascinò a casa mia e gli fece chiedere scusa a mia madre.
Comunque, dopo che il mio braccio guarì, mi allenai tutti i giorni. Con così pochi di noi, non c’erano aikidōka stipendiati né amatori – c’erano O-sensei, Waka-sensei (Kisshomaru) e alcuni insegnanti, e tutti gli altri erano o uchi-deshi o soto-deshi (allievi ‘interni’ o ‘esterni’). Tuttavia fui in grado di praticare solo per circa sei mesi o giù di lì. Mio fratello si era indebitato con alcuni yakuza e io dovetti aiutarlo a pagare il suo debito. Mi alzavo alle quattro del mattino e trascinavo un carretto in giro per la città, consegnando questo e quello, saltando la lezione di O-sensei al mattino. Non riuscivo a raggiungere il dōjō fino a metà pomeriggio, e poi dovevo andarmene di nuovo prima di sera. Perdere la lezione di O-sensei era considerato dagli altri davvero una cosa negativa, come se lo stessi insultando. Ma io dovevo lavorare.
Quindi il grosso della mia pratica era da solo. Grazie ai sei mesi di pratica precedente, ricordavo i waza di base dell’Aikidō – potevo imparare le tecniche dopo averle viste una o due volte. Così iniziai ad applicare la teoria della boxe al mio Aikidō. Per cominciare, la maggior parte di coloro che fanno Aikidō sono convinti che bisogna prendere il centro e far muovere l’avversario intorno a sé. Nella boxe invece ci si muove intorno all’avversario, così lui rimane intrappolato e non può muoversi – è in quel momento che lo si colpisce. E anche se gli aikidōka parlano di movimento circolare, tendono ad usare linee rette e tenere le braccia estese. Ho scoperto che ogni movimento di Aikidō può seguire il percorso di un montante o di un gancio. E che dire di un jab? La gente pensa che un jab sia una spinta, e lo stesso vale per un diretto. Ma quando li si esegue correttamente, anche questi colpi sono a spirale, solo non tanto quanto un montante o un gancio.
L’Aikidō della maggior parte delle persone assomiglia ad un motel per scarafaggi – una persona si aggrappa e poi entrambi fanno finta di essere appiccicati come scarafaggi, e poi si mettono a girare in tondo. Quando io faccio Aikidō , sono io che afferro l’avversario, piuttosto che essere lui ad afferrare me.
Nonostante la sua struttura emaciata, Kuroiwa aveva una delle prese più forti che abbia mai sentito. Le sue mani sembravano artigli. E poiché ogni sua mossa era un montante o un gancio, nella sua presa c’era sempre una certa torsione. Faceva male, il tuo corpo era bloccato e lui in qualche modo riusciva ad afferrare il tuo intero scheletro con quella presa focalizzata in un solo punto.
Insomma, iniziai ad andare al dōjō a metà pomeriggio, e potei allenarmi con gli altri compagni. Sperimentavamo e ci divertivamo un sacco. I ragazzi più giovani iniziarono a definirlo il Kuroiwa Gakko (scuola). Poi un giorno arrivò Tohei Koichi sensei, che era Shihan Buchō (letteralmente ‘capo shihan’) e più o meno gestiva il dōjō. Guardò quello che stavo facendo e disse: “Non serve a niente. Non hai Ki”.
Ho sempre avuto un caratteraccio e risposi: “Cosa mi stai dicendo, che puoi toccarmi e spararmi dentro elettricità o qualcosa del genere? Sonnabaka no koto o shinjirarenai” (in sostanza: “Non credo a certe idiozie”). Tohei sensei diventò rosso in faccia e se ne andò. Il giorno dopo venni ad allenarmi e non c’era nessuno tranne Chiba-kun. [35] Era un allievo della classe immediatamente più giovane della mia, allora solo un ragazzino, e sembrava davvero fuori di sé. Era seduto in seiza, con i pugni stretti, e stava quasi piangendo. Chiesi dove fossero tutti, e lui mi disse che Tohei sensei aveva ordinato a tutti di non avere contatti con me, o di ‘darmi una ripassata’ se lo avessero fatto.
Il giovane Kuroiwa era andato a cercare Tohei e lo aveva sfidato sonoramente, con la voce che rimbombava attraverso il dōjō, insultandolo in modi tali che l’anziano fu costretto a rispondere. Lo trovò nell’ufficio e si sedette di fronte a lui attorno a un tavolo basso. Kuroiwa iniziò a deridere a gran voce il passato di Tohei, che si era autoproclamato combattente nella seconda guerra mondiale. Tohei, in sostanza, non poteva fare altro che mettersi a litigare, quando, all’ultimo momento, apparve O-sensei. O-sensei entrò nella stanza, sicuramente aveva sentito tutto, e cominciò a gironzolare attorno, dicendo: “Non sapevo che ci fosse qualcuno qui, lasciate che vi prepari del tè. Che bello avere degli ospiti”. Beh, allora non potei fare più nulla. Da quel momento in poi, però, non riuscii a tollerare il pensiero di trovarmi nello stesso dōjō con Tohei sensei.
D – “Pensavi davvero di poterlo battere?”
R – “Certo. Era molto forte, ma combattere è un’altra cosa. Lui non sapeva combattere, quasi nessuno di loro ne era capace.”
A quel tempo, lo Yoshinkan e l’Aikikai erano come due team sportivi rivali. Shioda sensei seppe dell’incidente e mi fece contattare. Non gli importava che il mio stile fosse diverso, voleva solo ragazzi forti. Ebbene, la voce giunse all’Honbu Dōjō, e Osawa sensei e Kisshomaru sensei mi portarono fuori per un caffè. Mi chiesero cosa c’era che non andava e quando glielo dissi, Osawa sensei mi guardò e disse: “Da quando in qua Tohei è diventato l’Aikidō? O-sensei è l’Aikidō, non Tohei”. Beh, non potevo mica andarmene allora, no? Ma mi tenni a distanza. Mi allenavo in alcuni dōjō dei miei amici, e poi presi ad insegnare alla Rikkyō University. Iniziai ad allenarmi con la squadra di wrestling. Avevano tutti quegli attacchi alle gambe – double leg, single leg – e mi proiettavano senza problemi. Dovevo capire come batterli.
Alla fine sviluppai un nuovo modo di fare koshinage (proiezione d’anca).
Le tecniche di Kuroiwa erano senza soluzione di continuità. [36] Una seguiva l’altra. Il suo koshinage in particolare, può apparire irrealistico ad alcuni. Era però incredibile da sentire di persona. Si lasciava cadere proprio come in un attacco single leg nel wrestling, e il suo tempismo era così impeccabile che lui scompariva, e tu finivi per rotolargli sulla schiena. Ho visto una foto di Kuroiwa ai tempi d’oro, scattata nel momento in cui si alza e esce da sotto l’attacco alla gamba. Il suo uke è a testa in giù, spalla a spalla con lui, con i piedi verticali in aria.
Continuavo a girovagare per Tōkyō, visitando diversi dōjō di amici, e un giorno entrai in un posto, e un gruppo di yakuza stava facendo un dōjō arashi. Il loro capo era il figlio dell’oyabun (capo), che si chiamava Momose. Erano yakuza della vecchia scuola – bakuto (giocatori d’azzardo) – e anche se il loro gruppo era sempre stato molto piccolo, erano considerati come dei diplomatici, a causa del loro lignaggio. Quando qualcuna tra le grandi bande aveva dei disaccordi, il gruppo di Momose veniva usato per negoziare, perché venivano considerati parte delle antiche tradizioni. Comunque, il figlio era un tipo grosso, circa 110 chili, ed era quarto dan amatoriale di Sumō. E aveva appena massacrato tutti i presenti. Così lo chiamai fuori e lo scaraventai quattro volte di seguito a terra con il mio koshinage.
Per parecchi anni sono andato a trovare Kuroiwa sensei con la mia famiglia in occasione dell’Asakusa Matsuri, un festival annuale nella parte vecchia di Tōkyō. E ogni anno, Momose, ora oyabun lui stesso, faceva venire una decina di membri della sua banda, che aspettavano rispettosamente fuori dalla casa. Momose entrava con un regalo, inchinandosi con vero rispetto nei confronti del ‘sensei’. Momose stesso mi raccontò la storia della sua sconfitta, la seconda volta che lo incontrai, ancora meravigliandosi per le proiezioni di Kuroiwa.
Ma inchinarsi all’uomo che ti sconfigge è una forma di kata particolarmente giapponese in quel contesto umano. La cosa non lo rendeva affatto meno un delinquente. La prima volta che lo incontrai, avevo un gesso flessibile sul pollice a causa di una frattura, e Momose mi afferrò deliberatamente la mano e cominciò a stringere il pollice rotto. Io gli ricambiai la stretta e gli sorrisi negli occhi. Tutti e due stavamo sogghignando come una coppia di cani da sfasciacarrozze. Eravamo sul punto di avere uno di quei tipici momenti da film, quando la signora Kuroiwa, uno degli esseri umani più belli che abbiano mai circolato al mondo, una vera ragazza per bene a cui non mancava nulla, si avvicinò e disse: “Momose-san. Vuoi rimanere a mangiare un boccone?”
Si sganciò da me e disse: “Oh, no grazie. Voglio andare a ubriacarmi e a scopare in un bordello”.
“Oh”, disse lei, “Beh, divertiti!”
Momose divenne in seguito il padrino delle arti marziali miste in Giappone, un regno che terminò quando fu trovato annegato nella vasca di un hotel in circa 15 centimetri d’acqua.
Iniziai a presentare il mio koshinage durante l’All Japan Aikidō Taikai. Arikawa sensei mi disse di smettere. Disse che non era Aikidō. Gli risposi che finché O-sensei non mi avesse detto di smettere, avrei continuato a farlo.

Recentemente sono andato ad una delle riunioni di tutti gli shihan. Nidai Dōshu ha chiesto se qualcuno avesse altre domande e io ho detto: “Dovremmo smettere di fare tachi-dori e jo-dori nelle dimostrazioni pubbliche. Ci sono molti veri specialisti di spada nel pubblico, persone che si sono davvero allenate con le armi, e sanno che non possiamo veramente togliere spade e bastoni dalle mani delle gente quando ci attaccano. Ci stiamo rendendo ridicoli”. Nella stanza calò un silenzio tombale. Alla fine Dōshu cambiò argomento. Più tardi, Saito-sensei venne da me. Pensavo che potesse essere arrabbiato, ma mi diede una pacca sulla schiena e disse: “Yokuitte kureta”. (“Grazie per aver detto ciò che andava detto”). Beh, forse andava detto, ma non è cambiato nulla, o sbaglio? Stanno ancora facendo la stessa roba, compreso Saito sensei.
L’ultima volta che lo incontrai, chiesi a Kuroiwa sensei del potere di O-sensei. “Wanryoku”, rispose. Potenza pura.
“Ueshiba sensei era semplicemente un uomo immensamente potente. E si allenava più duramente di chiunque altro”.
“Che mi dice dell’aiki?” gli chiesi. “Per esempio, che cosa mi dice del fatto che lui estendeva un bokken in orizzontale e i suoi studenti non riuscivano a spostarlo? Lei è mai stato uno di quelli che spingevano?”
“Sì. E non riuscivo a smuoverlo nemmeno io”.
“Allora a cosa lo attribuisce? Era un uomo anziano. Non poteva essergli rimasto così tanto potere”.
Kuroiwa sensei sorrise: “Non puoi buttare giù il tuo maestro quando il tuo maestro annuncia davanti ad un uditorio che non puoi buttarlo giù”.
Kuroiwa sensei aveva una mente splendida, caratterizzata da un approccio originale e iconoclasta. Sosteneva che un Aikidō di tipo idealistico era insufficiente, affermando che la pratica dell’Aikidō, da sola, era una pratica yin, una sorta di religione, con entrambi i partner che collaboravano tra loro. Asseriva che doveva essere completata da una pratica yang, come la competizione o persino le risse.
Eppure non fiorì mai. Relativamente poche persone studiarono con lui e meno ancora in profondità. In qualche modo, Kuroiwa sensei ebbe il destino di vivere in un bellissimo passato, dove era un giovane spavaldo e pieno di muscoli, senza paura di niente e di nessuno. Per un certo periodo sbocciò nell’Aikidō, con uno stile straordinariamente creativo, un Aikidō tra i più belli e potenti che chiunque abbia mai visto o sperimentato. Terry Dobson mi disse: “Kuroiwa era quello che faceva più paura all’Hombu Dōjō. Aveva il fisico di un divinità greca ed era velocissimo, ma non fece male a nessuno. Questo è ciò che lo rendeva così spaventoso. Sapevi cosa avrebbe potuto fare se si fosse davvero scatenato, ma non sentì mai nemmeno il bisogno di farlo vedere”.

Tuttavia la sua salute andò presto in frantumi: ulcere che lo lasciarono privo di forze, retine distaccate che lo tennero vincolato a un cerca-persone nel caso in cui i medici avessero trovato dei trapianti adatti (quando li trovarono e lui finalmente accettò, quasi lo accecarono in un’operazione mal riuscita) e infine il cancro ai polmoni per colpa del fumo a catena, e in seguito l’enfisema, lo devastarono. Andai a trovarlo nel 2011 – era attaccato a un tubo di ossigeno, molto fragile – e mi raccontò ancora una volta le stesse storie. Ascoltai come se fossero nuove.
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Note
[34] Sugino Yoshio è stato un allievo prebellico di Ueshiba Morihei, un kyoshi in Yoshin Koryu, e anche un 6° dan in Jūdō. Fu però più famoso come shihan del Tenshin Shōden Katori Shintō-ryū.
[35] Chiba Kazuo (1940-2015) divenne uno dei più significativi insegnanti di Aikidō al di fuori del Giappone, prima sviluppando l’Aikidō britannico, e poi, più tardi, trasferendosi in America dove fondò il Birankai, un’organizzazione internazionale di praticanti che si allenano nella sua metodologia. Chiba era noto per il suo atteggiamento intransigente nei confronti della pratica: non risparmiava mai se stesso, né gli altri. Era ben noto per il numero di persone cui aveva fatto male.
[36] https://www.youtube.com/watch?v=XkMA4Z8FAlY
https://www.youtube.com/watch?v=gU9sK0JGwR8
https://www.youtube.com/watch?v=W6JR0CpNFqU&spfreload=10
Foto Principale – Saluti a Hiroshi Tada in occasione della sua partenza per l’Italia (1964). Da destra a sinistra: Yoshimitsu Yamada, Yoshio Kuroiwa, Toshiyuki Arai
Ellis Amdur: A Duello con O-sensei: Alle Prese con il Mito del Saggio Guerriero
Se esistesse un “libro di arti marziali normale”, questo sarebbe il suo gemello cattivo. Spietatamente onesto, scritto dalla prospettiva unica di specialista diventato esterno, Ellis esplora gli aspetti del Budō, le sue filosofie e i suoi dilemmi attraverso l’ottica dell’Aikidō, un’arte marziale moderna del cui fondatore si parla con toni reverenziali e avvolti da una mistica semi-religiosa. Nell’esaminare l’idea di Budō come stile di vita e percorso verso la perfezione personale, Ellis affronta le complessità e le contraddizioni del mondo reale dietro questi semplicistici stereotipi, portando alla luce riflessioni che hanno valore per qualsiasi marzialista o anche per chi non pratica arti marziali, che ha interesse per gli aspetti più oscuri della natura umana. (Dave Lowry, autore di Persimmon Wind)
Se sei un artista marziale di lunga data, è probabile che tu sia stato il destinatario, la vittima – o entrambi – del fenomeno del “vecchio maestro saggio”, a causa del quale i praticanti di Budō venerano in modo quasi reverenziale i loro insegnanti come se fossero dei giganti marziali, morali e mistici senza colpe. In tal caso, questo libro ti farà serrare i pugni e ridere a crepapelle. Iconoclasta, ribelle, eppure fieramente fedele ad alcuni dei valori più tradizionali della cultura marziale giapponese, Amdur ha portato qualcosa di nuovo nell’ambito della letteratura sulle arti marziali – una sorprendente onestà sui difetti presenti non solo all’interno della cultura delle arti marziali, ma anche nei suoi praticanti, spesso usando se stesso come esempio di questi ultimi.
Originariamente pubblicato nel 2000, e completamente rielaborato nel 2015 con l’aggiunta di otto nuovi capitoli, nuova grafica e fotografie, A Duello con O-sensei sarà un’aggiunta preziosa alla biblioteca dei vecchi e nuovi lettori.