La Tradizione, il Carosello e la Famosa Salsa


Sumo Kuniaki Utagawa

In contrappunto a La Salsa Piccante di Mia Nonna di Carlo Cocorullo, continuiamo a seguire il dibattito innovatori-tradizionalisti a base di  metafore culinario-aikidoistiche con un intervento di Fabio Branno, che si chiede: Cosa significa Aikido tradizionale oggi? Ha senso utilizzare sistemi e strutture didattiche del passato, dal momento che furono pensate per un’umanità che viveva ad un’altra velocità e con scopi e aspettative diverse? Le risposte che Fabio fornisce potranno non piacere a chi non ama l’innovazione, ma quanto meno aiuteranno a riflettere sul tema

di FABIO BRANNO

A casa mia il giorno di Natale è tradizione mangiare la famosa salsa. E’ una salsa che non ha un nome specifico, perché forse esiste solo a casa mia, ma per la mia famiglia è un rituale che si perde nella notte dei tempi e quando ne parliamo, parliamo della famosa.
“Nonna, ma quest’anno la prepariamo LA FAMOSA SALSA?!?” col rombo del tuono alla finestra…

L’intingolo in questione nasce in un modo molto popolare. Gli scarti di pesce utilizzati per il cenone della vigilia, finivano a macerare in pentola tutta la notte per ritornare, quali zombie gastronomici, il giorno dopo, in formato poltiglia, su un abbondante piatto di linguine e spolverato da granella di noci tritate. Giuro che quando eravamo bambini, la gioia di ricevere dei regali sotto l’albero era completamente bilanciata dal terrore profondo di dover forzatamente mangiare il piatto di famosa.

È tradizione!

La tradizione voleva che gli scarti di capitone, di baccalà, di alici e di merluzzo finissero in un pentolone gigantesco ad esalare fetidi effluvi che si attaccavano ai vestiti, ai regali e all’albero di Natale in maniera violenta ed indelebile, senza scampo alcuno. Per non parlare della sensazione di trovarsi davanti ad un piatto guarnito con una testa di capitone semisciolta che ti guardava, con il solo occhio residuo, sfidandoti a stuzzicarlo con la forchetta, mentre portavi alla bocca una forchettata di pasta, spine di pesce e gusci di noci, che erano state polverizzate a mano, come tradizione vuole, finendo con lo spaccare scorza e frutto.

Un giorno ci facemmo coraggio, e tenendoci per mano, andammo a parlare coi Grandi Vecchi della famiglia per ottenere il permesso di sottrarci al rito. Mi ricordo ancora come suonò altisonante il loro “NO”. Definitivo, austero e senza scampo, decise che “A tradizione ce vò e tutti l’hann’à rispettà!”

Mia madre, allora, intervenne prontamente ed elaborò un piano per l’anno successivo. Si sarebbe occupata lei personalmente della preparazione della famosa. Lo sconcerto fu generale e dalla piccionaia si sentirono le donne bisbigliare rumorosamente! Ma siccome lei era la miglior cuoca della famiglia, nessuno poté opporsi a questa sua richiesta e dovettero darle fiducia.

L’anno successivo, mamma fece una spesa in pescheria specifica per la famosa. Comprò dei pezzi di capitone scelti, della colatura di alici e filetti di merluzzo e baccalà. Li fece cuocere a dovere, dopodiché estrasse un magico strumento dalla credenza: il BIMBY. Una bella passata di salsa nel Bimby la trasformò in una vichyssoise vellutata e saporita, che sposò perfettamente la pasta ruvida di Gragnano e fu esaltata dalla polvere di noci, ottenuta frullando appena appena solo i malli.

Il Grande Vecchio

I Grandi Vecchi guardarono il piatto con molta diffidenza, lo ammetto. Abituati com’erano a mangiare avidamente una sorta di cimitero marino, quella raffinatezza sembrava quasi fuori luogo e poco invitante. Ma il sapore non lasciò dubbi! Solo il buono della famosa, all’ennesima potenza!

Ad oggi, questo racconto mi fa pensare all’Aikido. Ok, il mio psicologo dice che sono un monomaniaco psicotico. Ma non gli ho dato il link di questo blog…

Troppo spesso si parla dell’Aikido come di una disciplina tradizionale. Tralasciando il fatto che fondamentalmente, questa disciplina è più giovane di mia nonna, perché la data di nascita ufficiale è 1942, mi viene da domandarmi COSA si intende per tradizione.

“Tradizionale – starete pensando – è l’Aikido del Fondatore!”

Partiamo dal fatto che Morihei Ueshiba fu aggredito ed insultato dal suo Maestro, Takeda Sokaku, perché aveva rotto una tradizione, abbandonando il Daito ryu e tralasciando il sapere degli antichi. La tradizionalità di un non tradizionale è proprio una contraddizione in termini, concedetemelo!

Ad ogni modo qualcuno dovrebbe definire QUALE fosse effettivamente l’Aikido del Fondatore, dato che in ogni ripresa video esistente, Morihei faceva cose differenti, in modi assai differenti, in situazioni completamente differenti.

Cosa credo io? Penso che “Tradizione” sia rispettare l’obiettivo dell’arte. O’Sensei puntava ad un Budo che educasse al rispetto della vita. Questo era l’obiettivo. Il linguaggio passava attraverso una rivisitazione dei movimenti dei Daito. Rispettarne il traguardo è rispettare la tradizione. La strada per perseguirlo è solo figlia dell’epoca. Il metodo di allenamento non è tradizione. È scienza.

Il Kata era la maniera in cui il popolo giapponese educava al suo tempo. Un tempo nel quale la televisione, per esempio, era ancora appannaggio di pochi. Ci sarebbero voluti vent’anni prima di vedere il primo carosello, uno spot pubblicitario che per passare lo slogan impiegava tre minuti di storiella.

Oggi viviamo in un mondo nel quale gli spot sono un flash che compare durante una partita di calcio su Sky. Senti la campanella, vedi il logo e già la tua mente ha attivato il processo di comprensione e metabolizzazione dello stimolo. Cani di Pavolv ad alta velocità? Può darsi. Ma dalla mente dannatamente rapida, agile e pronta a mille informazioni.

Uno studio dice che leggere un giornale oggi ti fornisce più informazioni di quante un uomo dei primi del 900 ne potesse ottenere in tutta la vita. Ad una mente come la nostra si può parlare nella lingua del secolo scorso? Se qualcuno volesse curarvi con la Pennicillina, perché è un medicamento TRADIZIONALE, voi accettereste? Se qualcuno vi scrivesse in alfabeto morse, tramite onde radio, voi lo ricevereste e decodifichereste? Se Morihei avesse avuto a disposizione i nostri strumenti, in merito alla psicologia, alla didattica, alla comunicazione, alla biomeccanica, davvero credete che non se ne sarebbe servito?

I tradizionalisti dissero a Musashi che due spade erano un’eresia, a Morihei che l’Aikido era irrispettoso verso il vecchio Budo, a Ford che l’auto non avrebbe mai rimpiazzato i cavalli ed ai Beatles che la loro musica era rumore.

Il valore della storia è tale se ci permette di non incorrere negli errori dei nostri avi. Studiamo la storia, va bene. Ma per vivere al meglio i nostri tempi, gente.

Ah, se a Natale passate di qua, vi faccio assaggiare un buon piatto di pasta!

 

Copyright Fabio Branno ©2011
Ogni riproduzione non espressamente autorizzata dall’autore è proibita

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6 pensieri riguardo “La Tradizione, il Carosello e la Famosa Salsa”

  1. Dal mio punto di vista questo post non si colloca sul versante opposto rispetto a quello di Carlo.

    Credo che la tradizione sia un sapere che ci venga dato dal passato, una sorta di morale ricavata dalla somma delle esperienze.

    Ma una morale vale al di là delle esperienze dalla quale essa si ricava.

    Non dobbiamo aver paura di cambiare queste esperienze, se abbiamo compreso il principio della morale.

    Nel racconto di Carlo, il principio era il sapore, che lui ha ricostruito lavorando gli ingredienti a modo suo, per ritrovare l’aroma dei suoi ricordi.

    Nel mio, l’utilizzo di strumenti moderni, e sopratutto di nuovi punti di vista ed esigenze, si è rivelato non solo in linea con il sapore originale, ma anche capace di migliorarlo.

    Quello che voglio dire a tutti è :Non abbiate paura! Non abbiate timore di chiedervi, di sperimentare, di cercare, arrivati ad un certo livello.
    Non significa sentirsi migliori dei nostri Padri Fondatori, significa mettere i nostri occhi al servizio della disciplina.

  2. Mi fa piacere che esistano diversi punti di vista, il punto di vista di Fabio è interessante e apre nuove prospettive, il centro della questione è l’uso di tecnologie moderne per ottimizzare la realizzazione di un piatto tradizionale.
    Da una parte sono sicuro che non sia così pessimo anzi, deve essere sicuramente più comodo realizzare un piatto in pochi minuti ottimizzando i tempi, andiamo sempre così di fretta che a volte anche solo cinque minuti possono cambiare il corso di una giornata.
    Un ragù pronto in scatola non è la stessa cosa di un ragù preparato in una giornata.. Anzi dalla sera prima.. Ma chi ha più il tempo di farlo? Per fortuna, esistono dei prodotti altamente tecnologici che hanno ricreato lo stesso identico sapore e che in cinque minuti ti danno la sensazione di un ragù come quello di una volta.
    Probabilmente è più comodo e sicuramente efficace. Ma se dovessi dedicarmi alla preparazione di un piatto non so quanto mi sentirei soddisfatto di aver acquistato un prodotto pronto su uno scaffale. Chissà in effetti esistono anche delle arti marziali pronte in scatola, in dvd o blue-ray.. O magari un bell’impiantino alla Matrix che permette il download di tutto il kung-fu in pochi istanti.. Ma sono un tradizionalista, sudore tempo e frustrazioni mi danno sempre un sapore diverso, meno tecnologico, sarà anche la mia formazione culturale di ingegnere informatico che mi rende la tecnologia uno strumento e non un fine e che il sognare di essere qualcuno che porta avanti una tradizione immutabile in questo mondo frenetico di cambiamenti che mi soddisfa più di adattare l’immutabile al mutevole.

  3. A volte la comunicazione via Web crea facili equivoci.
    Credo perché si da un senso immediato allo scritto nelle prime righe,a volte già dal titolo, attraverso il quale si legge tutto il resto.

    Non solo io ritengo di insegnare qualcosa di tradizionale, ma sul mio tatami il sudore si spreca a litri.

    Quello che non si spreca, invece, è il tempo.

    Perché cerchiamo di ottimizzare ogni corso per compiere un passo in più verso l’obiettivo dell’autoconsapevolezza.

    Ti faccio un esempio classico: le ukemi.

    Ci sono metodi tradizionali attraverso i quali le ukemi vengono studiate da decenni.

    Al contempo si è visto che coloro che praticano Aikido e cadono da decenni hanno le ginocchia e la colonna sofferente.

    ll compito di un insegnante è trovare una nuova strada per insegnare le cadute, o il sudari waza, in modo che esso non sia lesivo per i praticanti, non continuare a tramandare un allenamento tradizionale e confidare nella selezione naturale.

    Come insegno io a cadere?
    Con una mia progressione, sviluppata nel corso di anni di insegnamento e laboratorio, con la Fitness Ball, con i Focus, con i Bastoni ginnici e le panchine.

    Quali sono i risultati?
    Tutti i miei allievi cadono senza problemi su tutte le proiezioni, con o senza tatami.

    Quello che fanno è ukemi, niente di più, niente di meno.
    Ma come lo imparano è completamente rinnovato.

    E finora nessuno si è ancora lamentato con la schiena….

  4. Alcune osservazioni sui due articoli.

    1) la ricerca della ricetta originale. Molto importante, perché ci ricollega a quelli che sono venuti prima di noi.
    Ma non basta, non possiamo limitarci a riprodurre la ricetta originale, il nostro dovere è anche cercare di capire il contesto in cui è nata quella ricetta e le ragioni dei singoli passaggi. Il che si fa con la ricerca e la sperimentazione.
    Mi ricordo una storiella, per essere in tema, in cui c’era la ricetta [buonissima] di un arrosto, che prevedeva che gli estremi del pezzo di carne fossero tagliati e posti ai due lati della parte principale. Ad un certo punto una delle cuoche cui la ricetta era stata tramandata si pose la domanda: perché? Risalì le origini della ricetta, da persona a persona, fino a che, per pura fortuna, trovò un’anzianissima donna, una bisnonna, che era la fonte originale. Le pose la propria domanda e la Signora rispose: “perché la mia pentola è piccola”. [la storia è vera].

    2) i cuochi assaggiano sempre le pietanze, man mano che cuociono. Come mai non si usano le quantità stecheometriche della chimica? Perché gli ingredienti non sono di volta in volta identici. Ne deduco due cose, che se sono preciso al milligrammo con tempi ed ingredienti originali posso sbagliare, mentre se li modifico secondo le circostanze posso ottenere il sapore originale. Un piccolo koan: giusto può essere sbagliato, sbagliato può essere giusto.
    Seconda cosa: se assaggio [leggi sperimento – sviluppo la sensibilità] posso correggere mettendo quello che manca. Se assaggio l’Aikido in Italia direi che la tecnica c’è. Per definire quello che aggiungerei [una gran buona presa, in senso culinario] potrei dire quello stato mentale in cui non importa se ti attaccano a destra o a sinistra, davanti o dietro, aihanmi o gyakuhanmi, o se addirittura sbagliano attacco. E questo lo diceva sia il Fondatore che il primo Doshu, tanto da averlo scritto tra le regole fondamentali dell’Hombu Dojo. Per cui sarebbe bene [e degli Insegnanti già lo fanno] che chi insegna sviluppi allenamenti tali da mantenere lo stato mentale corretto negli allievi, evitando la ripetizione parossistica di movimenti in uno stato mentale bloccato. Per dirla con Sengai [un maestro di Soto Zen, la corrente Zen che enfatizza lo zazen per essere nella propria reale natura], se bastasse stare seduti per fare lo Zen, tutte le rane [che sembrano sempre stare sedute] sarebbero illuminate.

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