Uke è un soggetto vivo, attivo, stimolante e stimolato (nella sua lotta contro il sé) che, sinceramente, sa motivare, controllare e garantire la crescita di Tori e la sua stessa. Sente, accetta gli errori dell’altro come parte di sé. E’ capace di guidarlo ad una crescita spontanea, non avvilente, proficua per entrambi. Uke controlla il proprio Ego, la propria narcisistica inclinazione alla violenza e Tori impara attraverso la tecnica ad “armonizzare il conflitto”: Takemusu [武産]
di MAURIZIO SABOT
Uke [受け] è la contrazione di ukeru [受ける] (accettare). Ma cosa vuol dire “accettare” in ukeru? Ancora una volta la chiave interpretativa per noi (praticanti) stà nel concetto di masakatsu agatsu [正勝 吾勝], “vincere senza nemico”, “vincere su di Sé”, “vincere il proprio Ego”.
Quindi lo Shisei (la disposizione) di Uke si pone come Guida, Garante, Figura centrale nella pratica dell’Aikido (si può azzardare un ruolo, dal punto di vista didattico, ancora più importante di quello di Tori, che è apparentemente centrale e attivo in ogni prassi marziale) ed è proprio quello su cui vorremmo soffermarci a riflettere. Innanzi tutto Guida perché è grazie alla sua accettazione (messa in armonia) con Tori (allineamento, compassione, adattamento) che Tori impara la “tecnica”, si motiva nella pratica, comunica a sé l’entusiasmo e la giusta disposizione d’animo e comunicandolo a sé lo trasmette indietro ad Uke e al gruppo in generale (interconnessione) della scuola in cui si allena.
Uke come Guida deve sapersi adattare al livello di Tori, al suo stato fisico attuale (salute, malattia, problemi fisici cronici). Uke non può prescindere dalla condizione di Tori, dalla sua anzianità di pratica. Senza incorrere nel rischio di demotivare, avvilire e persino ferire (anche gravemente) il compagno di “studio”. E cosa sarebbe se non una violazione del principio di masakatsu agatsu un attacco portato con violenza o volontà di mettere in difficoltà il proprio Tori?! Oppure restare rigidi come dei legni o cedevoli come un nastro di seta?
Quindi Uke deve anche essere Garante di Tori, della sua incolumità. Ma come si concilia questo ruolo di Garante con l’aspetto marziale dell’Aikido? La risposta è nel concetto di Controllo. Un buon Uke ha assimilato il controllo della propria tecnica e cioè la capacità di modulare l’intensità dell’attacco in modo che non sia “irreale”, “fasullo” o privo di energia (questo sarebbe disonesto verso Tori, sarebbe un mentire…). Il controllo è una delle capacità più importanti nel Budo (Aikido). Dove per esempio senza controllo non saremmo in grado di bloccare un attacco inutile verso qualcuno che colpisce male e alla distanza sbagliata, volgendoci repentinamente (magari) verso un avversario il cui attacco è più pressante e pericoloso. Oppure più banalmente il controllo è ciò che ci tiene vincolati armonicamente al nostro centro e quindi forti consentendoci di non “esagerare” una tecnica perdendo per esempio stabilità. Il senso di Controllo è quello di Maai [間合い] la giusta “distanza”. Tutti sappiamo che nelle arti marziali “offensive” il colpo più efficace è quello che attraversa Uke. Che entra nel suo centro per andare OLTRE. In Aikido invece c’è Maai il controllo.
Ancora una volta tutto questo non vuol dire essere “molli”, “falsi” o accondiscendenti o peggio ancora mezzi addormentati… Cosa che vale anche per Tori (che non accetta passivamente). Uke così come Tori ha l’obbligo marziale di essere Zanshin [残心], vigile e presente. Per non infliggere o subire traumi o ferite di sorta.
Quindi Uke è un soggetto vivo, attivo, stimolante e stimolato (nella sua lotta contro il sé) che, sinceramente, sa motivare, controllare e garantire la crescita di Tori e la sua stessa. Sente, accetta gli errori dell’altro come parte di sé. E’ capace di guidarlo ad una crescita spontanea, non avvilente, proficua per entrambi. Uke controlla il proprio Ego, la propria narcisistica inclinazione alla violenza e Tori impara attraverso la tecnica ad “armonizzare il conflitto”: Takemusu [武産].
Il valore del Giusto Ritmo in tutto questo è centrale. Che senso avrebbe attaccare in velocità o con intenti aggressivi un principiante, un allievo anziano o malato, o qualsivoglia compagno di allenamento? E’ questo che conduce ad una efficacia in uno scontro “reale”? No! Perché lo SCONTRO REALE non deve esistere e nemmeno esiste.
Così come l’efficacia nello Scontro non è un reale problema ma una chimera logico-concettuale. Questo avviene per effetto di diversi fattori tra cui lo stato fisico/mentale/emotivo di attaccante e vittima; il numero degli attaccanti e il luogo dell’attacco; la tipologia di allenamento di entrambi, il livello di esperienza e maturazione ecc.
Ma più importante ancora: il tempo (epoca storica in cui si verifica l’aggressione) e il contesto sociologico. I concetti di “Scontro” e di “Efficacia” sono perciò illogici e antistorici dal nostro punto di vista (Aikido). E’ proprio la NEGAZIONE dello SCONTRO (a livello di prassi e di teoria) che costituisce l’essenza e l’unicità non distruttiva dell’Aikido facendone qualcosa di unico nel suo genere: facendone Arte. Questo “negare” (più corretto ancora armonizzare-accettando) è l’origine del gesto artistico in generale.
A livello cosmico invece è il motore propulsivo della creazione (si pensi alla “cosmogonia” dove il vissuto scaturisce dallo scambio continuo di forma e non-forma, Yin/Yang, la notte che diventa giorno, il buio che diventa luce originando la visione). L’essenza del reale come puro cambiamento di forma.
La visione dell’Aikido come Arte (Via), però, è giustificabile solo alla luce della problematica di riattivazione e interpretazione delle fonti pragmatiche. Quando si traduce o studia un testo antico si esaminano delle “parole”. Dobbiamo immaginare la parola come una fonte attraverso cui il dire si manifesta a noi. Il dire è l’universo stesso (il generale) che ci parla attraverso un particolare, come se in quel momento applicassimo la lente della nostra attenzione su un dettaglio soltanto. Ma se la pressione è forte, da un piccolo foro, può scaturire una forza enorme. Questo avviene per molte parole (o concetti) chiave, che usiamo per comprendere il mondo o che usavamo in passato. Ma la parola è costituita da una parte rappresentativa (un segno, una immagine) e da una parte emotiva (intenzione, lo stato emozionale di chi l’ha scritta nel momento in cui l’ha scritta).

La stessa cosa avviene per un gesto in generale. In esso (quando ne parliamo, quando lo rendiamo un concetto o lo fissiamo nella parola scritta/orale) c’è implicitamente contenuta una situazione emotiva, una sensazione, una precisa intenzionalità.
Ancora più complessa è l’essenza del gesto artistico. Dove abbiamo mescolate parole, emozioni, vissuti, fisiologia, posturalità etc. in un solo Segno, che oltre l’immagine della fonte, diviene addirittura una cascata colossale di significati.
Per questo spesso nel tradurre, nel trasmettere e nell’interpretare ci si trova di fronte ad un problema banale ma cruciale: l’autore è morto. Questo comporta una disseminazione del suo “sapere”, e della sua prassi. Un’arte si impara prima di tutto dal gesto e non dalla sola parola. Si sappia e si tenga presente che nella comprensione di qualsiasi sapere pratico, tramandato in lingue complesse come quelle ideografiche (polisemantiche) o come per esempio la filosofia greca, noi possiamo avere solo punti di vista e prospettive, mai e ribadisco mai DOGMI (anni di teoria ermeneutica ne comprovano la correttezza).
I Kanji [漢字] sono un esempio molto significativo di come la parola possa essere uno scrigno che racchiude in sé la complessità di un universo intero, di uno spazio e di un tempo magari perduti.
Quindi affermare che il VERO Aikido o l’AIKIDO efficace è questo o quello è un mero affannarsi ad acchiappare lucciole e fate pei boschi. Ci saranno (e aggiungo per fortuna) sempre tecniche più evolute, più mature e interpretazioni più creative di quelle che siamo in grado di dare oggi! E ci saranno sempre MOLTE interpretazioni (perché questo meccanismo è connaturato alla struttura “storica”, “temporale” del gesto stesso).
Inoltre questo comporta necessariamente che affermazioni come: “la tecnica si fa così/cosà perché Ueshiba dice che…”, siano insensate. Cristallizzarsi su una definizione che abbiamo appreso da una traduzione di uno scritto in una lingua non nostra, da un filmato doppiato o peggio da un sentito dire nel dojo “xyz” non ha alcun senso e anzi è estremamente pericoloso perché blocca, ferma, rallenta la nostra possibilità di crescita e apprendimento (che è essenzialmente adattiva).
Dobbiamo quindi rinunciare all’idea di “riattivare” la comprensione e quindi il valore di quegli insegnamenti? Al contrario. Perché è proprio la comprensione dell’Aikido nella sua essenza che ci fornisce lo strumento per comprendere quella pratica (o la pratica marziale in generale). Possiamo azzardare l’affermazione che O’ Sensei abbia lasciato un’Arte (Do) per sviluppare attraverso la negazione dell’Io (che è armonizzazione) degli strumenti per interpretare il Gesto Marziale. Quindi un vero e proprio “sistema” per la comprensione di tutto l’insieme (Budo) delle tecniche offensive e difensive delle arti marziali, che essendo legate a dei gesti non possono essere interpretate e comprese se non con “strumenti” di questo tipo (affini al gesto stesso). Quindi un’Arte che è nello stesso tempo una chiave ermeneutico interpretativa della prassi, del gesto, e nello specifico del gesto marziale in generale.
Una vera e propria rivoluzione copernicana. A mio parere. Che sposta l’attenzione delle arti marziali dal soggetto (Tori) al mondo (Uke) che lo circonda e avvolge. Non è più importante chi esegue la tecnica soltanto, ma il fulcro (il perno), diviene la relazione con il suo “cosmo”. Questa “relazione” è Uke. Aikido diventa così (all’interno di questa chiave ermeneutica) una forma d’arte relazionale che non può esistere senza l’elemento Altro (senza alterità), un’arte globale e partecipativa che assume i connotati di un vero e proprio organismo vivente.
Si pensi a come Aikido non sia praticabile da soli. In quest’ottica ha senso per Uke assumere Kamae (kamaeru si traduce con creare, fabbricare, essere vigili, presenti, in latino diremmo carpe diem (“essere nell’attimo”, non cogliere come di solito si traduce). L’ideogramma di Kamae è unione della chiave “legno” con l’ideogramma del “perno”. Insieme rappresentano il simbolo della carpenteria. L’asse sul suo perno è in equilibrio perfetto, ruota, esercita forza, crea una leva! Così il Kamae di Uke completa Tori dandogli quell’equilibrio e quella forza inimmaginabile che il suo Ego da solo non può fornirgli. E cioè Shisei la forma della forza (Sugata (shi) esprime forma, figura, nel senso della completezza, e Ikioi (sei) esprime la forza, il vigore fisico-spirituale nel senso dell’armonia che controlla).
Aikido è Arte Marziale. Appunto “Arte” prima ancora che “Marziale”. E’ quel “vuoto” ermeneutico che genera interpretazioni vive e per ciò stesso slegate dal flusso del Tempo (per questo perdura dove altre arti diventano “obsolete” o semplicemente inadatte ai tempi). Per questo l’Aikido ricerca il Vuoto per poi completarlo!
Questo significa Arte: qualcosa di creativo, vivente, in continua evoluzione. Dove non c’è spazio per dogmi, chiusure mentali, gradi, attestati, egocentrismo, spettacolarismi, divise differenti, esami scolastici, ma solo ricerca continua, instancabile confronto, studio, semplicità, attenzione e crescita senza fine, come si deve a tutto ciò che vive.
Copyright © Maurizio Sabot 2012
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C’era un vecchio maestro ZEN che diceva che il solo leggere il giornale poteva deviare dalla VIA. Si dice, se si vuole crederci, che il buddha storico alzò un fiore per trasmettere la VIA.
Interpretazioni. Pluralità di visioni. O’ Sensei diceva:
“Neppure i più grandi saggi sono in grado di comprendere interamente la verità, esprimono solo una parte dell’insieme. (…) La migliore strategia si affida a risposte illimitate.” [L’essenza della Tecnica, in Takemusu Aikido]
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