
In un articolo da me scritto di recente faccio cenno ad acrobazie eseguite sul tatami e siccome penso tutti ne abbiano più o meno le tasche piene di articoli sulla filosofia dell’Aikido, sulle sue magiche capacità di trasformare le persone in angeli luminosi ecc. ecc., mi cimento nuovamente con un articolo ameno, che parla del passato riportando un aneddoto
di UGO MONTEVECCHI
Altro motivo che mi porta a scrivere è che, essendo io ormai un aikidoka anziano, ho la tipica tendenza a guardare con nostalgia al passato piuttosto che con ottimismo al futuro, quindi so già che ai giovani di questo articolo non fregherà niente, ma per qualche vecchio praticante, sopravvissuto a quel tempo ormai lontano, potrebbe essere evocativo e divertente.
L’aneddoto, anche se riguarda me, mi è stato in realtà narrato da un amico del Dojo Aikikai Milano, nello specifico Manuele De Grandi che, al termine di uno stage con davanti le meritate birre, me lo ha raccontato almeno 25 anni dopo che era successo. Prima però devo fare un preambolo.
Nel 1980 uscì in Italia il film diretto da Steven Spielberg “1941 – Allarme a Hollywood” interpretato da una coppia per la prima volta insieme, John Belushi e Dan Aykroyd, e vi ho già detto tutto. Nel film che andai a vedere insieme a diversi amici c’è la scena di una sorta di rissa e di inseguimento fra due personaggi. In una di queste fasi l’inseguito pare ormai braccato dall’inseguitore che sta per afferrarlo mentre corre verso una parete. Il fuggitivo sembra non avere via di scampo, non fosse che… decide di proseguire la sua corsa in verticale sul muro per poi effettuare un salto mortale all’indietro che lo porta a ricadere alle spalle del suo inseguitore stupefatto e interdetto dalla sorprendente manovra.
“Che figata!”
Questo fu l’inevitabile commento mio e dei miei ginnici amici. La compagnia infatti era, ed è tuttora, composta in buona parte da ex ginnasti della società riminese “Romeo Neri” e fra di noi non si è mai concepito il divertimento con la frequentazione del bar, con giochi di carte o sedentarie banalità del genere. L’equivalenza è sempre stata divertimento uguale movimento, se possibile facendo cose inconsuete e magari pure un po’ pericolose, giusto per procurarsi un minimo di adrenalina.
All’uscita, terminato lo spassosissimo film, io dissi che bisognava assolutamente provare quella stranezza in palestra e l’amico Emanuele Amenta (Campione italiano categoria juniores 1975) disse che conosceva già quella manovra e che non era poi così difficile da realizzare.
Detto fatto, il giorno dopo in palestra si cominciò a provare. Rincorsa uno avanti all’altro, quello avanti che inizia a camminare sul muro, quello dietro che facendo finta di afferrarlo per i fianchi in realtà lo sorregge facendogli assistenza e di seguito il salto all’indietro, con arrivo possibilmente in piedi. Non è stato necessario molto tempo per capire i tempi di esecuzione e automatizzare i movimenti corretti.

Come aveva preannunciato Lele, una volta imparato, risultava per certi versi più facile di un normale salto mortale all’indietro, che ovviamente si deve già saper eseguire prima di cimentarsi nella acrobazia in coppia, ma fare quello non era un problema.
Prova e riprova, alla fine si scopre che il ruolo dell’inseguitore e la sua spinta sui fianchi non era poi così necessaria e l’esecuzione, senza avere da superare l’ostacolo del compagno alle spalle, era più semplice. Per un certo tempo ci divertimmo a ripetere l’acrobazia in palestra e anche fuori, tanto per il gusto di sorprendere qualcuno e magari attirare l’attenzione di qualche ragazza.
Avevamo scoperto e imparato a eseguire una manovra tipica del Parkour, che però è stato inventato in Francia a metà degli anni 80 e in Italia si è diffuso almeno 15 anni dopo. Ora, io che a quel tempo mi allenavo a Milano, potevo resistere alla tentazione di fare vedere ai mie amici del dojo quali erano i passatempi di noi riminesi quando ogni fine settimana mi recavo a casa? Certamente no!
Così un giorno, durante la pausa di mezz’ora che ai tempi interrompeva la serie di lezioni del Maestro fra pomeriggio e sera, decisi di fare la sorpresa. “Oh, guarda questa tecnica di fuga!”, dissi non so a chi fra i presenti. E quindi, attirata l’attenzione, presi la rincorsa partendo dal kamiza per puntare dritto verso la grossa colonna che gli sta di fronte. Al tempo era rivestita da una moquette color nocciola in grado di garantirmi una ottima presa dei piedi durante i due passi che avrei dovuto fare in verticale prima di rovesciarmi all’indietro.
Nemmeno a dirlo la cosa ebbe un grande successo e dovetti replicare un paio di volte. Poi però dissi basta, e con l’indice dritto davanti al naso: “Oh, mi raccomando, non dite niente al Maestro!”
E Manuele dove era? Manuele in quel momento era fuori dal tatami e vide la scenetta mentre stava entrando per allenarsi l’ora successiva. Allora il dojo era un po’ diverso da ora e dal lato dell’entrata c’erano alcune sedie.
Su una di queste si era seduto un avventore che essendo interessato all’Aikido era venuto per assistere ad una lezione. Manuele che si era fermato a guardarmi giusto al suo fianco lo sentì dire: “No no, questa non è roba per me!”.
E senza dire altro si alzò e se ne andò.
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