Che una generazione intera di aikidoka italiani ed europei debba quasi tutto al Maestro Masatomi Ikeda non ci sono dubbi. E il sentimento di affetto è ampiamente ricambiato…
di SIMONE CHIERCHINI
CHIERCHINI
Si dice, Sensei, che lei abbia lasciato il suo cuore qui in Italia, quando ne partì nel 1970. Come iniziò la sua storia aikidoistica in Italia?
IKEDA
Ero ancora studente di Università, quando il mio Maestro, Tada Sensei, partì per l’Italia. Prima di partire lui mi disse che quando ci fosse stato bisogno di un altro insegnante giapponese in Italia, mi avrebbe chiamato. Da quel momento la mia esistenza fu ad un bivio e si imponeva per me la necessità di scegliere tra due vie diverse: una volta terminata l’Università, col conseguimento della Laurea in Scienze Motorie, avrei potuto iniziare ad insegnare nelle scuole; oppure, come ho detto prima, mi si prospettava la possibilità di recarmi in Italia.
In questo periodo mi interessavo molto dell’Aikido e avevo un gran desiderio di andare avanti nella pratica; quindi, davanti all’opportunità di insegnare e imparare nello stesso tempo, cioé quello che mi offriva il Maestro Tada qui in Italia, lasciai da parte la professione per la quale avevo studiato e decisi di rendermi disponibile a partire.
Il Maestro Tada mi chiamò quasi subito; in quel momento egli riteneva che fosse molto importante curare il Sud-Italia. Già prima di partire dal Giappone sapevo che la mia destinazione sarebbe stata Napoli.
CHIERCHINI
E una volta giunto a Napoli che cosa trovò?
IKEDA
Quando finalmente arrivai in Italia, il Maestro Tada aveva già preparato tutto per me; aveva lasciato a Napoli un uomo che aveva l’incarico di aiutarmi in tutto quello di cui avessi avuto bisogno durante il mio soggiorno in Campania. Costui era il sig. Infranzi, che ormai forse solamente i vecchi allievi ricordano. Iniziai subito a insegnare a Salerno e Napoli.
CHIERCHINI
Fu difficile all’inizio?

IKEDA Si, è stato molto complicato; i miei allievi provenivano da altre Arti del Budo, e dell’Aikido conoscevano solo il nome. Alcuni ne avevano sentito parlare, però non sapevano esattamente di cosa si trattasse. La difficoltà maggiore consistette proprio in questo: in ogni cosa fui costretto ad iniziare totalmente da zero. Inoltre c’era un altro aspetto a complicare le cose. Quando mi fu chiesto di venire dal Giappone, nei patti fu preventivamente stabilito che a Napoli io avrei curato non solo il corso di Aikido, ma anche quello di Judo.
La società cui allora Tada Sensei si appoggiava aveva bisogno di un istruttore per entrambe le discipline. Il Maestro fu un po’ in imbarazzo, ma erano tempi in cui bisognava sapersi adattare; d’altra parte sapeva che io praticavo da tempo sia Judo che Aikido. In fondo forse scelse me proprio per questo motivo. Una volta giunto, comunque, presi ad insegnare contemporaneamente Aikido e Judo: alle difficoltà di adattamento, mi si aggiungeva il problema dell’insegnamento moltiplicato per due. Molti dei miei allievi di allora mi seguivano sia come aikidoka che come judoka; di loro praticano ancora Pasquale Aiello, Nunzio Sabatino, Brunello Esposito, che fanno parte del primo gruppo che ho curato. Successivamente fu la volta della generazione di Agostino Pagano. Sono rimasto a Napoli dal 1965 al 1970. Poi tornai in Giappone.
CHIERCHINI
Prima di arrivare a Napoli, Sensei, aveva mai avuto esperienze di insegnamento?
IKEDA
Avevo insegnato Educazione Fisica per sei mesi. Inoltre ero stato Assistente del Maestro Tada nel suo Dojo di Tokyo; quando lui era assente, lo dovevo sostituire. Questo è stato fondamentale per la mia crescita.
CHIERCHINI
È stato importante per lei lo studio dell’Educazione Fisica in rapporto alla formulazione di un metodo da utilizzare poi anche nell’insegnamento dell’Aikido?
IKEDA
Soprattutto i quattro anni di studio all’Università mi hanno dato molto per quello che concerne l’apprendimento di un metodo di insegnamento. Quindi un pó l’Educazione Fisica mi ha aiutato. Però ritengo che, man mano, insegnando Aikido e seguendo l’esempio di altri grandi Maestri, sia venuto fuori un mio metodo particolare, forgiato dall’influsso della mia personalità.
CHIERCHINI
L’esperienza dei cinque anni a Napoli ha in qualche modo lasciato un segno sul suo carattere?
IKEDA
Quando ero più giovane, non pensavo affatto a come fosse la mia personalità, il mio carattere. Questo mi si è rivelato spontaneamente proprio quando sono giunto in Italia.
Quando sono arrivato a Napoli e ho iniziato a vivere quotidianamente con i napoletani, in un primo momento ho sentito un grosso contrasto fra il mio modo di essere e il loro. Però piano piano le cose cambiarono. Mi resi conto allora che se ero venuto a Napoli forse solo per un caso, d’altra parte sembrava quasi che lo avesse scelto il destino. Così presi a considerare Napoli la mia seconda patria e a viverci provando piacere giorno per giorno.
Il costume di Napoli e di molte altre zone d’Italia è molto simile a quello del Giappone, molto, ma molto di più di quanto comunemente si pensi.
CHIERCHINI
Di quale zona del Giappone è la sua famiglia, Maestro?

IKEDA
Io sono di Tokyo. Gli abitanti di Tokyo conservano un modo di essere che prima della Guerra Mondiale era comune a tutto il Giappone. È un modo di vivere antitetico rispetto alle abitudini individualistiche odierne, portate nel mio paese dalle usanze americane, un modo di vivere che mette al primo posto per importanza il sentimento di attaccamento alla famiglia, la socievolezza, la confidenza e il mutuo soccorso con i propri vicini. Voi tutti conoscete certamente il popolo napoletano: ebbene è molto somigliante a quello di Tokyo. Vivendo a Napoli, durante quei cinque anni non ho provato mai nostalgia di casa.
CHIERCHINI
Perché allora ritornò in Giappone?
IKEDA
Ad un certo punto mi riprese una gran voglia di studiare, di imparare. Questo sentimento divenne sempre pii ‘forte e quindi decisi di tornare. L’unico vero motivo che mi spinse a lasciare l’Italia fu il desiderio di apprendere di più. Quando mi apprestavo a partire, pensavo che non sarei rimasto in Giappone per più di due anni; tanto più che nei cinque anni precedenti non avevo sentito mai il bisogno di tornarci. Calcolavo di fermarmi il tempo necessario per completare il mio bagaglio tecnico e poi di riprendere la via dell’Italia.
E invece la vita prese per me una direzione diversa, perché mi dovetti trattenere in Giappone per ben sette anni. Ripresi ad insegnare Educazione Fisica e studiai intensamente Aikido. Di tanto in tanto ritornavo in Europa a visitare la mia seconda patria, Napoli, ma non potei lasciare subito Tokyo come avevo progettato perché il lavoro non me lo permetteva.
Nel 1979 poi l’Aikikai Svizzera richiese all’Hombu Dojo un insegnante giapponese, ed io mi resi disponibile. Cominciai così ad insegnare Aikido per loro. I primi tempi li trascorsi a Berna, poi, dopo qualche anno, scelsi Zurigo, perché in Svizzera il vero centro del paese è Zurigo, l’unica città grande.
Tanti anni sono passati, ormai, e adesso in Svizzera siamo giunti alla ricorrenza dei primi venti anni di Aikido nel paese. L’A.C.S.A., l’Aikikai svizzero, ha organizzato grandi cose per onorare questo evento, e io personalmente ce l’ho messa tutta per presentare agli altri paesi i risultati del nostro lavoro sia a livello tecnico che organizzativo, seguendo la linea dell’Hombu Dojo e della I.A.F. Per la celebrazione del nostro Ventennale abbiamo invitato in Svizzera Waka Sensei Ueshiba Moriteru, che è venuto nel mese di ottobre ’89.
È stato sicuramente il miglior modo per festeggiare i nostri venti anni di Aikido.
Per la buona riuscita di tutto, ancora una volta devo essere grato ai miei amici italiani.
Copyright Simone Chierchini ©1990
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